Parigi. Estate post seconda guerra mondiale. Tre personaggi, tre diverse esperienze, temperamenti ed estrazioni sociali, ma tutti e tre accomunati dalla lotta contro il proprio doppio, il proprio demone interiore. “Ritrovarsi a Parigi” di Gajto Gazdanov
Sarò sincero, di Gazdanov prima di quest’anno ignoravo proprio l’esistenza. E leggere della sua militanza nell’Armata bianca durante la guerra civile russa non me lo faceva essere nemmeno troppo simpatico. Maledetti schematismi, quando si tratta di scegliere fra Pellerossa e coloni americani è semplice, come fra Rossi e Bianchi in Russia, solo che poi la Letteratura ragiona in modo diverso e le fedi politiche lasciano il tempo che trovano. Dicevo, se non mi fossi imbattuto nella bella foto di copertina, che ricorda tanto la “Nouvelle vague” quanto gli scatti di Doisneau, e se non avessi avuto tutta questa passione per la Francia e le cose francesi, probabilmente avrei perso l’occasione di leggere e scoprire il racconto di questo strano triangolo che Ritrovarsi a Parigi descrive.
Tre personaggi, tre diverse esperienze, temperamenti ed estrazioni sociali, ma tutti e tre accomunati dalla lotta contro il proprio doppio, il proprio demone interiore. Già dai nomi dei protagonisti si comprende questa dualità, questo sforzo o la mancata comunicazione da parte loro con una parte di se stessi: Francois, Pierre, Anne sono nomi che possono diventare facilmente composti (Jean-Francois, Jean-Pierre ecc.) e la stessa Anne diventa nel corso del racconto e della sua vita Marie. Pierre e Anne-Marie sono la base di questo triangolo, mentre Francois, il giornalista, l’umanista che in qualche modo fortuitamente li ha fatti incontrare è il vertice lontano e nello stesso momento presente.
Ambientato in un estate post Seconda Guerra mondiale il racconto inizia con e come un viaggio iniziatico preceduto da un diluvio preparatorio. Pierre accetta di andare in vacanza nel Midi ospitato da Francois e sua moglie, lascia Parigi in treno il 2 Agosto dopo tre giorni di pioggia ininterrotta. L’elemento liquido che lava, pulisce ma può anche far annegare, così comincia la risalita del protagonista. Attraverso il contatto con la natura atemporale della foresta ai confini della quale c’è la casa di Francois, Pierre riscopre il silenzio, l’immutabilità di uno spazio reale ma che si pone metaforicamente fra sogno e realtà, scopre in quello spazio un’esistenza congeniale al suo temperamento. Dopo la morte della madre con la quale divideva l’appartamento di Place Denfert-Rochereau a Parigi e di cui si prendeva cura come se fosse l’unica occupazione che desse senso alla sua vita di “francese medio”, Pierre aveva continuato ad abitare la sua vita meccanicamente come d’abitudine, senza alcun calore o barlume di interesse o passione, ma l’incontro con Marie cambierà le carte in tavola.
Marie, o Anne come verremo a scoprire che si chiama durante il racconto, o ancora Anne-Marie come credo sia più giusto chiamarla, è il punto di svolta, il nodo che risolve i conflitti. Nell’Agosto del ’40 Francois l’aveva trovata ai confini della sua tenuta in condizioni estremamente preoccupanti e l’aveva portata in casa, ma col passare del tempo, dato che ogni approccio non riceveva risposta conseguente, sfiduciato sul fatto che potesse in qualche modo riprendersi, aveva lasciato che prendesse ad abitare in una baracca non troppo lontano da casa sua. Totalmente inebetita, come scossa da un evento deflagrante non era più presente a se stessa, incapace di parlare e di comportarsi come una donna, con la sola capacità di soddisfare bisogni primordiali come quelli fisiologici, la fame, la sete, il sonno e poco altro. Niente vita, nessun calore nei suoi occhi e sulla sua pelle ormai indurita da sporcizia e noncuranza.
Nelle poche settimane di vacanza con Marie abituata alla presenza curiosa di Pierre, l’uomo cova il desiderio prima e la convinzione poi di voler portare la ragazza a Parigi con lui. Se ne sarebbe preso cura come aveva fatto fino ad un anno prima con la madre.
Gioco di sostituzioni nella quale la psicanalisi prova ad entrare anche testualmente, ma nessun specialista riesce a comprendere o a dare risposte significative al muro di gomma che separa Marie dalla realtà. Nonostante le difficoltà e piccoli passi in avanti a Parigi la ragazza continua a non parlare se non meccanicamente fino ad una meningite che quasi la uccide.
Marie ritorna Anne dopo la malattia e riscrive il suo passato in due tempi su due quaderni che fa leggere a Pierre con il quale vive nell’appartamento parigino. Nel primo quaderno i ricordi d’infanzia, le sensazioni, i desideri e le passioni, nel secondo il duro scontro con la realtà, le delusioni e le amarezze.
Come i personaggi si muovono in punta di piedi fra il loro “ essere” e il “dover essere” così il racconto si dipana per dualità : dal già citato sogno-realtà al più logoro e usato città-campagna, fino alla parola che oralmente veicola il pensiero, ma scritta veicola il ricordo. Il risveglio, questo il titolo originale, porta con se il non detto, l’improvvisa estasi del sogno, quell’esatto momento Gazdanov vorrebbe descrivere, quando ancora non è possibile fare distinzioni fra ciò che è razionalmente possibile e quello che non lo è. In un certo senso lo fa dire a Francois, che inconsapevolmente ha mosso i fili del racconto, senza di lui non avremmo nessuna Marie, nessun incontro e nessuna “resurrezione” di Pierre. Francois il giornalista, l’uomo di lettere, generoso ma anche cinico e misantropo, vedendo Anne-Marie ormai completamente “ sanata” grida al miracolo e si lancia esaltato in un elogio dell’irrazionalità del non comprensibile, che scioglie i nodi drammatici e tematici del dramma da camera.
Se di miracolo si vuole parlare, non si tratta ovviamente solo della guarigione, del ritorno alla vita e quindi al passato e al futuro della ragazza, ma anche soprattutto della fiducia che ritrovano i protagonisti smascherando e affrontando con consapevolezza il proprio doppio che li ha tenuti a lungo infelici e rabbiosi senza un briciolo di tenerezza per se stessi. Il miracolo di chi si sporge verso l’abisso all’interno delle proprie tensioni, delle proprie paure e ne riemerge non solo vivo e vegeto, ma anche trasformato e con un nuovo nome, come Anne-Marie.