Un editore… in sordina

In Teatro

L’Editore: lo spettacolo di Loris e Balestrini (ispirato al romanzo di quest’ultimo) si ispira alla vita di Feltrinelli. Ma non morde…

Il 13 dicembre di questo terminar di 2016 è stata inaugurata la nuova Fondazione Feltrinelli in una sede fatta di vetrate e affacciata su Milano, con un programma di cinque giorni di spettacoli, proiezioni, incontri e letture su personaggi e tematiche quali – come poteva essere negli anni ’70 – Gramsci, Che Guevara, Gandhi, Messico, Sud Africa.

La stessa sera, non troppo lontano da via Pasubio, ha debuttato al Teatro Out Off L’editore, dedicato a Giangiacomo Feltrinelli: uno spettacolo tratto dall’omonimo libro di Nanni Balestrini e riadattato dall’autore stesso insieme al regista Lorenzo Loris.

In entrambi i casi si guarda al passato, forse per rivolgersi al futuro, o quanto meno al presente. La famiglia Feltrinelli promuove la cultura e invita «all’azione civile, per attivare, insieme, un processo che riguardi il quaderno dei temi della qualità della vita individuale e della convivenza tra persone» (dalla pagina Facebook dell’evento), e lo fa guardando avanti e insieme volgendosi alle radici del progetto di casa editrice e di fondazione.

E alle radici, certamente, sta la figura complessa e ardente dell’editore, con la sua visone del mondo e il suo intenso desiderio di cambiamento.

Così, mentre si inaugura la nuova fondazione, Loris affronta non la vita, bensì il momento topico della morte del signor Feltrinelli. Lo fa, purtroppo, con una scelta di regia vecchia e discutibilmente efficace: un gruppo di attori sta mettendo in scena uno spettacolo sulla tragica scomparsa di Feltrinelli, raccontata attraverso la reazione di alcune persone che gli erano state più o meno vicine – una coppia di politicanti (Emilia Scarpati Fanetti e Matteo Vitanza), una giornalista (Camilla Pistorello), un leaderino della sinistra extra parlamentare (Daniele Cavone Felicioni), un ex partigiano (Giovanni Longhin). Si passa da momenti in cui la compagnia fa tavolino a prove di scene con interruzioni del regista (Andrea Panigatti) e lamentele degli attori su monologhi che “così” non vanno – troppo patetici, troppo ridicoli –, fino a letture di documenti e articoli sulla morte dell’editore, il tutto in una scenografia composta di due tavoli e qualche sedia, che in diversi momenti rivestono diversi significati e ruoli.

Per quanto deludente, la regia riesce a cogliere la tendenza italiana a imbastire un evento così dirompente e importante in se stesso di discorsi laterali attraverso i quali ognuno, anziché affrontare il fatto, cerca di salvare la propria posizione, faccia o coerenza. Loris, inoltre, sceglie attori giovani: come a voler dire che è un’esigenza di questa generazione di trentenni quella di riappropriarsi del passato in modo da dar linfa al presente e, chissà, infine volgersi al futuro. Come viene detto da uno dei personaggi – considerazione banale ma non per questo meno vera – se non si agisce prima su se stessi, nel presente, non si può pensare di modificare il futuro. Le intenzioni, insomma, erano buone, e l’intensità di quella pagina di storia si percepisce nonostante tutto, ma non viene restituita con l’intensità dovuta, né dal testo né da alcuni degli attori – e così non muove, non smuove, non agisce profondamente quanto potrebbe sullo spettatore e non si irradia quindi sul presente.

Quel 14 marzo del 1972 segnò nel profondo la storia del movimento in Italia, il quale da allora sfociò incontrovertibilmente verso gli anni di Piombo, per poi rifluire nell’epoca della disillusione. Interrogare non solo e non tanto quella morte, quanto il riverbero che ebbe sulla società italiana (interessante infatti la lettura e proiezione di articoli di giornale dell’epoca) è un modo di indagare gli anni di storia che seguirono, fino a ritrovarne tracce nell’oggi.

Un peccato quindi aver sprecato l’occasione di confrontarsi con un personaggio e con una morte così emblematici affidandoli a una forma debole e inadatta, proprio nel giorno in cui il lascito culturale di Feltrinelli risuona con l’apertura della nuova fondazione. Viene spontaneo domandarsi, all’indomani della morte di Fidel Castro – amico, allora, dell’editore, e ultimo vessillo di quel Novecento che tanto ha sognato, sperato, lottato e fragorosamente fallito – quanto di questo alto desiderare sia ancora ardente e limpido e non corrotto dalla stanchezza e dall’incapacità di immaginare un mondo davvero diverso e migliore di quello che abbiamo davanti agli occhi.

(foto di scena di Agneza Dorkin)

L’editore,dal romanzo di Nanni Balestrini, adattamento Nanni Balestrini e Lorenzo Loris, al Teatro Out Off fino al 23 dicembre 

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