Filtrata da un’atmosfera alla Come eravamo, Sonia Bergamasco – su drammaturgia di Stefano Massini ispirata a Balzac – dirige Isabella Ragonese e Federica Fracassi in «Louise e Renée», storia di divergenza e maturità femminili in scena al Piccolo
René Girard avrebbe pensato come evoluzione di un desiderio mimetico la relazione che esiste tra le due protagoniste di Louise e Renée, in scena al Piccolo Teatro fino al 30 aprile. Un desiderio che evolve nel suo contrario: da imitazione delle aspirazioni e delle attitudini dell’altra, nella parte iniziale del testo, l’obiettivo si trasforma gradualmente nell’aspirazione a futuri opposti per le due giovani protagoniste. Dopo essere state compagne in tutto durante l’età della crescita, dopo aver condiviso pensieri, speranze e punti di vista, Louise e Renée si rivelano molto diverse nella vita pratica, una volta diventate adulte. Non desiderano più il mondo che condividevano da giovani, non sentono più la necessità di rispecchiarsi nei desideri, nelle emozioni dell’altra.
L’indipendenza sentimentale che sognavano è perseguita coerentemente da Louise, ma solo Renée ottiene soddisfazioni concrete. Queste due donne, interpretate da Isabella Ragonese e Federica Fracassi, sono dirette da Sonia Bergamasco, che muove i fili per confondere le loro identità, arrivando a farle apparire due anime di una stessa persona. Il conflitto è perciò apicale, sembra avvenire nel cuore di una sola donna, in contrasto con se stessa. Emerge tutto dal testo, che Stefano Massini ha riadattato dall’originale di Honoré de Balzac (Memorie di due giovani spose, 1842), con impeto verbale che riempie la scena.
Per comunicare infatti non hanno più quella vicinanza fisica che le univa da ragazze, forse unico vero collante del rapporto, ma un espediente drammaturgico che è quello epistolare: si scambiano lettere e parole, non più gesti e sguardi. Attraverso la scrittura la loro diventa, come in Chordelos de Laclos, una relazione pericolosa, fatta più di incomprensioni che di amicizia. La “ricerca di un alfabeto comune dell’amore” di cui parla la regista Bergamasco si eclissa dietro le due divergenti personalità.
Anche i costumi hanno un loro ruolo: avvolgono le due donne in una atemporalità che le rende eterne, anche se simili prima e lontane poi. La scenografia è invece confusa, i pannelli mobili che creano più piani di dialogo tra le protagoniste e con il pubblico ricordano alla lontana gli spostamenti degli oggetti ronconiani, ma l’idea non è messa a fuoco. Lo spazio rimane però gestito perfettamente dalle attrici, che si muovono sotto luci che evocano il sogno, sogno di un ideale che Louise e Renée avrebbero desiderato fosse conseguibile, ma che realizzano non essere concretamente possibile.
In sottofondo un’atmosfera alla Come eravamo, in cui si cerca di conciliare corpi e ideali, ma in cui si è destinati alla divergenza, causa nostalgia e il timore di non poter mai realizzare quei principi originari, o di dover sacrificare una parte di sé per poterlo fare. Quello che era stato l’incontro tra Louise e Renée diventa la storia di un conflitto, che è quello dell’essere umano, per cui la mimesi non risulta più sufficiente.
Louise e Renée, da Mémoires de deux jeunes mariées di Honoré de Balzac, fino al 30 aprile 2017