Piccolo Teatro, una stagione di sogni: li interpreta il dr. Gifuni in Freud

In Teatro

Alla scoperta della nuova stagione del Piccolo Teatro, da Emma Dante a Rimini Protokol, da Lev Dodin ad Antonio Latella

Prima di diventare un classico ogni testo è stato contemporaneo a chi gli ha permesso di diventare appunto un classico. E ogni testo contemporaneo è oggi al via per diventare cult. Quindi la divisione è inestricabile, sbagliata, impossibile, come aveva capito Jan Kott quando titolò il suo saggio Shakespeare nostro contemporaneo e gli autori sulla rampa di lancio, strano trio (Freud, Vittorini, Goldoni) lo testimoniano. A proposito, questa volta niente Bardo, neanche una rivisitazione, una riduzione, un monologo, niente: ma c’è l’elisabettiano Middleton con La tragedia del vendicatore fino a ieri (quando la mise in scena Ronconi nel 70 con una compagnia di sole donne, 26, fra cui Melato e Piccolo), ritenuta di Tourneur. Ha ragione Sergio Escobar, presentando al Teatro Studio la nuova stagione del Piccolo che compie il 14 maggio 70 gloriosi anni, a partire dai numeri.

Alla fine son quelli che contano e non ci sono discussioni: per esempio, facendo una parentesi doppia, il film più visto in Italia non è Checco Zalone con i suoi 8 milioni di fedeli, ma Guerra e pace di Vidor con i suoi 15.707.723 biglietti venduti nel 1955, seguito da Ultimo tango a Parigi (poco meno, 15.623) i western di Leone e Trinità, La dolce vita (sesto con 13.617.158) e Il gattopardo (12.850…). I numeri del Piccolo non sono paragonabili al cinema di quegli anni, ma sono esaltanti rispetto alle fruizione del teatro che, proprio a Milano, vive un periodo vitalissimo, essendo ormai la vera capitale con le sue multisale.

Il primo stabile italiano, fondato nel 47 da Grassi e Strehler, supera le 25.500 recite e ha lo stesso numero record di abbonati, sempre col segno in salita e una percentuale notevolissima di studenti e giovani. Per di più la stagione che si sta concludendo ora con 300.000 presenze e che ha visto un notevole rinnovo non solo generazionale di talenti (Perrotta, La Ruina…) e le scommesse clamorosamente vinte dai grandi neo 50enni Antonio Latella ed Emma Dante, i cui spettacoli, Pinocchio (foto) e Bestie di scena, saranno ripresi a furor di pubblico e gireranno il mondo.

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Il nuovo anno, al netto dei festeggiamenti milanesi con l’eterno Arlecchino dell’88enne Ferruccio Soleri (Guinness dei primati) che impazzerà nell’ottagono della Galleria, alla Martesana e al carcere Beccaria, oltre a una galleria di foto e immagini lungo via Dante, prepara molte produzioni nuove del Piccolo e nessuna è scontata. Escobar parla di giovani, della vocazione internazionale del teatro lungo la linea tracciata dal Theatre de l’Europe di Strehler, il primo a parlare di Europa e non di soldi ma di cultura: ospiti d’onore il pietroburghese Lev Dodin con il Giardino di Cecov, l’atteso fiammingo Luk Perceval con The year of Cancer pezzo forte anche della Biennale di Latella, i Rimini Protokol berlinesi lanciati da zona K (in Nachlass su quel che resta della vita…) e l’inglese Declan Donnellan con una storia quasi alla Tarantino di vendette e stupri morali e materiali.

Oltre ai 16 titoli di compagnie italiane ospiti, tra cui due Eduardo d’annata uno firmato da Martone, l’altro da Giordana, il ritorno di Copenhaghen di Frayn, Orsini-Popolizio-Lojodice, l’Odissea di Perrotta, Omero dei profughi, i molto richiesti Anagor e l’eccellente duo Tagliarini/Deflorian. E sono appuntamenti imperdibili la ripresa della storica Medea di Ronconi del ‘96 con Branciaroli nel ruolo del titolo e l’arrivo nel maggio 18 solo per 10 giorni della premiatissima Santa Estasi 8 tragedie sulla storia degli Atridi in uno spettacolo di grande meraviglia diretto da Latella con un gruppo di 16 giovani uno meglio dell’altro (è da non perdere).

Ed ha parlato, il direttore (il dramaturg Stefano Massini ha solo glossato il suo testo su Freud) della politica delle lunghe teniture (Opera, Odissea, Pinocchio, Balzac…) e ci tiene a dire, davanti a sindaco, assessori, sponsor bancari, amici di ogni ordine e grado che è questa la prima stagione autonoma, aggettivo finalmente donato dopo anni dal ministro Franceschini al Piccolo per specificare l’eccezionalità di una storia. Che proprio quest’anno celebra non solo i 70 anni dalla nascita (coevo della Cineteca, del festival di Locarno, di Cannes, nel 47 nacque tutto…), ma anche i 20 anni della morte di Strehler nella notte di Natale, come Charlot (grande mostra fotografica a Palazzo Reale imperniata sul suo amato 700 di Mozart e Goldoni) e i 20 della morte di Fiorenzo Carpi, musico di fiducia di via Rovello, oltre che inevitabilmente i 70 anche di Arlecchino, che sarà una delle 50 gigantografie sistemate in via Dante come inesauribile fonte di recherche e amarcord alla milanese. Ma veniamo ai titoli prodotti dal Piccolo: il pezzo forte (42 recite previste allo Strehler da gennaio, durata oltre 3 ore) sarà un testo dell’ormai gettonatissimo in tutto il mondo Stefano Massini “L’interpretazione dei sogni” ispirato al noto lavoro del dr. Freud (Fabrizio Gifuni, foto, più che una garanzia), edito nel 1899, coi suoi pazienti in scena, tra cui torna Giulia Lazzarini che sarà anche protagonista della bella commedia argentina Emilia prodotto da Roma. Un progetto cui Massini sta lavorando da tempo, dopo i Lehman, che avrà la regìa di Federico Tiezzi, alla cui storia teatrale Freud non è certo estraneo, e che ben si adatta anche a una serie di optional culturali collaterali perché tutti sanno quanto cinema abbia ispirato il dottore viennese che si rifiutò di farsi intervistare da Billy Wilder in partenza per Hollywood (e fu vendetta, tremenda vendetta, in ogni film una stoccata). Si parla anche di uno sdoppiamento di Sigmund per cui sembrava fosse della partita anche il grande Sandro Lombardi, che invece ha declinato per ragioni di lavoro: ma insomma i nomi in campo assicurano un avvenimento, un sicuro interesse, un pubblico vasto e l’avvio di un’infinita discussione sul senso del sogno, l’Inception del teatro.

 

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Altro spettacolo che ha ragioni storiche estetiche di interesse sarà quello che apre le danze in autunno, “Uomini e no” di Vittorini, un classico appunto, cui pensava anche Strehler, pubblicato nel ’45 e ridotto da Michele Santeramo per la regìa (ma è qualcosa di più affettivo e complice) di Carmelo Rifici, in arrivo anche con la sua bella e meta teatrale Ifigenia dal 27 aprile. Il famoso libro sulla Resistenza sarà non a caso interpretato dai ragazzi che finiranno ora i corsi alla scuola di teatro Ronconi, che Rifici dirige con passione competenza e affetto ricambiati. Passiamo a Fine pena: ora, dal romanzo di Elvio Fassone ridotto da Paolo Giordano per la regìa di Mauro Avogadro e con Massimo Foschi e Paolo Pierobon nei panni di un giudice e di un ergastolano. Promette assai la scommessa di Roberto Latini che mette in scena, nel teatro più goldoniano d’Italia, un testo del grande veneziano, Il teatro comico, come atto di fede e di poetica che non può prescindere dal lavoro strehleriano su Goldoni. Ed eccoci dunque alle somme: Escobar insiste sulla gloriosa memoria anche se è chiaro che lui vuole sempre voltar pagina, mentre la Lazzarini, volto storico, parla sempre di una “gioiosa nostalgia” brevettando un poetico ossimoro.

(foto in copertina di Davide Barbetta)

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