Percorsi italiani (Riccardo Tesi, Gigi Biolcati, Bobo Rondelli), eccentricità californiane (Seasick Steven), un pizzico di storia (Sun Ra, Jimi Hendrix) e altro da scoprire. Buona lettura ma, soprattutto, buoni ascolti
Riccardo Tesi – Pomodhoro/ Suite di mazurke/ Tutti mi dicon Maremma/ L’angelo e la pazienza
Pistoiese, 60 anni, Riccardo Tesi è un suonatore di organetto diatonico. Tutto qui? Piano, abbiate pazienza. Di quell’antenato della fisarmonica, Tesi non è soltanto il maggiore suonatore italiano (Ambrogio Sparagna, che pure è bravo, può correre) e tra i maggiori d’Europa ma un artista che ne ha reinventato tecnica e linguaggio, imponendolo non soltanto in ambito folk (lui fa un folk arioso e gioioso, energico e poliritmico, spruzzato di mille altre musiche e capace di dolcezze e duttilità impensabili) ma nella musica d’autore, nel jazz e in mille commistioni sonore. Da 25 anni Riccardo Tesi, che ha al suo attivo 21 album, guida uno splendido gruppo aperto, Banditaliana (i membri permanenti sono oggi il bravissimo cantante e chitarrista Maurizio Geri, il funambolico percussionista Gigi Biolcati e il sassofonista Claudio Carboni). E nella sua curiosità onnivora, ha collaborato con la crema della canzone d’autore (se sentite qualcosa che assomiglia a una fisarmonica nel Fossati aureo degli ’80-’90, è lui, come è lui in Anime salve di Fabrizio de André). Un elenco delle sue collaborazioni è impossibile qui, nella sua discografia occupa cinque pagine. Diciamo che ci sono Ornella Vanoni e Giorgio Gaber, Piero Pelù e la Banda Osiris, Gianluigi Trovesi e Gabriele Mirabassi, gli Skiantos ed Elena Ledda e cento altri. Io l’ho scoperto nel 1995 in un album, Canti randagi, che affidava il repertorio di De André ai migliori interpreti folk non solo italiani, invitandoli a dargli i loro suoni e i loro dialetti: lui faceva Coda di lupo in occitano, assieme allo strepitoso chitarrista nizzardo Patrick Vaillant. Da allora non ho smesso di seguirlo. Ora la casa editrice Squi(Libri) gli dedica un libro bellissimo con tanto di cd antologico, Una vita a bottoni (***** al libro e al disco), scritto da Neri Pollastri con numerosi contributi di musicisti e critici. Una calorosa raccomandazione: cercatelo, compratelo, scoprirete dei tesori. E già da subito guardate su YouTube i circa 150 video a suo nome. Grande musica, se ce n’è una.
Gigi Biolcati – Fiorin fiorello/ Da spunda/ L’amur
Bel percorso di musicista e di “batterista pentito” quello del vercellese Gigi Biolcati, 51 anni, percussionista di Banditaliana di Riccardo Tesi. Percussionista per lui vuol dire, cito dal suo sito, «cajon, tabla, djembe, kalimba, chincaglierie, voce, body percussion, scatole sonore a fessura e a corda, cassette di legno suonate a piedi nudi con una tecnica che ricorda passi di flamenco e tip-tap, sono gli ingredienti che creano interessanti e variopinte poliritmie». Vederlo suonare a piedi nudi è un’esperienza che vale da sola un concerto. Dalle balere dell’adolescenza al pop (Cristiano De André, Aida Cooper), dal jazz agli esperimenti afro, dall’esperienza in un’orchestra sinfonica alle collaborazioni con il nuovo folk di mezza Europa (Lucilla Galeazzi, Pau i Treva, Evening Star), fino al progetto più recente, gli Youlook Trio attivi dal 2013 con Aldo Mella e Luisa Cottifogli ex Quintorigo. E all’attività didattica a beneficio di bambini e ammalati di Alzheimer. In tutto questo turbinio di collaborazioni, Biolcati ha trovato il tempo per il gioiello solista Da spunda (****), undici canzoni in piemontese di Santhià in cui canta e suona kalimba, synth, piano, chitarre e basso, con pochi e scelti ospiti, il trombino di Piergiorgio Miotto e la viola di Loredana Guarneri (la sentite in L’amur). Ritmi, gustosi repechage (Fiorin fiorello di Mendes e Mascheroni, 1939, irresistibile), pagine intime, recuperi dal folk piemontese (Giobi di Capusin). Con una filosofia di vita sorridente ma assai “strutturata”: «E non pensare che sarà una passeggiata/ dovrai rimboccarti le maniche e bagnarti la camicia/ io sono qui per aiutarti, per darti un calcio nel sedere/ sei pronto per la partenza?/ Un po’ tu e un po’ la provvidenza// Se non puoi arrivarci direttamente gioca di sponda/ è la tua partita, non puoi perderla/ basta solo tirare con calma fino alla fine/ sfregando la punta con un po’ di gesso». Per me, una bellissima scoperta.
Bobo Rondelli – Livorno/ Ha tutte le carte in regola/ Il vino
Da livornese a livornese, da irregolare a maledetto vero, Bobo Rondelli interpreta con autenticità inconsueta e con perfetta resa emotiva le canzoni di Piero Ciampi (1934-1980), geniale e ubriacone, tormentato e inaffidabile, tra gli esponenti più grandi della canzone d’autore italiana. Rondelli, classe 1963, ha fatto parte negli anni ’90 della band Ottavo Padiglione e, oltre che cantautore, è attore: l’ultima volta l’abbiamo visto in La pazza gioia di Paolo Virzì. Il doppio cd Bobo Rondelli canta Piero Ciampi (****1/2) offre, nel secondo cd, le versioni originali di Ciampi.
Pop X – Secchio/ Pubblicità/ Ti scatto una photo
In pista dal 2004 con materiale fatto girare soprattutto in rete, i trentini Pop X di Davide Panizza, dopo un Best of del 2015 che raccoglieva il materiale precedente, vengono allo scoperto con Lesbianitj (***1/2), situazionista e provocatorio nelle musiche da spazzatura tecno-lofi e nei testi surreali e irridenti su froceria, pubblicità e deliri d’amore. A loro modo geniali.
Seasick Steven – Keep that horse between you and the ground/ Hell/ Everybody’s talkin’
Seasick Steven (“Soffro il mal di mare” dice, per giustificare lo pseudonimo), 75 anni e un gran barbone, è il nome di battaglia di Steve Gene Wold da Oakland in California, una vita da vagabondo e da blue collar e uno status musicale tardivo (il primo album, finora ne ha incisi sette, è Cheap del 2004). Rivelatosi in Gran Bretagna, ha continuato a registrare regolarmente e in questo doppio Keeping the horse between me and the ground (****) sciorina senza fronzoli (soprattutto le sue chitarre, pochi interventi di batteria, organo, armonica e basso, qualche spolverata di violino) un repertorio che è soprattutto blues aspro, fangoso e vissuto. Con qualche apertura al bluegrass e alla ballata country e poche, misurate e molto intense versioni di classici: una struggente I’m so lonesome I could cry del grande Hank Williams, Gentle on my mind di Glen Campbell, Signed D.C. dei Love e, soprattutto, la bellissima Everybody’s talkin’ di Fred Neil, portata al successo da Un uomo da marciapiede, che rifatta da lui sembra quasi un inedito.
Chakruna/Chapilita – Sonido chichero
Elegante & La Imperial – Tardes
Los Chapillacs/Deltatron – Marcha del Chiullachaqui
La globalizzazione è anche questa e non è tutta da buttare: idiomi nativi (in questo caso la cumbia peruviana) adattati alle sonorità house, dubstep e alla varia elettronica da ballare. In Peru boom (***1/2) il risultato è un ibrido abbastanza contagioso.
Jimi Hendrix – Power of soul/ Hear my train a comin
Dagli archivi un live dell’ultimo periodo di Hendrix, con la più tranquilla Band of Gypsys (Billy Cox al basso e il pestone Buddy Miles alla batteria) che ha sostituito i leggendari Experience. Eppure, anche in questa fase riflessiva e minore, che personalmente non adoro, i gioielli ci sono. In questo Machine gun: live at the Fillmore East (****), che offre lo show di fine anno del’69, basta ascoltare le tiratissime Power of soul e, soprattutto, Hear my train a comin, nove minuti di blues lancinante, per restare ancora una volta sopraffatti dalla magia della sua chitarra.
The Weeknd – Starboy/ Stargirl interlude/ I feel it coming
Si può dire, un brutto disco fatto benissimo? Questo Starboy (***) del canadese Abel Mekkonen Tesfaye, in arte The Weeknd, figlio di emigrati etiopi, è un lollipop sovrabbondante (diciotto brani) e iperprodotto, che adatta al suo falsetto r&b che sa tanto di Michael Jackson e Bruno Mars temi triti e ritriti (sesso, droghe, orge, eccessi e narcisismi vari) in una confezione sberluccicante con gli ospiti giusti (Daft Punk, Lana Del Rey). Neanche brutto, poi, più che altro inutile. Anche così, una lezione di sonorità up-to-date per i produttori di casa nostra che cercano di rivestire i cantanti pop di nuove vesti electro.
Pinchas Zukerman – The lark ascending di Vaughan Williams/ In moonlight di Edward Elgar
Violinista di prima grandezza purtroppo oscurato dal sodalizio con l’amico Itzhak Perlman, l’isrealiano Pinchas Zukerman (di origine polacca, è nato a Tel Aviv nel 1948 e vive in Canada), anche ottimo violista e direttore d’orchestra, 50 album all’attivo e due Grammy, si cimenta stavolta con il repertorio inglese a cavallo tra ‘800 e ‘900 (****). Belle letture, senza eccessi e forzature “liriche”, di pagine di Elgar. The lark ascending di Vaughan Williams è all’origine un testo poetico di Thomas Stearns Eliot.
Brunori sas – La verità/ L’uomo nero/ Canzone contro la paura
Brunori sas è lo pseudonimo del cosentino Dario Brunori, classe 1977, laurea in economia e commercio a Siena, esordio cantautorale acclamato nel 2009 (Premio Ciampi e Targa Tenco). Ora, alla quarta prova di A casa tutto bene (****) il gioco si fa serio e l’ironia, se non abbandona il campo (si ascoltino Don Abbondio e Un sabato bestiale), si ritira sullo sfondo a beneficio di una scrittura più matura, in bilico fra disillusione e voglia di esserci. È un disco in senso lato anche politico, questo: faccia i conti con le paure dei trenta-quarantenni (La verità), si misuri con i brutti pensieri e i pessimi rigurgiti di tutti i giorni (L’uomo nero) o misuri la distanza fra la metropoli e la campagna (Lamezia-Milano). Più mature anche le musiche, gestite ottimamente dal mago del suono Taketo Gohara.
Florian Egli – Maja/ Waiting
Fa piacere, per una volta, ascoltare jazz svizzero, invece che live registrati in qualche festival jazz elvetico. È il caso del giovane sassofonista Florian Egli (suona l’alto e il soprano in questo disco, altrove anche il flauto e il clarinetto). Con il suo gruppo Weird Beard, la barba bizzarra (Dave Gisler alla chitarra, Martina Berther al basso elettrico e Rico Baumann alla batteria) offre, in Everything moves (***1/2) una musica quieta, che a tratti può apparire ingenua, ma incorpora la lezione di molti classici di oggi (per esempio Bill Frisell, per esempio John Zorn) e fa sue alcune suggestioni dell’avant rock. Piacevole.
Sun Ra – A foggy day/ Round midnight/ A blue one/ Blues on planet Mars
In una musica che eccentrici, lunatici e borderline ne ha avuti parecchi, l’eccentricità “cosmica” di Herman Poole Blount in arte Sun Ra (1914-1993) ha spiccato a lungo, suscitando anche robuste dosi di irrisione. Nato in Alabama, geniale e “psicopatico” (giudizio degli psichiatri dell’esercito Usa che lo congedano, dopo che è stato incarcerato per renitenza alla leva), pianista di stile eclettico e già dagli anni ’50 tra i primi sperimentatori di strumentazione elettrica e sintetizzatori, precursore del free jazz, Sun Ra si fece notare con la sua Arkestra in cui transitarono centinaia di musicisti anche grandi, con i suoi organici di 30-40 performer che includevano ballerini, mimi e mangiafuoco. Con i suoi spettacoli totali in costumi egizi, con il suo porridge filosofico che mischiava faraoni, Libro tibetano dei morti, visioni cosmiche (lui diceva di provenire da Saturno e di avere incontrato gli Ufo per la prima volta nel 1936), pacifismo e orgoglio black. Questo doppio Singles (*****), che raccoglie 45 giri di difficile reperibilità, incisi per essere venduti ai concerti, ne mostra l’anima poliedrica, dalle collaborazioni con gruppi doo wop e r&b (A foggy day) alla rivisitazione dei classici altrui (Round midnight di Monk), dal recupero del blues (A blue one) alla vena astrale e sperimentale (Blues on planet Mars).
Michele Marelli – Dialogue de l’ombre double/ Tanze Luzefal/ La chute d’Icare
Il clarinettista alessandrino Michele Marelli, classe 1978, è un virtuoso di fama mondiale di uno degli strumenti della famiglia dei clarinetti, il corno di bassetto. A lui hanno affidato, per questo Contemporary clarinet di insolita ma forte suggestione (****), composizioni originali Ivan Fedele, Gyorgy Kurtag, Marco Stroppa e Giacinto Scelsi. Ma la coloratissima maestria di Marelli (nella copertina del disco è ritratto fra i grattacieli di piazzetta Gae Aulenti) rifulge soprattutto alle prese con Karlheinz Stockhausen, con il quale ha avuto un sodalizio decennale, e con i grandi modernisti Pierre Boulez e Brian Ferneyhough.
Francesco De Gregori – 4 marzo 1943
Un piccolo assaggio del nuovo album live di Francesco De Gregori, Sotto il vulcano, che uscirà il 3 febbraio. Fa da battistrada uno dei classici di Lucio Dalla, 4 marzo 1943, offerto in pasto al pubblico in una versione pulita e fedele all’originale, senza particolari invenzioni (***1/2). De Gregori ha collaborato con Dalla negli anni ’70 con il fortunatissimo tour e disco Banana republic, rinnovando il sodalizio nel 2010 con Work in progress. Assieme hanno scritto Piccolo esploratore Tobia, mentre De Gregori aveva a suo tempo riproposto dal vivo Anidride solforosa, frutto pregiato della collaborazione di Dalla con il poeta Roberto Roversi.
The Band – The weight/ Furry sings the blues/ The night they drove old Dixie down/ Baby let me follow you down/ The last waltz theme-Sketch
Ripubblicano, per il quarantennale, lo storico concerto di addio di The Band al Winterland Theatre di San Francisco, nel Thanksgiving del 1976. The last waltz (*****), oltre alle meravigliose canzoni di Robbie Robertson e compagni (The weight e The night they drove old Dixie down su tutte, ma provate ad ascoltare anche il delizioso valzerino dei titoli di testa e di coda), offriva anche interventi preziosi di amici e colleghi. Neil Young, Bob Dylan, Eric Clapton, Neil Diamond, Emmylou Harris, Van Morrison, Dr. John, Joni Mitchell, Ronnie Hawkins, Muddy Waters e altri ancora. E sul palco (si vedono nel bellissimo film che ne ricavò Martin Scorsese – che aveva esordito, non tutti lo sanno, prima ancora di girare cose sue, come aiuto regista del documentario su Woodstock) i poeti beat Lawrence Ferlinghetti e Michael McClure a recitare le loro versioni del Pater noster e del Cantico dei Cantici. La nuova edizione non porta grandi novità: assestato lo standard sui quattro cd e sei vinili, con una manciata di inediti, c’è la bella trovata di unire i cd al blue-ray del film. E, nella collector’s edition per feticisti a tiratura limitata (2500 copie) la riproduzione dello storyboard di Scorsese.