Quasi povero, violento, veloce, “Logan” rilancia alla grande il Supereroe-movie

In Cinema

Impregnato di pessimismo americano di frontiera post-election day, “Logan – The Wolverine” di James Mangold è forse il miglior film della serie “X men” e non fa certo rimpiangere le ultime sbiadite prove di un gran calibro come Brian Singer. Girato in sei mesi con un budget ridotto, quasi senza effetti speciali, costumini luccicanti e astronavi avveniristiche, sfoggia invece scene d’azione mozzafiato e personaggi ben congeniati. E un grazie va a Hugh Jackman e Patrick Stewart, per l’ultima volta nei panni di Wolverine e del Professor Xavier, che lasciano con intensità e affetto

Sbilanciamoci subito: Logan – The Wolverine di James Mangold è probabilmente uno dei migliori film di supereroi che vi capiterà di vedere nella vita. Punto. Sicuramente il miglior film del ciclo X-Men dai tempi del primo Brian Singer. E dopo quel giro di giostra senza capo né coda, e un po’ cafone, che è stato X-Men: Apocalisse, lo stesso Singer dovrebbe sedersi in prima fila, prendere appunti e ricordarsi da dove ha cominciato. Senza teenager da Disney Channel, senza Jennifer Lawrence e le sue due espressioni (una con la pelle bianca e una con la pelle blu), e senza i bisticci da innamorati tra il maschio alfa Fassbender e il lagnoso McAvoy.

Esagerato? Forse. Ma questa divagazione sul tema (l’intera vicenda è ambientata in un ipotetico futuro rispetto al resto della saga) arriva ai fan della vecchia scuola come una boccata d’aria fresca, una portata semplice e genuina dopo un banchetto interminabile e pretenzioso, tanto condito da nascondere ogni sapore. Perché, al contrario dei suoi tutt’altro che illustri e più recenti predecessori, il film di James Mangold (che, a onor del vero, aveva già diretto Wolverine: l’Immortale, ovvero il peggior capitolo della serie) è crudo, violento, in una parola: vero. Girato in soli sei mesi e con un budget relativamente ridotto, ha pochi effetti speciali, anzi, quasi non ne ha, e beh, chissenefrega.

Chissenefrega delle scene di distruzione di massa e dei costumini luccicanti, delle astronavi avveniristiche e del trucco e parrucco in computergrafica, quando al loro posto hai scene d’azione mozzafiato e coreografie da urlo, personaggi ben congeniati, dialoghi interessanti e un’ambientazione a metà tra Sicario di Denis Villeneuve (altro gioiellino passato pressoché inosservato dalle nostre parti), un western crepuscolare e l’universo di Mad Max: ambientato in un futuro non troppo lontano dal futuro non troppo lontano raccontato negli altri episodi, Logan – The Wolverine è un road movie polveroso e impregnato di pessimismo americano di frontiera post-election day. I suoi personaggi, a partire da quelli principali, vivono e sopravvivono traghettando anime, o facendosi traghettare, da un lato all’altro di barriere fisiche, economiche e morali, relegando gli eroi in vecchi fumetti a cui nessuno crede più.

Ma, soprattutto, chissenefrega degli effetti speciali se gli effetti speciali ce li hai già, e si chiamano Hugh Jackman e Patrick Stewart, rispettivamente nei panni di Wolverine e del Professor Xavier, entrambi per l’ultima volta: il loro addio alle armi trasuda in ogni battuta l’intensità e l’affetto per un ruolo capace di fare del volto dell’uno e dell’altro un’icona indelebile nella sempre più affollata storia dei cinecomics, rendendo vita e giustizia a personaggi, quelli sì, immortali per davvero nella memoria dei fans. Ad accompagnarli (letteralmente) è la giovane e bravissima debuttante Dafne Keen, undici anni soltanto, gestita a meraviglia da sceneggiatura e regia, lontana anni luce dallo stereotipo irritante e strappa risate della bambina in un film di adulti. Paradossalmente, proprio a lei sono affidate le scene più cruente, tali da giustificare in patria il celeberrimo “Rated R” (divieto di visione ai minori non accompagnati) di norma comprensibilmente temutissimo dalle major americane, e invece qui incassato da Mangold e produzione senza colpo ferire.

D’altra parte, che Logan non sia un film di supereroi come tutti gli altri lo si capisce fin dall’inizio: la prima battuta è un lapidario “fuck”, la prima sequenza è un massacro in pieno favore di pubblico, e i buoni sono persino più brutti, vecchi e sporchi dei cattivi. Da sempre metafora della discriminazione del diverso, mai come questa volta la lotta del mutante è il simbolo e la speranza di riscossa del dimenticato, del nascosto, dell’emarginato: dell’ultimo tra gli ultimi in un futuro che pare non aver imparato nulla dal passato, e che somiglia, sempre più pericolosamente, al presente.

Logan – The Wolverine di James Mangold con Hugh Jackman, Patrick Stewart, Dafne Keen, Boyd Holbrook, Stephen Merchant

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