È ancora particolare la giornata di Scola?

In Teatro

Nora Venturini e Gigliola Fantoni portano a teatro il capolavoro cinematografico di Ettore Scola con Loren-Mastroianni. Oggi ci sono Valeria Solarino e Giulio Scarpati: la trasposizione è fedele, forse anche troppo, ma sul finale ci sono crepe sinistre…

Mentre la Sala Grande del Teatro Franco Parenti si riempie di persone di età diversificate, tutte in attesa di commuoversi di fronte all’adattamento teatrale del blasonato film di Ettore Scola Una giornata particolare, una prosaica curiosità di ordine numerico prevale su tutte le altre riguardanti lo spettacolo in sé e per sé: quanti degli spettatori avranno visto la pellicola da cui lo spettacolo è tratto?

La risposta giunge sonora verso i tre quinti della rappresentazione, quando da vari punti della sala si solleva un unanime singulto di sorpresa e disappunto in corrispondenza con uno dei momenti salienti del dramma: Antonietta, la dimessa casalinga tutta Casa e Duce, bacia “a tradimento” Gabriele, l’ex radio-annunciatore perseguitato dal regime fascista in quanto omosessuale, mentre in lontananza risuonano i bellicosi inni dedicati al Führer durante la sua storica visita a Roma nel 1938.

Il singulto di sorpresa rende evidente che una buona parte del pubblico non ha visto la Giornata particolare originaria, il che sotto certi aspetti è consolante, dato che così almeno i “novizi” possono gustarsi appieno un adattamento teatrale (curato da Gigliola Fantoni, moglie di Scola) che è più fedele alla versione cinematografica di quanto si potrebbe augurare chi invece il film l’ha visto.

Valeria Solarino, impegnata nel ruolo di Antonietta, ha dichiarato in un’intervista a Repubblica di aver tentato di dimenticare il film e le relative (superlative) prestazioni di Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Intento lodevole, visto che lo spettacolo in qualche modo dovrà pur sembrare qualcosa di più di una mera “analisi del testo” allo spettatore già edotto sugli sviluppi della trama e sulle finezze con cui i personaggi sono tratteggiati.

La “dimenticanza” del film – e quindi la diversificazione interpretativa da esso – è coltivata per mezzo di stratagemmi piuttosto interessanti: la Solarino trasforma Antonietta in una sicula trapiantata che parla in un dialetto diluito solo a tratti dall’italiano (la Loren al contrario aveva solo una vaga cadenza napoletana), evidenziando la sua condizione di straniera in casa propria.

L’Antonietta della Loren era sì ignorante, ma sufficientemente altera da mascherarlo, così come il suo fare accigliato la schermava dal percepibile disprezzo con cui il marito e i figli la trattavano. L’Antonietta della Solarino è selvatica, visibilmente infantile e soprattutto è una vera e propria “pezza da piedi”. Ciò conferisce tinte fantozziane alla situazione familiare, visto che la regista Nora Venturini spinge il pedale sul grottesco nel ritrarre marito e figli, i quali usano la camicia nera a mo’ di tappeto per nascondere la propria monumentale mediocrità. Risulta quindi orrendamente palese come Antonietta si collochi al gradino più infimo della “catena alimentare” sociale.

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Anche Giulio Scarpati tenta di dimenticare il modo in cui Mastroianni aveva dato vita al personaggio di Gabriele, ma senza apportare modifiche così sostanziose da dare maggior profondità a un carattere già perfettamente sviluppato nella versione cinematografica… per quanto il suo profilo psicologico non sia originalissimo: è pur sempre un “omosessuale patetico” con madre estrosa e padre assente come poteva essere concepito da autori eterosessuali (pur illuminati) quarant’anni fa. Il Gabriele di Scarpati si presenta a tratti come uno zio eccentrico, che balla senza ritegno sulle canzoni del Trio Lescano (o chi per esso), con l’invariabile esuberanza dei cultori del pop trash di ogni epoca.

Lo spettacolo procede con un’accurata evidenziazione dei temi caldi (le solitudini parallele, il miraggio fascista etc.), mentre l’azione si dipana in una sorta di casa delle bambole che tenta con ardore di riprodurre le dinamiche geometriche del film. Pur senza che una sola virgola della sceneggiatura del film sia spostata, il finale di questo adattamento produce delle crepe nelle certezze di chi ha visto l’originale: dopo che Gabriele e Antonietta hanno fatto l’amore (coperti da una pudibonda bandiera nazista), l’Antonietta della Solarino sembrerebbe non aver capito affatto il succo della propria “giornata particolare”, comportandosi come se avesse semplicemente trovato un amante. La più metafisica Loren sembrava – all’opposto – considerare la sua congiunzione carnale con Gabriele come il culmine di un’unione spirituale, e non come una copula passeggera!

Infine, quando l’Antonietta della Solarino si dedica alla lettura de I tre moschettieri – il libro regalatole da Gabriele nella speranza di farla appassionare alla cultura, e alla libertà che essa rappresenta – scandisce in modo talmente lento e stentato che viene il sospetto che di lì a cinque minuti getterà la spugna, preda della frustrazione, tornando alla sua prigionia di “schiava fattrice” del Regime. Queste sinistre crepe che si possono intravedere nel finale dello spettacolo offrono del materiale su cui rimuginare per giorni allo spettatore con una memoria nitida del film. Al resto del pubblico possono invece suggerire la curiosità di scoprire se anche il super-classico di Scola sia così privo di speranza.

 

Una giornata particolare, fino al 5 febbraio al Teatro Franco Parenti

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