Tindaro Granata mette in scena uno spettacolo onesto, giusto, civile. Storia d’amore e di famiglie ai tempi della stepchild adoption: ottimo risultato – e grande successo di pubblico…
Che spettacolo giusto, civile, onesto che è Geppetto e Geppetto scritto, diretto e recitato con aderenza all’emozione e anche al ragionamento da Tindaro Granata, un attore che si sta conquistando uno spazio personale meritatissimo per come osserva i problemi che circolano nell’atmosfera spesso malsana dell’Italia di oggi. Auscultando il parere comune della gente sul 5, inteso come tram, e chiedendo pareri su unioni di fatto, gay e stepchild adoption ecco che l’autore imbastisce una storia esemplare e non tutta priva di dubbi. La storia di una coppia gay molto ben affiatata, lavoratori quasi borghesi (non fosse che per la nonna spaventata dall’utero in affitto), che decidono di volere un figlio e devono chiedere aiuto a una donna che partorisca per loro, andando all’estero.
Perché, qui sta il nocciolo del problema, in Italia i gay non possono adottare. Ed ecco la trafila della famigliola che cambia, s’ingrossa, cresce e conosce tutti i problemi di sempre, compresa la patologia di quello che poi si saprà essere il padre biologico. Intanto il figlio Matteo, bimbetto allegro e senza complessi apparenti: Angelo di Genio è di misura esemplare quando senza far nulla di folkloristico o mimetico, scorazza per la scena con gli occhi nascosti nella gioia infantile. Poi, dopo il lutto, e con la crescita, e con le storie parallele degli amici che un po’ si somigliano ma un po’ no, il ragazzo diventa grande e non sopporta più le attenzioni del secondo padre rimasto con lui, che lo sovrasta.
E qui c’è la classica scena “padre” del figlio che si ribella e rinfaccia anche la situazione in cui si è sempre trovato (Di Genio, Biff del Commesso, si trova sempre un padre ingombrante in scena) finchè un altro volar di calendario e troviamo il ragazzo adulto, posato e quasi sposato, fra poco papà, senza problemi economici: a quel punto c’è spazio per un po’ di rimorso e di pìetas, all’ultimo, in ospedale. 100 minuti per raccontare alcune vite e per impostare, ma senza didascalie, i termini di un dibattito su cui molti si esercitano e lo stesso Granata confessa che aver scritto il copione col dubbio all’orecchio.
Ma di sicuro capta qualcosa che è nell’aria, non sfoggia false profondità ma si allea col senso comune sia omo sia etero e tratteggia benissimo i suoi personaggi cui vuole un bene dell’anima. E gli attori lo ripagano: Paolo Li Volsi fa l’altro papà, lo stesso Tindaro che utilizza al meglio anche il suo registro grottesco, Di Genio che commuove davvero alla fine, e gli altri (Bellotto, Carlo Guasconi il rivale, Rea, Rosignoli), col risultato che il pubblico segue con attenzione silenziosa e poi scoppia in un applausone che è anche un grazie per affrontare senza boria ma con impegno e passione un teatro civile di cui c’è bisogno oggi e che naturalmente all’Elfo co sta benissimo, solo che sono poche sette recite esaurite da mesi. Ma attenzione perché sarà ripreso.
(foto di Andrea Macchina)
Geppetto e Geppetto di Tindaro Granata all’Elfo fino al 26 marzo