Dal best-seller di Gillian Flinn, un nerissimo horror matrimoniale. Film e libro hanno trionfato, negli Usa: ma è vera gloria? Cultweek risponde a due voci
Gone Girl è stato accolto in America con tutti gli onori: negli Usa ha incassato 124 milioni di dollari solo nelle prime quattro settimane, incensato da tanti i critici (il sito Rotten Tomatoes gli ha dato un ottimo 88%), anche se non è mancata qualche stroncatura eccellente: New York Times, Boston Globe e Washington Post.
Personalmente non mi ha fatto impazzire. L’affresco di una coppia narcisistica, peggiorata dalla crisi, non riesce a emozionare veramente. Un po’ noiosa la prima parte, con dialoghi a volte imbarazzanti e personaggi antipatici, a parte l’ottimo Tyler Perry (anche Rosamund Pike, certo, ma interpreta ‘na matta). Nella seconda parte la cosa migliora, con due o tre momenti molto buoni, ma altri film di Fincher mi hanno fatto più felice, primo Zodiac. Però la cosa che m’interessa evidenziare è la costruzione del fenomeno Gone Girl, che è stata eccellente. Complice il regista cult, del film si è parlato per settimane in tutti i modi, con articoli che spaziavano dal pettegolezzo alla sociologia. Ma ovviamente non c’è niente come il sesso. E allora si è creato un caso intorno a una cosa inesistente: il pene di Affleck.
Con questa affermazione non voglio offendere le parti basse del povero Ben, quanto il fatto che è stata scritta una discreta quantità di parole su una scena che mostra l’aggeggio dell’attore in così pochi fotogrammi da rendere necessario l’impiego massiccio di gif per poterlo notare.
Non basta. In rete è stata stilata una lista di tutti gli uomini, Matt Damon in testa, che hanno visto il pene di Affleck; lo stesso attore ha sfruttato la cosa nel suo ringraziamento durante la premiazione agli Hollywood Film Awards. Per aiutare gli spettatori la rivista The Vulture ha persino pubblicato un pezzo con le coordinate per trovarlo. Ma nonostante le buone intenzioni, non sono riuscita a vederlo.
Di conseguenza ho deciso di consolarmi con una succinta lista di alcuni importanti full frontal maschili della cinematografia degli ultimi decenni, che spero possa mostrare quanto ci siano stati momenti dove il dispiego delle forze vitali dell’attore hanno avuto ben altra necessità e utilizzo. La lista, ci tengo a dirlo, non è in ordine di grandezza.
Due glosse: la prima è che si noterà quanto, almeno su questo argomento, gli europei battano di gran lunga gli americani per nonchalance. Così abbiamo escluso Pasolini e Greenaway per eccesso di materiale. La seconda è che se al termine di questa carrellata permangono curiosità, consiglio l’agile e molto intelligente volumetto Il pisello, edito da Salani. Gli autori sono gli Improbabili Compari, sigla dietro la quale si celano Eugenio Alberti Schatz che ha scritto i testi con acume e molto humor e Francesca Lipari che ha curato le illustrazioni.
Shame. Per descrivere Michael Fassbender basti citare la frase che il giornalista Matteo Bordone disse alle Invasioni Barbariche durante un confronto con Natalia Aspesi a proposito del film: «Con una tale proboscide possiamo persino immaginare che Fassebender compia dei piccoli gesti a casa, come alzare il volume dello stereo».
Donne in amore. Il film di Ken Russell fece molto scalpore quando uscì nel 1969. Tratto da un famoso romanzo di D.H.Lawrence, contiene una notevole scena di lotta a corpo nudo fra Alan Bates e Oliver Reed. Glenda Jackson prese l’Oscar per la sua interpretazione, mentre Alan e Oliver si prendono la nostra eterna riconoscenza.
Il cattivo tenente. Harvey Keitel mostra il peggio di sé nel film. Il suo full frontal non è fra le cose peggiori, ma insomma, non ne farei una malattia. Un anno dopo ci riprova in Lezioni di piano. Meglio.
Boogie Nights. La scena è emblematica. Mentre in uno specchio è riflesso l’enorme pene fuori dalla patta, Mark Whalberg ripete a sé stesso “I’m a star”. Non resta che tranquillizzare i lettori dicendo loro che l’ammennicolo era falso, il prodotto di un ottimo prop man, come ci raccontano in un interessante articolo.
La promessa dell’assassino. Viggo Mortensen nudo e tatuato che lotta contro i cattivi in una sauna. Non aggiungo altro.
Novecento. Bertolucci aveva molto da farsi perdonare. In piena epoca femminista mostrò Maria Schneider nuda per più di un’ora e mezzo e mai una volta i gioielli di famiglia di Marlon Brando. Una vero affronto. Fa ammenda qualche anno dopo mettendo Depardieu e De Niro nelle mani, letteralmente, della prostituta Stafania Casini.
The Dreamers. Bertolucci si doveva davvero sentire in colpa se 30 anni dopo Ultimo tango è ancora lì a espiare, sottoponendo Michael Pitt e Louis Garrell a un tour de force naturista non indifferente.
Per concludere, come si dice scherzosamente in internet, c’è un pisello che balla in tutti i film in cui recita Ewan McGregor.
Due attori fantastici, due ore senza respiro
Il matrimonio è un duro lavoro. Se non ci credete, andate a vedere L’amore bugiardo – Gone Girl, l’ultima fatica di David Fincher che, scherzando ma non troppo, ha detto: «Questo film causerà 15 milioni di divorzi». Il lungometraggio più atteso dell’autunno, un ingegnoso thriller con un tocco noir, è tratto dall’osannato best seller di Gillian Flynn, che ne ha scritto anche l’adattamento per il grande schermo.
Il giorno del quinto anniversario di matrimonio, Nick Dunne denuncia la scomparsa della bella moglie Amy, ma diventa subito il sospettato numero uno. Messo Sotto pressione dalla polizia, incalzato dalla crescente frenesia dei media, finisce per alternare bugie e comportamenti ambigui, in un vortice di eventi che lascia col fiato sospeso. E al fondo resta il dubbio: quest’uomo ha davvero ucciso la sua dolce metà?
Cinico fino all’osso, cupamente divertente e brutale, il film svela i più nascosti scheletri nell’armadio di una relazione moderna. E in puro stile Fincher: aumentando cioè la tensione con il controllo meticoloso di ogni dettaglio della narrazione, il che ha già reso Se7en e Zodiac capolavori del genere, e costruendo lo svolgimento, scena dopo scena, con precisione artigianale, grazie a dialoghi taglienti, e un montaggio serrato
I due protagonisti, più nella parte di così non potrebbero essere: il premio Oscar Ben Affleck, perfetto nel ruolo del marito un po’ tonto e dal sorriso involontariamente sornione, ma soprattutto Rosamund Pike, delicata e inquietante nel dar vita alla tormentata Amy, il vero motore della storia. L’attrice inglese, ex Bond girl e già apprezzata in Orgoglio e Pregiudizio e La versione di Barney, centra la parte che la consacra nell’Olimpo delle belle e brave di Hollywood: la fresca nomination ai Golden Globe (insieme a quelle ottenute dal film per regia e sceneggiatura) pone una seria ipoteca sull’Oscar. Nell’ottimo cast, menzione speciale per Neil Patrick Harris, ex fidanzato maniaco-ossessivo, che insieme alla Pike dà vita a una scena di sesso molto dark.
A tratti, la grande abilità del regista e qualche licenza di troppo alla violenza e all’oscurità della storia, lasciano in secondo piano l’ironia cattivella del romanzo. Ma Fincher ancora una volta riesce in quello che sa fare meglio, lasciare lo spettatore senza respiro per oltre due ore in un crescendo magnetico: è l’horror nuziale del XXI secolo, dove niente è come sembra.
L’amore bugiardo di David Fincher, con Ben Affleck, Rosamund Pike, Neil Patrick Harris