La guerra e l’amore tra Dio e l’uomo nell’arcaico Giappone di Scorsese

In Cinema

Ispirato all’omonimo best seller anni 60 di Shusaku Endo, “Silence”, il nuovo film del regista newyorchese, racconta le vicende di due preti missionari cattolici che a metà del ‘600 subiscono la repressione dei samurai del nuovo potere centrale. E con loro finiscono vittime di torture e uccisioni molti contadini convertiti. Oltre l’affresco storico, un film sul rapporto con la divinità, sull’orgoglio e la pietà, e sulla convinzione europea e occidentale che ogni idea, cultura e fede possa essere “esportata” ovunque. Con un ottimo cast: Andrew Garfield, Adam Driver, Liam Neeson, Issey Ogata

Il dolore solitario, la sofferenza individuale, il rapporto tormentato con la propria religiosità in bilico tra orgoglio e intransigenza, la visione di un Dio restio alle rassicurazioni ma inflessibile nella sua richiesta di fedeltà, insomma, quello che si potrebbe definire una cultura e un immaginario contro-riformista (in senso storico, seicentesco, e non a casa proprio in quel secolo il film è ambientato) sono al centro di Silence, il nuovo film di Martin Scorsese. Che l’ha realizzato, dopo molti anni di elaborazione e gestazione interiore, anche sulla base del libro omonimo pubblicato in patria con grande successo nel 1966 da Shusaku Endo, scrittore giapponese di famiglia cristiana, che alla riflessione sul rapporto tra fragilità umana e mistero della divinità ha affidato le sue fortune letterarie. E a quel testo il regista newyorchese ha lavorato fin dalla fine degli anni Ottanta.

Siamo appunto in Giappone, e in un biennio (1640-41) che si colloca in un momento di svolta drammatica non solo per la presenza cattolica ma in generale per i rapporti tra quello stato, quella civiltà, e i paesi europei. Da un secolo i missionari venivano benevolmente accolti nell’arcipelago, tanto da arrivare, al principio del XVII secolo, alla cifra notevole di 300mila: le guerre tra feudatari, tramite i loro samurai, e il processo di riunificazione del paese portano però a una chiusura drastica, che inibirà il mondo nipponico per oltre 200 anni agli stranieri “bianchi”, osteggiati perché attori di una sorta di invasione culturale e religiosa. Vissuti in qualche modo anche come emissari delle potenze militari e commerciali dell’epoca (Inghilterra, Spagna, Olanda, Portogallo), i predicatori cattolici finiranno per diventare vittime di persecuzioni sistematiche che Scorsese documenta con toni, cromatici e narrativi, che anche questi rimandano nei loro interni rossi e ocra, nei volti allungati dalla sofferenza fisica e dalla macerazione interiore all’iconografia di maestri “controriformisti” come Murillio o Zubaran.

SILENCE

Silence , che racconta soprattutto le drammatiche vicende di due di loro, padre Rodriguez (Andrew Garfield, mattatore del film) e padre Garupe (Adam Driver), la loro continua fuga dal potere, i disperati sforzi di convertire, e anche di aiutare, le povere popolazioni di alcune piccole isole, è un potente affresco sui grandi contrasti tra lo slancio verso una divinità avarissima di presenza terrena ma ineludibile nei suoi imperativi e un’esistenza quotidiana pericolosa e crudele. Non ci viene così risparmiata la vasta gamma di torture inflitta dell’Inquisitore (figura di ascendenze forse anche un po’ verdiane, conoscendo la radice culturale italica del regista, splendidamente interpretato da Issey Ogata) per convincere i pochi preti rimasti ad abiurare, e il tradimento delle proprie convinzioni diventa un altro tema di grande interesse, un sottotesto del racconto.

E alla sincera, estrema, inesauribile disposizione al sacrificio evangelico di padre Rodriguez e padre Garupe fa da contraltare lo spietato realismo dei maggiorenti giapponesi, che avranno la meglio vincendo l’ingenua incapacità dei missionari di penetrare davvero nel cuore e nella mente giapponese. Quelli di una terra, come conclude amaramente Padre Ferreira (Liam Neeson, deux ex machina del racconto, di statuaria e disperata efficacia) dove a dominare è la pioggia, ma si potrebbe dire con maggiore complessità il ciclo dell’acqua (nel film, cosa davvero insolita per Scorsese, regista urbano per definizione, quasi tutto si svolge in barca, corollario del resto inevitabile a una vita di arcipelago) e qualsiasi radice marcisce prima ancora di riuscire ad attecchire, figuriamoci a germogliare.

Il che prima di tutto vale per le grandi idee, le ideologie, le religioni, soprattutto quelle straniere che rimandano a qualcosa che sta fuori, oltre la realtà, a una divinità ben oltre i limiti umani. Lo conferma la conclusione della vicenda, con i due principali sacerdoti, partiti con slancio e furore evangelico alla conquista dei fedeli, che alla fine abiurano, accettano un nome e una famiglia, perfino dei figli giapponesi, testimoniando così la resa del cristianesimo al nascente potere unitario giapponese. E non lo fanno solo per salvare vite umane di convertiti già a un passo dal supplizio, emendando così il loro peccato d’orgoglio di sacrificarsi a somiglianza di Cristo con l’estrema, dolorosissima rinuncia alla manifestazione della loro fede (che in qualche modo, dentro di loro, manterranno comunque viva): nell’epilogo di questa storia, malinconico ma forse non solo, c’è anche la consapevolezza che le forme della religiosità, e le convinzioni più personali e profonde forse non sono sempre così “esportabili” come l’ubris europea di allora, ma anche l’Occidente contemporaneo (non si potrebbe dire la stessa cosa dell’idea americana di esportare la democrazia, magari con le armi, teorizzata e praticata in tempi recenti?) mostrano di credere.

Se Silence è un film di grandi contrasti etici e culturali, non lo è di meno sul piano visivo, quando contrappone la calda, sanguigna realtà dei rapporti umani, anche violenti, nelle scene di interni, alle gelide atmosfere naturali, alle stupende locations a Taiwan – che hanno richiesto anche la collaborazione dell’illustre collega Ang Lee – in cui, in un altro modo, più materiale, si mostrano comunque anche lì i limiti e le difficoltà della condizione umana sulla Terra. E nella bellezza di molte sequenze si sente la mano, il lavoro sapiente degli straordinari collaboratori (da Oscar) di sempre, dalla fotografia di Rodrigo Prieto al montaggio di Thelma Schoonmaker, alle scene e ai costumi di Dante Ferretti

Il filone “religioso” resta uno dei grandi motivi di interesse del cinema di Scorsese, anche per chi resta lontano da questi temi, e ciò vale sia che si parli di film in cui il soggetto è direttamente riferito alla divinità (L’ultima tentazione di Cristo, Kundun), sia dei tanti altri lavori in cui la fede, o in qualche modo l’educazione, prevalentemente cattolica, ispira l’atmosfera del racconto e il comportamento dei protagonisti. Forse qui l’interesse di lunga data del regista all’argomento l’ha portato a qualche ripetizione e compiacimento, e il film non sfugge a tratti alla sensazione di una certa prolissità. Dalla quale si riscatta tutto sommato nella seconda parte, quando il tema dell’abiura accresce la complessità della riflessione e movimenta la dinamica degli eventi in una dimensione anche più spettacolare, grazie al serrato duetto di attori tra Garfield e Neeson, che arricchisce, rende più credibili i temi di fondo di Silence.

Silence, di Martin Scorsese, con Andrew Garfield, Liam Neeson, Adam Driver, Issey Ogata, Shin’Ya Tsukamoto, Yoshi Oida, Yosuke Kubozuka

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