Un monumento e non solo all’arte ma, a ben guardare, anche alla musica. Parliamo di “Art record covers”, il volumone che Taschen dedica alle copertine dei dischi realizzate da Maestri come Salvador Dalì, Jean-Michel Basquiat, Keith Haring, Andy Warhol, Francesco Clemente per musicisti del calibro di David Bowie, Velvet Underground, Mick Jagger. 500 copertine su tremila raccolte dall’autore Francesco Spampinato, storico, critico di arte contemporanea e musicomane. Tutte da vedere e, naturalmente, da “ascoltare”. Rigorosamente su giradischi
Quando corro con la mente ai miei primi ricordi musicali, la memoria prima ancora di restituirmi una melodia mi offre delle immagini, legate soprattutto alle copertine di quegli album, in cassetta o in cd – a casa mia non giravano i vinili, che ho poi scoperto più avanti, ficcando il naso nella collezione di mio zio. Molte di quelle copertine le ho ritrovate, cadendo in una sensazione leggermente proustiana, nel volume Art record covers di Francesco Spampinato, edito da Taschen, antologia delle più significative dal 1955 e racconto avvincente del rapporto tra musica e arti visive, discipline che non solo hanno sempre dialogato, contaminandosi a vicenda, ma che si rivelano in queste pagine per molti aspetti inseparabili e indistinguibili.
Spampinato, storico e critico dell’arte contemporanea e musicomane, ha iniziato la paziente raccolta nel 2007 e in dieci anni, tra fiere del disco e ricerche su internet, ha messo insieme un database di oltre tremila copertine: sul libro ce ne sono più di 500. I modelli di interazione tra musica e arte sono tantissimi. Ci sono artisti che uniscono i due aspetti: Mike Kelley, che firmò parecchie copertine, era membro di diverse band, come i Destroy all monsters, da lui fondati nel 1973, e aveva una casa discografica, la Compound Annex; anche l’artista messicano Carlos Amorales aveva un’etichetta, la Nuevos Ricos, e pure il pittore Jean-Michel Basquiat, oltre ad aver creato insieme a Michael Holman il gruppo Industrial Gray, aveva avuto una breve avventura da discografico.
Basquiat e i Gray
Allo stesso modo ci sono cantautori come Devendra Banhart, che disegnano personalmente le cover per i propri album. Le Chicks on Speed, un gruppo di ragazze dal piglio femminista, si sono sempre occupate da sole dell’aspetto visuale del gruppo, dai costumi, alle cover, alle performance, in un’opera d’arte totale. «Certo – spiega Spampinato – ci sono anche casi in cui artista e musicista preferiscono affermare che l’altra parte di loro non esiste, ma quello che ho sempre sostenuto, seguendo il principio duchampiano secondo cui qualsiasi cosa faccia un artista è arte, è che se chi fa opere per un museo ha anche una band con i suoi vicini di casa, è impossibile non leggere quella band come prodotto di una mentalità artistica». C’è chi preferisce un medium, chi un altro, chi diversi. Fare distinzioni nette sarebbe la cosa più sbagliata: «Io con questo libro ho proprio cercato di dimostrare che non ci sono».
Nella storia di queste collaborazioni entrambi i mondi ci mettono qualcosa, entrambi perdono e guadagnano qualcos’altro. L’arte contemporanea trova un canale alternativo al classico circuito museale e galleristico per comunicare il proprio messaggio e raggiungere il pubblico in modo più pop, dribblando le imposizioni critiche della storia dell’arte. L’attore e comico televisivo Jackie Gleason commissionò la copertina del proprio album del 1955 Lonesome echo a Salvador Dalì, personalità molto forte anche nel mondo dei media. Sul retro di quella che in questa storia viene considerata la prima vera copertina d’artista, i due sono fotografati mentre si stringono la mano. «Gleason mostra di aver chiesto aiuto al grande artista, e insieme Dalì afferma di aver fatto qualcosa di commerciale, che resta comunque arte». Dall’altro lato, dunque, l’opera d’arte viene utilizzata per fortificare e rendere visivo un immaginario. A farvi ricorso per le proprie copertine sono stati nomi noti, come Beck, Bjork, Beatles, per restare alla lettera ‘b’, come anche band meno conosciute, come i Day & Taxi, gruppo jazz svizzero che ha sempre voluto legare la propria immagine al lavoro degli artisti.
Jackie Gleason
A volte le copertine vengono realizzate ad hoc, altre selezionando opere già esistenti. Molti, dai Primal Scream ai Jimmy Eat World, hanno scelto le fotografie di William Eggleston, tremendamente evocative: «I musicisti – racconta l’autore – erano in cerca del mito di Memphis, dove c’erano studi di registrazione famosi già dai tempi di Elvis, negli anni ’50». Ci sono poi le copertine realizzate da Raymond Pettibon, utilizzate da Black Flag, Sonic Youth e Foo Fighters e tratte tutte da disegni da lui realizzati in precedenza. Esiste un libro rarissimo, che ovviamente non manca nella biblioteca di Spampinato, che raccoglie decine e decine delle fanzine pubblicate dall’artista, in cui si trovano disegni poi utilizzati per flyer e copertine dei Black Flag.
Anche in questo caso c’era un collegamento strettissimo tra i due mondi: la casa discografica della band, la SST, era di proprietà del fratello di Pettibon, Greg. Raymond aveva anche suonato con la band hardcore di Los Angeles, che debuttò nel 1981 con l’LP Damaged, per molti pietra miliare del punk. In una delle interviste raccolte in Art record covers, Pettibon racconta di essere stato pagato appena due volte per i propri disegni: una dai Sonic Youth e l’altra dai Foo Fighters, mai dai Black Flag. E nel 1985 una delle sue illustrazioni fu perfino utilizzata per Loose Nut (1985) senza il suo consenso. “At that point I was officially out of the band” (p. 63, Art record covers).
Black Flag
La sinergia tra copertine d’arte e musica è spesso stata in grado di scioccare il pubblico, di scuoterlo e persino di veicolare in modo massiccio importanti messaggi sociali. Tra i vari temi, quello dell’AIDS. Sono diverse le cover a trattarlo, in particolare quella di Keith Haring realizzata per l’album di David Bowie Without you (1983) e quella di David Wojnarowicz per l’album degli U2 One (1992), in un momento storico in cui la malattia esplose nella comunità artistica, soprattutto omosessuale, americana e newyorchese. «Si tratta di un altro tipo di utilizzo del medium: il disco diventa in questo caso una vera e propria operazione di comunicazione, alla stregua di un poster o di una T-shirt, ma con in più la musica».
Anche l’avvento di Obama, nel 2008, e il suo insediamento alla Casa Bianca, come altri momenti storici, sono finiti stampati su un album. L’iconica immagine Hope, dello street artist e illustratore Shepard Fairey, che rappresenta Obama, finì in tempo di campagna elettorale sull’album Party for change (2008) del dj sperimentale Z-Trip, e poi, l’anno successivo, su quello intitolato Victory Lap, con il faccione del presidente ormai sorridente.
Z- trip
Molti musicisti scelgono di metterci la propria, di faccia, spesso approfittando della fama dell’artista, come chi scelse di farsi ritrarre, per esempio, da Andy Warhol – di cui viene subito in mente la banana per l’album The Velvet Underground & Nico (1967), primo della band. Ci fu un vero e proprio boom di richieste negli anni ’80: con 25 mila dollari ci si portava a casa un ritratto, con altri 15mila un secondo. Considerato l’ambiente, non si trattava di cifre astronomiche. Lo scelsero Aretha Franklin, Miguel Bosé, Paul Anka e tanti altri. Quello di John Lennon, copertina anche del libro di Spampinato, era invece la rielaborazione postuma di una fotografia già esistente. Tanti musicisti approfittano del ritratto d’artista per esplorare un’altra visione di se stessi. «In fondo le copertine per decenni hanno riportato fotografie o illustrazioni di band e cantanti che corrispondevano più che altro a una logica di vendita, senza una dimensione interpretativa della loro immagine». Certo, ci sono eccezioni: «Fotografi che hanno lavorato in ambito commerciale e sono comunque riusciti a dare uno spessore intellettuale, ma l’artista riesce ad avere una portata molto più profonda».
Mick Jagger ha scelto Francesco Clemente per Primitive Cool (1987), i Blur Julian Opie per il Best Of del 2000, Kanye West George Condo per Power (2010), Lady Gaga Jeff Koons per Art pop (2013), Elthon John e Red Hot Chili Peppers Ulian Schnabel… E ancora, il carismatico cantautore statunitense Andrew W.K. Roe Ethridge, per I Get Wet (2001), con una colata di sangue dal naso che fece discutere parecchio per la supposta glorificazione dell’abuso di cocaina. Il fotografo Robert Frank seguì i Rolling Stones per parecchio tempo, fotografandoli e filmandoli per quello che divenne poi il documentario Cocksucker Blues, racconto del loro tour in Nord America nel 1972, a supporto dell’album Exile on Main St., uscito in quello stesso anno. La copertina era sempre di Frank, ma non rappresentava la band: scattata nel 1951 in un tattoo parlour di Long Islang, New York, era stata pubblicata nel libro The Americans (1958).
Rolling Stones, Soul Survivor
Tra gli esempi più riusciti di questo connubio tra arte e musica, per Spampinato ci sono sicuramente i dischi dei Sonic Youth: «Noti per la musica, per le copertine e per gli artisti che le hanno fatte. Loro sono stati davvero capaci di trasformare questo tipo di collaborazione in un vero e proprio modus operandi». E sono in assoluto la band che ha avuto più collaborazioni, tra performance e amicizie. Insieme ai Red Krayola, che sono però rimasti parte di un mondo più underground e da addetti ai lavori, mentre i Sonic Youth hanno raggiunto un successo più di massa.
Tra le tremila raccolte, la copertina preferita per Spampinato resta quella di Music, disco del compositore e chitarrista Mason Williams uscito nel 1969. A opera di Ed Ruscha, è in molti sensi universale: «Per il titolo dell’album e per il lettering scelto, che riprende la pubblicità e l’architettura vernacolare californiana, e per quello che rappresenta: un’idea di California legata al ruolo fondamentale che ha avuto geograficamente nella storia della musica rock e pop». Ruscha e Williams erano grandissimi amici, fin dall’infanzia: in California ci si erano trasferiti insieme e quella copertina era frutto di anni di amicizia, di scambio e di una lunga serie di collaborazioni. Una sintesi sia umana, sia visiva. Il titolo scelto era così potenzialmente generico che la casa discografica decise di distribuire il disco sottolineando la paternità della copertina, per paura che altrimenti nessuno lo avrebbe comprato.
Immagine di copertina: illustrazione di Francesco Clemente per Primitive Cool (1987) e illustrazione di Lonesome echo di Salvador Dalì (1955)