Premiato sulla Croisette prima di entrare nella cinquina dei migliori cartoon dell’anno in lizza per la statuetta, il film dell’olandese Michael Dudok de Wit è un delicato e affascinante apologo sulla vita e la rinascita, l’amore tra umani e la potenza della natura. Tra atmosfere orientali e grafica europea, senza dialoghi ma con una splendida colonna sonora che valorizza anche le immagini: è stato prodotto dallo studio giapponese Ghibli, quello fondato nel 1985 da Hayao Miyazaki
Premiato al festival di Cannes e candidato nella cinquina del miglior film d’animazione agli ultimi Oscar (battuto solo dal favorito Zootropolis) La tartaruga rossa è il nuovo lungometraggio d’animazione prodotto dallo Studio Ghibli, competitor giapponese delle più internazionali Pixar e Walt Disney, e firmato da un autore europeo, l’olandese Michael Dudok de Wit. Dopo i primi successi di The Monk and The Fish (1994) e Father and Daughter, grazie al quale nel 2001 vinse l’Oscar al miglior cortometraggio, De Wit ci incanta con questo nuovo lavoro che lascia anche libero lo spettatore d’interpretare il significato della storia.
La scena iniziale si apre con una magnifica tempesta che richiama molto la tradizione giapponese del nostro legame con la natura e la sua forza. L’uomo che vediamo arrancare, esanime, verso l’unica terra vicina, è il personaggio principale, ma non il protagonista della vicenda, in quanto è l’isola stessa, alla quale presto approderà, a primeggiare nel racconto. Solo e disperato, lui cerca nell’isola qualsiasi cosa possa aiutarlo a sopravvivere, e così il pubblico esplora la terra insieme, attraverso lui, dalle spiagge caraibiche alla giungla umida e inospitale.
Osserviamo il tempo che passa grazie alla barba incolta dell’uomo e ai suoi vestiti sempre più sciupati, e nel frattempo egli tenta più volte di evadere da quella prigione fuori dal tempo costruendo una, due, tre zattere, che vengono però tutte distrutte regolarmente a pochi metri dalla riva. Solo più avanti nel film capirà che a sabotare la sua dipartita è un’incredibile tartaruga rossa gigante: la quale, assumendo poi un’altra, incantevole forma, accompagnerà tutta la vita di lui. E l’uomo sceglierà, in uno stato di arrendevole accettazione della forza della natura, magnifica e incontrollabile, di restare sull’isola per sempre, fino alla morte.
La trama del film mette in risalto la contrapposizione tra l’ingegno dell’uomo, che usa anche i cespugli come vela per far viaggiare la sua zattera, e la potenza incontrastabile della realtà terrestre, incarnata dall’isola stessa. Per quanto tenti di soggiogarla, la natura continua il suo ciclo, mentre l’esistenza di un piccolo essere come lui passa in sordina, senza lasciare traccia del suo passaggio su questo mondo.
Di tradizione più tipicamente orientale, e in particolar modo giapponese, è nel film l’attenzione al paesaggio, dalle verdissimi distese campestri alle rocce che sovrastano la costa, dagli azzurri del mare ai cieli grigi pieni di nuvole e tempesta. E allo stesso modo anche gli abitanti vivi dell’isola diventano primordiali protagonisti della vicenda, dalla mosca che diventa presto cibo per il ragno, alla tribù di granchi, unici rappresentanti di una delicata e rara comicità.
Il connubio tra oriente e occidente si esplica alla perfezione in questo capolavoro, privo di dialoghi ad eccezione del rumore delle onde, del fruscio delle piante, dei versi dei gabbiani e delle grida di disperazione e solitudine dell’uomo intrappolato. Le musiche di Laurent Perez si intrecciano perfettamente alla storia, creando un’armonia perfetta tra colonna sonora e immagini. Tra vita, morte, reincarnazione e visioni, lo spettatore è posto davanti a un cammino evolutivo che solo alla fine del film si può provare a capire. Oppure possiamo anche, semplicemente, goderci i disegni che lo rappresentano.
La Tartaruga Rossa, film di animazione di Michael Dudok de Wit