Nel Palazzo delle Stelline, un’ampia retrospettiva per raccontare la carriera di Renato Mambor, nella Roma di Fellini e Schifano. Tra sottile gusto pop e inquietudini contemporanee.
E’ come entrare in una macchina del tempo e ritrovarsi nel bel mezzo degli anni sessanta, questa la sensazione che si prova percorrendo le sale della retrospettiva dedicata a Renato Mambor, Connessioni invisibili, alla galleria Gruppo Credito Valtellinese di Milano.
Voglio fare di tutto, ballare, cantare, scrivere, recitare fare il cinema, il teatro, la poesia, voglio esprimermi con tutti i mezzi, ma voglio farlo da pittore perché dipingere non è un modo di fare ma un modo di essere.
Così si presenta l’artista e mantiene il suo manifesto programmatico. Nella Roma in cui è nato nel 1936 e cresciuto, comincia giovanissimo col cinema. Sono anni di grande fermento e di innovazione artistica e Roma con registi come Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Vittorio de Sica e Federico Fellini ne è il centro propulsore.
La settima arte aziona una carica emotiva contagiosa, incitando al cambiamento in tutti i settori della creazione. Renato Mambor contrae questa febbre di rinnovamento che lo lega, per un’aspirazione vitale, alla città che lo ha visto nascere’, scrive Dominque Stella, curatrice della mostra.
Bello tenebroso – assomiglia molto a Tomas Milian – inizia la sua carriera come comparsa nel film La Dolce Vita di Federico Fellini.
Grafico, creatore di manifesti, si ispira proprio alle tecniche della rappresentazione scenica per concepire le sue prime opere alla galleria La Tartaruga, che raccoglie i nuovi fermenti che avrebbero portato a un cambiamento radicale nelle pratiche artistiche.
Nel gruppo della Tartaruga ritroviamo artisti e tendenze diversissimi: ritroviamo i membri fondatori dell’Arte Povera come Boetti, Kounellis, Pascali, Paolini e altri artisti che rappresenteranno in Italia movimenti internazionali quali la Pop Art con Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli, Scarpitta o il Noveau Réalism con Rotella e, appunto, Mambor, difficile da collocare perché è, o piuttosto fa, di tutto un po’.
Una delle sue caratteristiche è la molteplicità delle esperienze, la varietà delle tecniche, dei temi, dei materiali. La varietà della sua opera, per la sua espressione radicale che mescola performance, fotografia, installazione, video, testi poetici, musica, body art, lo rende particolarmente vicino alle tendenze contemporanee.
La solitudine e l’alienazione dell’uomo contemporaneo sono al centro della sua riflessione. Moltissime sono le sihlouettes di uomini soli o riprodotti all’infinito. Passeggeri è un grande acrilico che rappresenta tre silhouettes di uomini di colori diversi dipinti su sfondi diversi, come tappezzerie che li isolino l’uno dall’altro e dal mondo.
In Ultimo giorno piccole figurette alla Magritte in file orizzontali e verticali occupano l’intera tela, ma sembrano quasi svanire in un’infinita varietà di sbiadimenti, come fossero impresse su una pellicola fotografica mal esposta. Divertente, bella, modernissima Monopattino-easy rider: una foto del 1970 con Mambor e un bambino ai giardinetti in monopattino, appunto.
In pieno stile Pop, per di più impegnato, è il bel Ruspa e Colosseo del 1965.Una gigantesca ruspa blu elettrico in primo piano incombe minacciosa, come una mostruosa zampa, su un misero, fragile Colosseo dipinto a tratto sullo sfondo.
Renato Mambor. Connessioni Invisibili, a cura di Dominique Stella, Galleria Gruppo Credito Valtellinese, fino al 25 marzo 2017
Immagine di copertina: Renato Mambor, Passeggeri, 2006