L’attualità di E. L. Masters

In Letteratura

La nuova traduzione dell’Antologia di Spoon River a cura di Luigi Ballerini ci restituisce un’opera corrosiva e attuale che ci fa capire come quell’America sia la stessa di oggi, con le stesse identiche magagne

Pensare di leggere un testo con occhi nuovi, liberi dai condizionamenti di chi l’ha studiato e approfondito prima di noi, è un atto profondamente ingenuo. Per questo è utile rileggere i libri, soprattutto quelli che formano il canone, interpretarli di nuovo: e quale migliore strumento della traduzione, che obbliga ad un corpo a corpo profondo e sincero con la materia testuale?

Questo il lavoro portato avanti dal poeta, traduttore e studioso di letteratura italiana e americana Luigi Ballerini, che ha tradotto e commentato con accuratezza uno fra i libri di poesia forse fra i più amati e letti, l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Un lavoro importante quello pubblicato per Mondadori a fine dell’anno scorso, che si va ad aggiungere ad altre traduzioni illustri, da quella di Fernanda Pivano, che per riportare in Italia le poesie di cui si era innamorata finì in carcere, a quella iper-raffinata di Antonio Porta (lo scorso anno ripubblicata dal Saggiatore con la curatela di Pietro Montorfani); un lavoro ricco anche dal punto di vista critico, se calcoliamo che ogni testo è corredato da generose note esplicative recanti precisi riferimenti e che la traduzione è basata sull’edizione critica del 1992 curata da John H. Hallwas.

Ora, chiediamoci: quanto ci ha dato e quanto ci ha tolto l’asse Pivano-De André nella comprensione del testo? O meglio: quanto di lirismo è stato aggiunto a un’esposizione che ne aveva sicuramente in serbo, ma che magari poteva fregiarsi di altre e forse più importanti componenti?

L’Antologia di Spoon river non è un libro di poesia lirica, ma un libro socialmente motivato; il tono dell’esposizione è quello della poesia civile giocato sui toni sarcastici. Se letto nella sua completezza, anticipa molti dei problemi irrisolti degli Stati Uniti – precisa il traduttore, ricordando che su alcuni temi presenti nella raccolta, come quello del proibizionismo, si approfondivano e diventavano vieppiù inconciliabili a inizio Novecento le fratture ideologiche fra i repubblicani e i democratici.

Leggere Spoon River come un j’accuse verso l’ipocrisia del villaggio è, a conti fatti, un’operazione non totalmente fuorviante che però rischia di appiattirne il messaggio, come già rivelava in uno scritto risalente al 1930 Cesare Pavese, sottolineando che quell’operazione era già stata messa in atto da Hawthorne, con romanzi entrati anch’essi nel canone come La lettera scarlatta.

Masters, in quest’antologia che si modula sul più ampio filone di poesia cimiteriale, e che quindi è senza ombra di dubbio innervata da temi intimisti, in primis la paura della morte, ha un obiettivo ben preciso in mente: imbastire un discorso polemico nei riguardi della società americana. Prendiamo un esempio: il governo federale e quello statale. Scrive Ballerini che “secondo Masters gli Stati avrebbero dovuto godere di maggiore autonomia, ma con Lincoln, Presidente accentratore, le cose non sono andate esattamente così”. Lincoln è uno dei bersagli più frequenti delle poesie, anche quando non è presente, ma è citato in absentia. Capita, per esempio, nell’epigrafe della Moglie di Benjamin Pantier, la quale “impugna la raffinatezza della propria cultura letteraria (cita una poesia di Wordsworth) contro la grossolanità di quella del marito, il quale trovava di proprio gusto la poesia Mortality del poeta scozzese William Knox”, come si legge nell’introduzione al volume, dove Ballerini precisa anche che la stessa Mortality era amata e recitata spesso da Lincoln in persona.

Masters, da autore raffinato qual era, un autore certo più attrezzato e complesso di un semplice compositore di canzonette, colpisce lateralmente, insinua che Lincoln sia rozzo e approssimativo anche da un punto di vista del gusto. Se un suo personaggio si spella le mani, per esempio, di fronte a “Dispiegati, buio e profondo blu dell’Oceano” di Lord Byron, probabilmente alla base c’è l’intento di ridicolizzarne gli orizzonti estetici. Il traduttore, allora, utilizzando egli stesso la tecnica dello sbieco, traduce con “Oceàno”, dove l’accento sbagliato, che cade in modo goffo sulla parola, ha proprio lo scopo di mettere la pulce nell’orecchio del lettore, evidenziando una discrepanza fra la cultura letteraria di Edgar Lee Masters e quella di alcuni dei famosi morti che dormono sulla collina.

Una generosa vena sarcastica attraversa se non tutti, molti dei componimenti, a partire dai titoli: il primo personaggio “Hod Putt”, rimanda se pronunciato con la cadenza del Midwest all’espressione “hard put”, che in italiano suona più o meno “messo male”.  Facile, una volta che si possiede la chiave di lettura del sarcasmo, leggere altri testi sotto questa luce: per esempio la presa in giro verso le velleità letterarie di Margaret Fuller Slack, che nella poesia è ammaliata più che dalla brama della conoscenza, dal ritratto elargitole da Penniwit, il fotografo, e si mostra più interessata ai beni concreti ed egoistici (un buon matrimonio) che a quelli spirituali o collettivi.

Masters descrive un’America che aveva presto abbandonato la brillantezza degli albori, la mitica conquista delle terre vergini ad Ovest, per una vita di città più agiata, ma anche meno meritoria: vi si trovano bancherotte, avvocati ingordi, alle spalle dei quali si comprende che “l’economia cessa di essere collegata alla produzione di beni o di servizi utili e comincia a trasformarsi in speculazione finanziaria”, come recita ancora l’introduzione. Insomma, questa Spoon River tradotta da Ballerini perde un po’ del lirismo ma ci guadagna in corrosività e attualità e ci fa capire come quell’America sia la stessa di oggi, con le stesse identiche magagne; motivo in più per leggere e rileggere quelle pagine.

 

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