La Ruina elabora un dramma con confessioni a una mamma che non c’è più, ma il risultato non è perfetto…
Quello di Saverio La Ruina al Piccolo Teatro di Milano è un debutto a tutti gli effetti: non solo perché Masculu e Fìammina è il suo ultimissimo lavoro, ma anche perché per calcare la scena dell’istituzione teatrale milanese al drammaturgo/regista/interprete di Castrovillari ci sono voluti più di vent’anni di carriera. Una carriera costellata di innumerevoli riconoscimenti prestigiosi, che comprende, fiore all’occhiello, la direzione di uno dei festival più frequentati dalla critica nazionale, quel Primavera dei Teatri, realizzato in collaborazione con la sua inseparabile compagnia (Scena Verticale).
Per il suo esordio La Ruina sceglie il monologo di un uomo che confessa alla madre, ormai deceduta, la propria omosessualità: un coming out fuori tempo massimo, che avviene nel clima surreale di un cimitero innevato di un paesino della Calabria. Come a dire, con pacata amarezza, che soprattutto in certi contesti ostinatamente bigotti e tradizionalisti (in meridione come al nord), alcune libertà si conquistano quando ormai è troppo tardi, e ogni senso di pacificazione interiore assume inevitabilmente riverberi funerei. È dunque in chiave dolce-amara che Peppino (questo il nome del protagonista) si mette a sgranare il rosario della sua vita sentimentale: una sinfonia di parole, fatti e ricordi segreti che attraversano l’arco di un’intera esistenza per venire depositati, insieme a una rosa rossa, sul sepolcro materno. Il suo confessarsi è prima di tutto un atto di devozione e di rispetto, ma si trasforma man mano, in azione liberatoria e, in ultima istanza, in gesto di protesta simbolico. Il ritorno al ventre della madre “con la speranza di poter rinascere un giorno” e vivere la propria identità sessuale senza vergogna, diventa così sit-in tombale contro una società ostile, che fa della parola diffamante lo strumento eletto con cui alimentare il pregiudizio e le discriminazioni (“ricchione” come “clandestino”).
È allora proprio sulle parole che si concentra Peppino/La Ruina: il suo monologare è una compostissima parlata calabrese, dove il tono, sommesso ed equilibrato, si increspa talvolta di una guizzante ironia per poi ripiombare in un modus dicendi confidenziale, a tratti ipnotico, che sa tratteggiare con precisione le nuances sentimental-psicologiche del racconto. A differenza di molti altri lavori dell’interprete calabrese però, in Masculu e Fìammina non sempre la narrazione trova un ritmo e una grazia adeguati e, appesantita da un commento sonoro melenso e da qualche inaspettata imprecisione interpretativa (le prime son sempre bestie nere!), rischia di risultare sfilacciata e un filo ripetitiva. Anche a livello drammaturgico rimane qualche perplessità tanto sul versante drammatico (la retorica è spesso dietro l’angolo) quanto su quello dell’umorismo, dove, oltre a insistere troppo su certi passaggi (i preti alle porte del paradiso), si registra qualche superflua concessione al nazional-popolare (dileggiare Luca era gay di Povia è ormai come sparare sulla croce rossa!).
Al netto di qualsiasi criticità intrinseca, resta il piacere di vedere La Ruina sul palco del Piccolo ed è interessante constatare come il suo lavoro entri organicamente in relazione con almeno altri due titoli apparsi recentemente in cartellone proprio allo Studio Melato. Il primo è quel MA di Antonio Latella di cui Masculu e Fìammina risulta opera ribaltata e complementare sotto molti aspetti, a cominciare dallo scorcio prospettico (lì era la madre di Pasolini a ricordare il rapporto col figlio morto), fino ad arrivare a quella interpretativa o tematica (religione vs. omosessualità). La seconda corrispondenza riguarda invece Mario Perrotta: anch’egli, come La Ruina, esponente di pregio di una generazione teatrale che ha fondato il proprio progetto artistico su una particolare sensibilità drammaturgica, anch’egli assente ingiustificato di lungo corso dal teatro fondato da Giorgio Strehler fino al debutto in questa stagione. Segno (un buon segno) che il teatro diretto da Escobar è tornato a diversificare la sua offerta con maggiore impegno, valorizzando – complice la consulenza artistica di Stefano Massini – un patrimonio nazionale fatto di piccole-grandi eccellenze, pronte per essere rivelate a un pubblico più ampio e a diventare (si pensi alla collaborazione tra Mimmo Borrelli e Saviano) opportunità economiche di manifesto valore culturale.
Foto in copertina di Tommaso Le Pera
Masculu e Fìammina di Saverio La Ruina. Al Piccolo Teatro Studio-Melato fino al 18 dicembre.