Abbiamo trascorso una serata a Mezzago a ballare Ska insieme a Yao Dinizulu, Alberto Tarin, Earl Appleton, Wayne Batchelor, JJ Sanchez e Freddie “Rocksteady” Reiter
La tradizionale cena degli avanzi di Santo Stefano insieme agli amici quest’anno si è conclusa in modo anomalo. Avevamo due possibilità: inglobare i nostri corpi con il divano e illuderci che avremmo giocato a Trivial Pursuit cercando di far emergere quelle poche nozioni non ancora affogate nella crema al mascarpone oppure andare a Mezzago e ballare Ska insieme ai New York Ska Jazz Ensemble.
Arrivati in loco, in anticipo, ci han tenuti chiusi fuori per una buona mezz’ora: penso che gli organizzatori non avessero altra scelta considerate le dimensioni molto ridotte del locale. Intorno a me solo i miei amici e quarantenni. Mi sono chiesta se avessimo sbagliato locale ma immediatamente mi accorgo di un manifesto in bacheca con Freddie Rocksteady Reiter e i suoi caratteristici aloni intorno agli occhi. Finalmente aprono le porte ed infreddoliti entriamo: una caldissima luce rossa proviene dalla stanza, ancora completamente vuota, in cui si terrà il concerto.
Dopo un giro di perlustrazione circondata da suggestivi Haiku illustrati mi posiziono alla sinistra del palco: una Korg e una Fender Stratocaster vicino a me mi guardano. Poco lontano la batteria circondata da sette microfoni e appoggiato ad un Marshall il basso, anch’esso Fender. Il locale inizia a riempirsi e le persone che avevo incontrato fuori al freddo iniziano a diversificarsi. Ci sono moltissimi giovani pronti in canottiera per ballare e qualche personaggio pittoresco tra cui due fotografe con le braccia completamente tatuate all’henné e una signora incinta al settimo mese che già si dimena a ritmo della musica reggae messa dal DJ. Capisco perché i Nirvana avevano scelto il Bloom come location per il loro primo live in Italia nel 1989.
Li vediamo entrare da sinistra: l’enorme Yao Dinizulu (batteria) apre la fila seguito a ruota da Alberto Tarin (chitarra elettrica), Earl Appleton (tastiere), Wayne Batchelor (basso) e JJ Sanchez (trombone). Correndo, per ultimo, arriva Freddie “Rocksteady” Reiter con il suo Sax, una coppola al contrario e degli occhiali da sole. Rimango un po’ delusa dall’assenza di un contrabbasso. Freddie si porta alla bocca il sax, con un gesto della lingua molto simile a un lama che si ripeterà infinite volte durante il live, staccano Free As a Bird facendo dei giochi di parole tra la parola Ska, Milano e Mezzago. Il pubblico inizia subito a dimenarsi: solo negli angoli del locale c’è staticità. Seguono a ruota I Mean You, Love and Affection e Arachnid. La struttura e la strumentazione sono tipicamente jazz ma i riff si rifanno allo Ska, così come i versi e le pernacchie che Freddie urla al microfono: quello che mi sembra rappresenti il NYSJE è una presa in giro al genere così apparentemente ingessato e da salotto ma senza demistificarne gli idoli e gli stilemi. Sono riusciti a reinterpretare con ironia quello che a volte si prende troppo seriamente: emblema di questo modus operandi è Take Five , brano originariamente del The Dave Brubeck Quartet contenuto in Time Out, del 1959.
Il brano della DBQ era in 5/4, utilizzatissimi nel Jazz: Yao però tiene un perenne 4/4, il ritmo più banale che si apprende l’istante dopo aver imparato ad impugnare le bacchette. Incredibile l’assolo di Tarin: lo scat, degno di Camille Bertault, è perfettamente in sincrono con le dita che corrono tra le tacche. Finito l’assolo Tarin ad occhi chiusi segue i 4/4 di Yao, Freddie si è intanto spogliato, balla molleggiato quasi a corteggiare il sax che ha in braccio. Durante l’assolo ci fa l’amore: è incontrollato ma il coitus viene interrotto dal tema iniziale che conclude la magia.
Seguono Joelle, in cui il pubblico applaude a ritmo senza accorgersi delle doppie voci leggermente calanti che migliorano solo col cambio di tonalità alla fine del brano e My baby don’t Care, brano per cui Freddie appoggia il sax e canta ricurvo sul microfono. Elegy ci ha trasportati nella pura psichedelia grazie al dialogo tra chitarra e flauto traverso, alterati entrambi dal delay: i due strumentisti non si sono guardati per tutto il tempo come se davvero stessero facendo un viaggio.
Durante l’assolo di flauto Freddie alza la gamba destra come un fenicottero e trilla con la lingua come Ian Anderson, forse omaggiandolo. In Teardrops from my eyes in origine di Ruth Brown, Tarin smette di suonare e canta, meglio di Freddie che è davvero provato non so se dall’alcool, da qualche sostanza psicotropa o dall’ipercinetismo che lo contraddistingue.
I cinque continuano comunque a suonare fino alle 2 del mattino ininterrottamente soddisfando la metà del pubblico che li richiama fuori e l’altra metà che continua a pogare senza accorgersi che la musica è finita. Sull’ultimo brano, Nusty by Nature, noto un ragazzo sulla trentina dietro al trombone di JJ Sanchez, special guest della serata, che suona le transenne con le dita: in un lentissimo rallenty la musica si spegne e, come ancora dentro a un giroscopio, la mia sigaretta si accende nel freddo di Mezzago.