Robert Zemeckis gioca con due superstar e una trama a tante facce, ambientata in piena Seconda Guerra Mondiale. L’amore tra i due agenti segreti, il mistero dell’identità della donna, la missione di eliminare un ambasciatore tedesco: tutto resta in bilico tra un lato sentimentale preponderante e una suspense che fatica a farsi spazio. Film con luci e ombre, dove comunque la maestria di regista e protagonisti riesce per lo più a tener vivi lo stupore, la curiosità dello spettatore sull’esito dell’intrigo
Spesso un’opera cinematografica si compone di un mosaico eccessivo di tasselli differenti, alcuni luminosi, altri opachi. Si colloca suo malgrado in questa “casella” anche Robert Zemeckis, con la regia del suo nuovo Allied. Nel cuore della Seconda Guerra Mondiale si assiste all’incontro segreto a Casablanca, nel 1942 (l’anno di uscita del celeberrimo film omonimo con Ingrid Bergman e Humphrey Bogart!) della spia canadese Max Vatan (Brad Pitt) con la collega francese Marianne Beausejour (Marion Cotillard). La loro missione prevede l’assassinio di un ambasciatore nazista. Travolta dalla delicatezza dell’incarico e dal turbine della passione, la coppia finirà per innamorarsi e convolerà a nozze. Tutto sembra procedere favorevolmente, sino a quando l’uomo riceve una notizia sconcertante sulla probabile reale identità della consorte. E dal quel momento si scatenerà una corsa frenetica per scoprire come stanno davvero le cose.
Dovendo scegliere un termine esatto per definire il ritmo narrativo alla base del film, si dovrebbe parlare di un climax lento ma ascendente, almeno fino agli ultimi minuti, poco prima della conclusione. Il pregio della collaborazione tra Zemeckis e lo sceneggiatore Steven Knight in questo prodotto s’identifica con l’allestimento di una storia che recupera, e, nei momenti giusti attenua, la suspense; non si tratta magari di un mistero sullo schermo che rapisce esattamente a tutto tondo la curiosità dello spettatore, ma convince e al tempo stesso lascia spazio alla rappresentazione di altri elementi, come il profilo dei due protagonisti. Ciò valorizza il lavoro di Brad Pitt e Marion Cotillard, affiatati in modo inconsueto e convincente, ma coinvolgenti anche negli assoli interpretativi.
Da un lato, però, mentre volentieri si partecipa all’evolversi degli eventi, ai tentativi di avvicinarsi alla soluzione dell’intrigo, dall’altro non si può fare a meno di notare la difficoltà di decollo del soggetto, a scapito delle sue autentiche potenzialità. Ecco perché rivalutarne i meriti diventa a tratti quasi tangibilmente rischioso, a fronte anche della fretta dell’epilogo. Perché lì il film rivela il suo lato semplicistico, più attento all’apparenza dell’enigma che al suo – breve o articolato – approfondimento. Nonostante questi difetti, Zemeckis dimostra lo stesso una smaliziata abilità nel dilatare o rimpicciolire consapevolmente i colpi di scena disseminati per la trama, mitigando così le imperfezioni della struttura, in un risultato che salva l’estetica generale, benché al livello solo immediato.
Probabilmente la tematica sentimentale, inscindibile dalla poetica del regista, rivendica il proprio ruolo rispetto ai linguaggi della spy story e del thriller, e inibisce soluzioni possibilmente più interessanti. I due attori, dal canto loro, esprimono la crescita e la complessità della relazione amorosa e ne presentano la dimensione più tormentata ma genuina. Estrapolati da un bilancio complessivo, riescono nel loro intento, tuttavia la vicenda emotiva si conclude in maniera frenetica, persa nell’intenzione insidiosa di spiegare ad ogni costo la profondità del sentimento.
Allied si muove secondo un percorso discontinuo. Forse si accontenta di abbagliare con un supporto tecnico validissimo, o forse si affida con troppa fiducia ad alcune scelte, senza accorgersi dell’importanza di mantenere un equilibrio, necessario in un racconto per stupire davvero.
Allied di Robert Zemeckis, con Brad Pitt, Marion Cotillard, Jared Harris, Lizzy Caplan, Daniel Betts