Il capolavoro di Flaubert rivive in forma scenica grazie alle visioni di Andrea Baracco e all’intensa protagonista Lucia Lavia
Non conosci davvero un uomo fino alla notte o al giorno in cui vai a letto con lui.
Non conosci davvero una donna mai.
Neanche se quella donna sei tu.
Questo l’incipit di Madame Bovary, in scena al Franco Parenti, per la regia attenta, profonda e pungente di Andrea Baracco.
Madame Bovary è, come facilmente intuito, un simbolo (anche contemporaneo) della donna, della donna sopraffatta e guidata da una condizione di insoddisfazione psicologica e sociale per la propria esistenza, che si trasforma in una fuga dalla realtà verso mondi romanzeschi, in una noia perenne e in un’indolenza distruttiva.
Lucia Lavia nei panni di una struggente Bovary ne coglie e fa completamente sua la forte sensibilità del personaggio di Gustave Flaubert. La sua recitazione febbrile, carica di sussulti e sentimenti repressi, risulta molto intensa, a tratti rabbiosa. Un ritratto quasi viscerale e mai monodimensionale, a volte orientato versi tratti più miti e indifferenti, rispecchiando in pieno gli stati d’animo del personaggio.
Il dramma della sua vita è quello di cercare di ricreare una vita da romanzo. Ha un marito buono e onesto, semplice ma poco fantasioso, ancor meno acculturato, che la allontana. La vita di campagna non fa per lei, non ha stimoli, e così cerca di crearsi quell’esistenza che non ha – ma che tanto anela – con i suoi due amanti, Rodolphe e Léon, che si riveleranno essere solo dei personaggi meramente meschini, orgogliosi di dedicarsi con unicità ai loro interessi sessuali.
La riscrittura di Letizia Russo elabora un supporto decisamente saldo su cui costruire i personaggi: il testo non risulta mai noioso e l’attenzione rimane vigile, nonostante la lunghezza dello spettacolo.
La regia incide e colpisce dove vuole segnare, grazie a un utilizzo dello spazio davvero bene distribuito e squisitamente concettuale: l’illusione continua della protagonista e la conseguente caduta sul terreno della realtà fanno sì che la Lavia si allontani sempre più dal marito e dalla figlia, una creatura ovviamente non voluta e con cui Emma non riesce ad avviare un contatto effettivo.
Questa sensazione di inadeguatezza è creata molto bene dai piani dello spettacolo, un piano di palcoscenico in cui Emma si muove senza sosta come trasportata da un’energia isterica implacabile, e un piano superiore che è invece quello del marito Charles, più modesto e contenuto, in cui lui gioca con la figlia.
Le vite dei due risultano in questo modo evidenti, al netto di una separazione che vive sul piano narrativo e su quello estetico: una battaglia tra sessi mai dichiarata, in fondo, una scissione abulica di parole non dette e sentimenti azzerati.
Il fondale fa da sfondo reale e figurato al dramma, i colori creati con la luca si trasformano al mutare costante delle emozioni della protagonista, con una nota sempre intonata agli abiti di lei, creando un filo logico e interpretativo fortemente visuale.
Anche il rapporto con la figlia è reso in un modo fortemente simbolico: la bambina è rappresentata da un manichino vestito interamente di bianco, simbolo di un fantasma che si porta dentro, che mai riuscirà ad amare vedendo in lei la sua stessa tragedia interiore.
È tutto questo che conduce Emma al punto più sovversivo di tutti: il suicidio. E anche dopo un atto così estremo è incapace di ottenere ciò che avrebbe voluto: il suo gesto tocca solamente in modo superficiale i suoi amanti e persino il marito, incapace di mostrare il minimo barlume di furore anche di fronte a una tragedia così devastante.
La Bovary di Baracco parla alla modernità: lo spettacolo trova un forte riscontro nel quotidiano, come a testimoniare certa violenza silenziosa e subdola delle donne. Una rilettura che si ispira a un testo classico per raccontare come certa violenza sia sopravvissuta, con arrogante presunzione, fino ai giorni nostri. Un’esperienza non “gridata”, ma sicuramente efficace: è per questo che Madame Bovary vibra forte, anche sul palcoscenico.
Madame Bovary, al Teatro Franco Parenti fino al 22 gennaio