In “Sing street” John Carney porta sullo schermo, 25 anni dopo il bellissimo film di Alan Parker, la storia di un complesso rock. Tra amori acerbi ma sinceri, famiglie disfatte e alcolismo, mode e suoni pop-dance in stile Duran Duran, il 16enne Conor riunisce un gruppo di coetanei per dimostrare che è già grande. E far colpo sull’aspirante modella Raphina, con la quale fuggirà: destinazione Londra
Conor (Ferdia Walsh-Peelo), protagonista di Sing Street dell’irlandese John Carney, vive a Dublino a metà degli anni Ottanta, ha 16 anni e un talento nella scrittura di canzoni. Per dimostrare ai ragazzi della sua scuola che è già grande, e conquistare il cuore dell’aspirante modella Raphina (Lucy Boynton), di cui s’innamora al primo sguardo, fonda una pop band modello Duran Duran, offrendo alla ragazza di diventare attrice in un videoclip del gruppo. E mentre il matrimonio dei genitori va in pezzi, la musica, l’amore e il vitale rapporto col fratello maggiore Brendan daranno a Conor il coraggio, che non credeva di avere, per fare il grande salto. Sbarcare, letteralmente, a Londra, per conquistare la scena musicale e un’altra vita.
John Carney armeggiava pure lui con una chitarra acustica, quando aveva pressappoco l’età di Conor, che qui si attacca insicuro allo strumento spesso per non sentire i genitori litigare. Ora però è diventato un regista dalle inclinazioni acustiche, e dopo Once (2006), un mélo-musicale ambientato a Dublino, e Tutto può cambiare, (2013), ruvida commedia sentimentale con Mark Ruffalo e Keira Knightley, in Sing Street sceglie la strada del film collettivo, sposando la commedia di costume adolescenziale, il romanzo di formazione e il musical, anche se di quest’ultimo grande genere percorre solo il lato sonoro.
Divertente nel fare il verso, col senno musicale e cinematografico del poi, alle mode e ai ritmi di un’epoca leggera, che ha digerito la rivoluzione di Beatles e Rolling Stones e resta ai margini del punk sporco e politico di Clash e Sex Pistols, Sing Street, titolo del film e della band, dà la sua versione ironica e irlandese del racconto di strada, di ambiente modesto se non proletario. Conor grida ”I am a Futurist”, abbastanza all’oscuro di ciò che davvero significhi, almeno nella storia della cultura, ma è chiaro che anche per lui e i suoi amici vuol dire in qualche modo un futuro altro, “oltre”, diverso, più grande di quello in cui sono nati, che produce alcolismo e famiglie distrutte. Tra sentimenti acerbi ma sinceri, speranze e sogni folli, troppo grandi (ma poi, chi lo sa?) per avverarsi davvero.
Il riferimento più ovvio è The Commitments (1991) di Alan Parker, per la comune ambientazione popolare dublinese e l’epoca di riferimento (qui metà anni 80, là primi 90), la musica e la struttura di film su una band in costruzione. Con tutte le illusioni e le paure, tipicamente giovanili, che questo perimetro si porta inevitabilmente dietro. Ma sarebbe ingeneroso definirlo una pallida imitazione del cult di Alan Parker, certamente più energetico e ritmato di Sing Street, anche perché il film di Carney finisce per concentrarsi soprattutto sulla storia d’amore, venata di glamour e creatività, di Conor e Raphina. Che i due attori – soprattutto l’appena 17enne Walsh-Peelo, disinvolto ben più di quanto l’età potesse far immaginare – rendono decisamente fresca e credibile, rimediando a qualche caduta sentimentale e un po’ ruffiana della sceneggiatura, scritta dello stesso regista
Sing Street, di John Carney, con Ferdia Walsh-Peelo, Lucy Boynton, Aidan Gillen, Maria Doyle Kennedy, Jack Reynor