Sette anni dopo il brillante debutto con “A Single man”, il regista-stilista americano conferma con “Animali notturni” tutte le sue qualità di autore. Ma nel raccontare la doppia storia di Jake Gyllenhaal, ex marito di Amy Adams e viaggiatore notturno, con moglie e figlia adolescente vittime di un trio di balordi, nelle buie profondità dell’America, si lascia prendere la mano dagli eccessi di una forma gelida. Così, benché gli attori siano ottimi (anche il detective Michael Shannon) e la storia abbia suspense e ritmo, finisce per smorzare il pathos verso i personaggi e annacquare la tensione
Ne ammazza più l’estetica che la guerra, pare dire l’ultimo film di Tom Ford, Animali Notturni. Lui è al suo secondo film dopo A Single Man con Colin Firth, che ormai risale al 2009. Ci ha pensato molto, quindi, prima di fare questo nuovo progetto. Forse troppo. Perché Animali Notturni è un film pieno di grandi possibilità, ma rovinato da un eccesso di gelida forma. L’abitudine di Ford al pensare ogni singola scena quasi come fosse uno scatto fotografico, soprattutto, ahimè, lo scatto di un’elegantissima pubblicità di moda, rende a volte il film inutilmente distante: una maniera per allontanare chi guarda, invece che coinvolgerlo fino in fondo. Il che è un peccato, perché di motivi per partecipare al racconto ce ne sarebbero molti.
La storia prende avvio quando Susan (Amy Adams), che possiede un’elegante galleria a Los Angeles, riceve un manoscritto dal suo ex marito Edward (Jake Gyllenhaal). Si chiama Animali Notturni ed è dedicato a lei. Dal momento in cui inizia a leggere il romanzo, si sviluppa una seconda storia, quella raccontata nel libro di Edward, la descrizione del viaggio di Tony (sempre Gyllenhaal) che con moglie e figlia adolescente verso il Texas, per una vacanza. Quando scende la notte, i tre si trovano su una di quelle infinite autostrade che si srotolano per centinaia di chilometri nel nulla assoluto. Ma anche dal nulla può spuntare il terrore, quando la famigliola incrocia un’auto con tre sbandati.
In realtà la lettura del libro è il pretesto offerto a lei per ricordare quel suo primo matrimonio, di diciannove anni prima, con Edward, un aspirante scrittore idealista e romantico. Dopo le nozze Susan, che proviene da una famiglia ricca e decisamente poco romantica, inizia a dubitare del talento del marito, lo crede debole, inetto. E poco a poco anche il suo amore si sgretola sotto i colpi della realtà, finché lo tradisce e lo lascia per colui che diventerà il suo nuovo compagno. Man mano che Susan procede nella lettura, comprende però che il racconto non è altro che una forma di vendetta di Edward nei suoi confronti: attraverso l’allegoria del loro matrimonio, le dimostra che è capace di scrivere un libro di successo.
I fatti del libro ci vengono raccontati da Ford in parallelo alla vita di Susan. Tanto quella della donna è fredda e composta di sola apparenza, quella di Edward/Tony è vibrante e reale. E proprio in questa parte, con il racconto della famiglia assalta dai tre mascalzoni, il regista convince di più. Tutta la sequenza notturna in cui, come con un topo, i tre balordi/gatti accerchiano e a poco a poco artigliano Tony, approfittando impietosamente del suo lato più debole e conciliante, fino a portargli via moglie e figlia adolescente, è veramente magistrale. Si viene presi da una tensione enorme, le ginocchia saltellano incontrollabilmente mentre si è seduti al proprio posto e ci si torce le mani con ansia. Insomma, Ford fa ottimamente quel che deve fare un regista in questi casi, proprio come altri grandi registi prima di lui in questi casi, a partire da Steven Spielberg in Duel.
Ma poi, che je pozzino…. Improvvisamente torna Tom Ford, le grand couturier de la mode internationale. Per dirvela in parole comprensibili, torna a fare lo stilista. In soldoni, succede che improvvisamente sembra che Ford per primo non creda alla sua capacità di saper fare un film duro, forte, profondo, e inizia a infilare una serie di scene che sembrano pensate per un annuncio su Vogue. E così, ogni volta che vediamo Susan stesa nel suo letto a leggere il libro di Edward, ci tocca sorbircela fra le lenzuola satinate, chiedendoci se da un momento all’altro non possa spuntare un profumo.
Persino in uno dei momenti più drammatici del film, quando i corpi della moglie e della figlia di Tony vengono ritrovati una discarica, perché, in nome di dio, il regista sente il bisogno di comporli artisticamente su un divano rosso, che proprio non si sa come ci sia finito in un immondezzaio in mezzo al deserto texano? La morte è brutta, non c’è bisogno di fornirgli un sofà rosso per scaricarne la brutalità. Ed è un peccato che il regista americano abbia come paura di sé stesso, della propria maestria, delle proprie capacità.
Perché il film resta a tanto così dall’essere davvero convincente. Innanzitutto la storia è forte e coinvolgente anche senza il bisogno di uno svolgimento ossessivo-compulsivo per stare in piedi. A volte la perfezione maniacale soffoca le cose. Gli attori sono molto bravi, a partire da un ottimo Michael Shannon, costretto a dimagrire di parecchi chili e a fumare in continuazione per entrare nei panni del detective che indaga sul delitto. Ma anche gli altri sono tutti convincenti, e grazie Tom per aver più volte indugiato su Jake Gyllenhaal nella doccia.
Menzione speciale per le majorettes obese costrette a ballare nude durante tutti i titoli di testa.
Animali notturni, di Tom Ford, con Amy Adams, Jake Gyllenhaal, Michael Shannon, Isla Fisher, Aaron Taylor-Johnson