Due attrici in grande spolvero, Emmanuelle Davos e Nathalie Baye, danno forza a “Per mio figlio” di Frédéric Mermoud, un thriller psicologico ambientato nella Svizzera lacustre. È lì che un ragazzo ha perso la vita, investito da un’auto poi sparita, è lì che la madre di lui andrà a cercare la verità, e forse la sua vendetta. Finchè l’incontro con un’altra donna la convince che la realtà è più complicata
Perdere una persona cara, è un destino sempre difficile da accettare. Se poi questa persona è morta in circostanze tragiche, come un omicidio o un incidente, la nostra vita ne uscirà ancor più sconvolta. Di questo parla Per mio figlio, il film di Frédéric Mermoud premiato all’ultimo Festival di Locarno, che racconta il dramma di una madre che ormai ha un solo scopo: trovare chi le ha ucciso il figlio.
Diane (Emmanuelle Devos) non si è più ripresa dalla morte del figlio Luc, investito e abbandonato su una strada in riva al Lago Lemano mesi prima. Nonostante l’ex-marito Simon (Samuel Labarthe) voglia affidare l’indagine alla polizia, Diane è decisa a farsi giustizia da sola, tanto da assumere un investigatore privato (Jean-Philippe Ècoffrey) che riesce a fornirle i dati su quella che, secondo i testimoni, è la persona che ha investito suo figlio: una donna bionda alla guida di una Mercedes color caffè (moka in francese, titolo originale del film). Le sue ricerche la conducono a Marlène (Nathalie Baye), proprietaria di una profumeria in Francia, oltre il confine svizzero. Da qui in poi Diane inizierà a frequentare sempre più Marlène, per cercare di scoprire la verità e ottenere la sua rivalsa, e il compagno di lei Michel (David Clavel), secondo le testimonianze anch’egli presente nell’auto la notte dell’incidente. E conoscendo l’uno all’insaputa dell’altra, scoprirà molte cose della loro vita privata, fino a capire che la realtà dei fatti è più complicata di quel che sembra.
Uno degli aspetti più insoliti del film è la protagonista: in questo genere di storie, è più spesso l’uomo a cedere alla disperazione, al desiderio di vendetta, mentre se a farlo è una donna, come ha detto lo stesso regista, tendiamo a descriverla come una manipolatrice, una disturbata. Ma la figura di Diane si discosta molto da questo: è una madre che ha perso l’unico figlio, e la sua rabbia si tramuta in un’ossessione, non è solo quella di trovare il colpevole, ma anche capire di più della vita del figlio. Lei guarda spesso le foto, i video caricati sul cellulare del ragazzo, arrivando a scoprire quei segreti che gli adolescenti non svelano ai propri genitori. Attraverso di essi, grazie ai ricordi personali, il giovane Luc rimane una presenza forte nel corso della storia, tanto che Marlène, pur ignorando la vera identità di Diane, percepisce in lei un lato materno.
Emmanuelle Devos dà il meglio di sé in un ruolo per niente facile: quando mente a Marlène, interpretando non se stessa ma un’altro personaggio, cerca di mantenere la calma nonostante gli attacchi d’ansia. E il suo ruolo è incredibilmente simile a quello interpretato proprio da Nathalie Baye, anch’essa molto brava, in La Volante, un film francese del 2015 con una trama molto simile a quella di Per mio figlio. Frèdèric Mermoud, che pure è solo al secondo lungometraggio (e anche nel primo, Accomplices, la Devos era protagonista), dimostra di essere un buon regista, in grado di rendere credibili storie forti e parallele e di saper usare la musica giusta al momento giusto. E la sceneggiatura, parzialmente basata su un romanzo di Tatiana De Rosnay (più conosciuta per La chiave di Sara), ha un’ottima impostazione, pur con qualche scena monotona. Per mio figlio non è un semplice thriller: è soprattutto un dramma psicologico che scava a fondo nell’animo umano per mostrarci di cosa siamo capaci quando perdiamo ciò che abbiamo più a cuore.
Per mio figlio, di Frédéric Mermoud, con Nathalie Baye, Emmanuelle Devos, Samuel Labarthe, Jean-Philippe Ècoffrey, David Clavel