Zero days o della cyberwar spiegata a noi tutti

In Cinema, Weekend

Arriva in Italia il docufilm di Alex Gibney, Zero days, storia vera di un attacco informatico targato Usa e Israele al programma nucleare iraniano che ci racconta come si combatte ai tempi del web

La paura di forme di aggressivo hackeraggio politico russo, dopo le denunce di Cia, Fbi, Nsa sul ruolo che hanno giocato in favore di Donald Trump alle recenti elezioni americane, ha raggiunto nel mondo un livello vicino alla psicosi.

Di pochi giorni fa è la notizia che il governo olandese ha deciso, per le prossime elezioni di metà marzo, di affidarsi al solo scrutinio manuale delle schede di voto, per paura che una qualsiasi forma di contaminazione elettronica del conteggio apra spazi a ingerenze di quel tipo, forse di origine moscovite, ovviamente illecite e di sicuro interessate.

Se la pratiche degli agenti di Putin, oggetto di accuse o di sospetti, devono ancora essere valutate in inchieste internazionali (la Cia sostiene di avere già individuato alcuni hacker che festeggiavano la vittoria di Trump), vale la pena vedere un film Zero Days di Alex Gibney, già autore dell’ottimo Taxi to the Dark Side, che racconta un caso vero e documentato in varie sedi (Wikileaks compresi) di hackeraggio nucleare: un intervento segreto, operato meno di dieci anni fa da agenzie segrete americane e israeliane ai danni dell’insediamento di Natanz, la più importante (allora) centrale di arricchimento dell’uranio nell’Iran di Ahmadinejad.

Distribuito un po’ a macchia di leopardo dalla I wonder Pictures, ottima portatrice di documentari di attualità (e non solo) il film racconta come negli ultimi mesi della presidenza Bush jr. (ma non risulta alcuna presa di distanza da parte di Obama, ai suoi primi passi alla Casa Bianca, anzi…) furono decisi la progettazione e l’impiego di un supervirus informatico, chiamato Stuxnet, di potenza e precisione imparagonabili rispetto ai suoi predecessori, capace di inserirsi nel sistema di controllo della centrale e di stravolgerne il sistema operativo al punto da portare all’autodistruzione della parte fondamentale dell’impianto. Quali pericoli reali abbiano corso durante l’operazione popolazione e ambiente, trattandosi di un insediamento nucleare, è perfino difficile, e terrificante, anche solo immaginare.

L’intera operazione, come tante analoghe “azioni di guerra informatica”, la forma più evoluta e importante di conflitto clausewitziano che oggi si combatte nel mondo, cioè la lotta politica agita con altre e più efficaci armi, mai sarebbe stata scoperta se il partner israeliano non avesse deciso unilateralmente di usare il virus anche oltre e dopo il compimento dell’operazione Natanz (operativamente, un successo) in altri scenari. Arrivando a farlo debordare, presumibilmente anche in modo involontario, nei programmi del pc di un ovviamente ignaro industriale bielorusso, che si ritrovò attaccato nel 2014.  E però così rendendo possibile la ricostruzione di questo caso internazionale.

 

La documentazione filmata raccolta da Gibney, l’accuratezza della ricostruzione, il numero e il peso delle dichiarazioni di scienziati e spioni, politici e industriali che sfilano sullo schermo, e più sono palesemente reticenti più fanno intuire abissi oscuri, incontrollabili e pericolosi per tutti noi, avvalorano l’ipotesi che ci sia molto di vero in quanto Zero Days narra e mostra. L’infittirsi di documentari e film, circolati solo in quest’ultimo anno che hanno per tema i molti lati oscuri del mondo informatico, da Everything is Under Control. del tedesco Werner Boote al biografico Snowden di Oliver Stone, da Lo and Behold del grande Werner Herzog a Why I’m not in Facebook del californiano Brant Pinvidic, dimostrano in modi anche molto diversi tra loro che sul tema si sta rapidamente passando, e pour cause da una sincera curiosità a una vigile diffidenza, temendo di dover prima o poi difendersi da tutto ciò.

Ovviamente, davanti a un meccanismo come Stuxnet, che chiama in causa vecchie e nuove agenzie di sicurezza americane in azione su scenari nazionali e oltre, lo spettatore tende più a terrorizzarsi immaginando che nulla lo salverà: e ancor di più dopo aver sentito un’attrice, che nel film “interpreta” tutte le dichiarazioni, autentiche e raccolte all’interno delle agenzie top secret, di molti protagonisti, rivelare che questo virus è solo uno dei tanti, e ormai nemmeno dei più aggiornati, c’è ben di peggio in giro per il mondo.

Vale però sempre il principio che è comunque meglio sapere cosa e (possibilmente) chi ci minaccia: in realtà nazionali e statuali che per ora conservano ancora aspetti democratici di gestione e di rapporto con la popolazione, la conoscenza è comunque un’arma (in senso buono) in più per tutelare i propri diritti, individuali e collettivi. Il cinema oggi può fare, e tutto sommato fa, la sua parte.

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