La musica che gira intorno/9

In Musica

Qualche italiano (Arisa, Ezio Bosso, Tiziano Ferro) e un po’ di chicche sant’ambrosiane (dallo Stravinskij estremo e sacro interpretato da Herreweghe allo storico duo Dave Liebman & Richie Beirach) per allietare questa pigra giornata festiva. In attesa del Natale

Bruno Mars – 24k magic/ Versace on the floor
Fun and dance, divertimento e danza. E tanti rimandi alla black music e al clima degli anni ’90 dove, dice lui, se non sapevi ballare non rimorchiavi. È l’essenza di 24k magic (***1/2), terzo album dell’hawaiiano trapiantato a Los Angeles Bruno Mars. Musica derivativa, edonismo cafoncello? Può darsi, nell’album Unhortodox jukebox i saccheggi reggae e le citazioni (Police, Billy Joel e altri) fioccavano, ma Bruno Mars è uno che sa il fatto suo, un perfezionista in studio di registrazione e un performer eccitante tra Stevie Wonder e Michael Jackson. Certo, un disco nudo e crudo con trenta minuti di musica, niente iperproduzioni e nove pop song che vanno dritte al nocciolo senza bisogno di interludi parlati, è piuttosto insolito e proprio per questo farà sfracelli. Rilassatevi, è soltanto musica epidermica e contagiosa, potreste persino divertirvi.


John Legend – Love me now / Right by you (for Luna)
Legend è un soprannome, perché quando faceva da apripista nei concerti dei colleghi più famosi molti fra il pubblico dicevano che cantava “come le vecchie leggende”. Lui in realtà si chiama John Roger Stevens, ha 37 anni, è laureato in letteratura, ha vinto un Oscar (miglior canzone originale per Selma – La strada per la libertà), un Golden Globe e dieci Grammy. Voce suadente, una naturale eleganza nel porgere ballad sinuose e sentimentali e nel dare voce all’ottimismo ora sulla difensiva della classe media obamiana, John Legend è il migliore interprete contemporaneo di quel che un tempo si chiamava soul. E con questo Darkness and light (****), solido prodotto centrista con aperture “a sinistra”, si muove a suo agio fra pianismi discreti, archi, ritmiche mosse ma non troppo e garbate incursioni nel campo altrui dell’hip-hop. Molto piacevole.


Dave Liebman & Richie Beirach – Siciliana/ For all we know
Ballate in forma di paesaggio, o paesaggi in forma di ballate. Americani e coetanei – sono nati uno nel 1946 e l’altro nel 1947 –, il sassofonista Dave Liebman (soprattutto sax tenore, ma in Balladscapes, ****,  anche soprano e flauto dolce) e il pianista Richie Beirach suonano in duo e in gruppo fin dagli anni ’60. Liebman ha collaborato con Miles Davis, Chick Corea, Elvin Jones e altri, mentre Beirach è stato allievo di Lennie Tristano e ha suonato con Stan Getz e Chet Baker. Un repertorio lirico e intimo, di salda eleganza e appena con qualche manierismo da parte di Beirach. Ho scelto la Siciliana di Bach e For all we know di Fred Coots, ma si impongono all’ascolto anche Sweet pea di Wayne Shorter e il dittico Welcome/ Expression di John Coltrane.


Philippe Herreweghe – Threni e Requiem canticles di Stravinskij
Lo Stravinskij estremo e sacro, inattuale e seriale delle Lamentazioni di Geremia (Threni, del 1958) e dei frammenti di messa per i defunti del 1966 (Requiem canticles), in un latino scabro. Apre  il disco The dove ascending the air, testo di T. S. Eliot, lo chiude un mottetto incompiuto di Gesualdo da Venosa, Da pacem Domine, reinventato da Stravinskij.  Per queste tarde pagine, fra le meno frequentate del maestro russo, interpretazione superlativa di Philippe Herreweghe (****1/2) alla guida della Royal Flemish Philharmonic e con l’apporto del Collegium Vocale Gent. Di recente Herreweghe ha inciso anche O dolce mio tesoro (****1/2), il sesto libro dei madrigali di Gesualdo.


Moby – Are you lost in the world like me?
A volte ritornano all’adolescenza. Richard Melville Hall, 51 anni, nome d’arte Moby (sì, è un pronipote del Melville di Moby Dick), dj e mago dell’electro dagli anni ’90, per il tredicesimo album These systems are failing (***), riscopre una rabbia post-punk da ragazzaccio inglese dei ’70, con registrazioni grezze da garage di casa, distorsioni e fuzz. Moby oggi è cristiano, animalista e vegano, a ognuno le sue ossessioni. Benvenuta la rabbia, non fosse che i toni apocalittici contro l’avidità e lo strapotere del denaro suonano strani in bocca a uno che si è arricchito trafficando con la pubblicità, e gli anatemi contro la tecnologia che ci isola e ci rende più soli sarebbero forse non più veri, ma senz’altro più sinceri se li cantasse un folksinger degli Appalachi con la sua chitarrina acustica, e non uno che con la tecnologia (in musica) ci ha campato e ci campa. “Mr Melville, anche lei al bordello?” “Ah, ma io passavo di qui con l’amuchina, per disinfestarlo dalle piattole”.

 

Emeli Sandé – Breathing underwater/ Hurts
Scozzese di padre zambiano, studentessa di medicina prima di imbroccare l’esordio folgorante con  Our version of events, album che nel 2011 rimase per 63 settimane nella top ten infrangendo il record cinquantennale dei Beatles, Emeli Sandé (che di primo nome fa Adele, come la collega-rivale) ha una gran voce da soprano. E un’attitudine a scrivere power ballad che si vorrebbero intense e suonano invece, per  quanto non brutte, un po’ stereotipate. Tempo fa il Guardian aveva infilzato lei e Adele con la categoria “the new boring”. Di recente Pitchfork ha rincarato la dose: dolore per chitarra acustica, dolore per piano, dolore per piccolo e grande coro, dolore e cuore spezzato per drum machine. Il nuovo album Long live the angels (***1/2), più maturo del precedente, aggiusta un po’ il tiro con spezie africane e il coro familiare di Tenderly.


Arisa – Una cantante di musica leggera/ Sincerità/ La notte
Adoro Arisa, anche se vuole sposare Fedez. La deliziosa finta tonta dei talent, la candida che sa quel che fa e quel che vuole, è una delle cantanti migliori del nostro pop, per combinato disposto di una voce affascinante e della buona qualità media del suo repertorio.  Questo Voce (***1/2), che offre 19 dei suoi successi, dallo splendido esordio del 2009 (Sincerità, qui più asciutta e meno rotonda) all’inedita Una cantante di musica leggera di Francesco Tricarico, che fa simpatia già dai primi dieci secondi.



Ezio Bosso – La fille aux cheveux de lin/ Mechanical dolls
La grande popolarità l’ha conquistata comparendo a Sanremo ma Ezio Bosso, nato a Torino nel 1971 e per tre anni bassista degli Statuto prima di dedicarsi al piano, alla composizione e alla direzione d’orchestra, non va assimilato alle star del “classical pop”. È, piuttosto, un intenso compositore post-minimalista, un notevole autore di colonne sonore (Io non ho paura, Quo vadis baby?  e Il ragazzo invisibile per Gabriele Salvatores) e una persona ammirevole. And the things that remain (****),  antologia con qualche inedito e tre composizioni classiche (La fille aux cheveux de lin di Debussy,  la Stanza BWV 855.a “The children’s room” di Bach e il Preludio op. 28 n. 4 di Chopin) con cui Bosso festeggia il contratto mondiale con Sony Classical, conferma il suo talento.


Valter Gatti – All along the watchtower/ Raffiche di vento/ Gloomy witness
Un giornalista, il lodigiano Valter Gatti, classe 1959, da sempre appassionato di musica, e in particolare di rock e blues sudista, decide di saltare il fosso. Di fare musica, invece di recensirla. Il risultato è questo Southland (***1/2), denso e viscerale, arricchito da due belle cover (All along the watchtower di Bob Dylan e The joker di Steve Miller) e dal contributo di bravi musicisti italiani (Massimo Priviero e Michele Gazich su tutti) e americani (Greg  Martin e Chris Hicks, lead guitar rispettivamente dei Kentucky Headhunters e della Marshall Tucker Band). Azzardo riuscito, scommessa vinta.



Tiziano Ferro – Il mestiere della vita
A cinque anni di distanza dal lavoro precedente, uno si aspetta come minimo l’evoluzione, come beata speranza la rivoluzione. E invece niente, Il mestiere della vita (***) è invece operazione di puro, per quanto piacevole, reset. Le sue classiche ballad con le melodie un po’ scure, qualche aggiornamento elettronico, qualche suono up to date. Carino, niente da dire, ma si può dare di più.

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