L’ottimo “Chez Nous” di Lucas Belvaux, protagonista Emilie Duquenne, la Rosetta dei Fratelli Dardenne, è un film politico, quasi militante, nel miglior senso di un filone che si dimostra ancora vivo. Racconta le vicende di Pauline, infermiera a domicilio di origini progressiste, che si lascia convincere a candidarsi come sindaco della cittadina in cui vive nelle fila del partito xenofobo Bloc Patriotique. Che è, per esplicita dichiarazione del regista, il Front National, rappresentato nel film da una vigorosa leader ispirata senza reticenze a Marine le Pen, in cerca di una nuova e più presentabile immagine. Risulta quindi assai opportuna l’uscita italiana a ridosso delle elezioni in Francia
Giunge, probabilmente per caso, perfettamente a tempo l’uscita in Italia di Chez Nous di Lucas Belvaux, 55enne regista belga di area francese, che grazie a vari suoi film ha più volte sfiorato il César, l’Oscar transalpino, da ultimo con il divertente Non è il mio tipo, storia dell’incontro assai anomalo tra una parrucchiera di provincia e un professore di filosofia “esiliato” dal ministero fuori Parigi. Il tempismo è presto spiegato: a quattro giorni dal primo turno delle elezioni presidenziali che potrebbero portare sciaguratamente al vertice dello stato Marine Le Pen, scorrono sullo schermo un’abile signora e un partito che in tutto e per tutto sembrano (e, dice il regista, in effetti sono) ricalcati sulla cronaca recente della destra antieuropea francese, cioè del Front National.
Si raccontano infatti le vicende, ambientate nell’immaginaria cittadina di Hénard, tra Lens e Lille, nella regione del Pas-de-Calais (quella del satirico Giù al Nord di Dany Boon, per intendersi, e della “giungla” di migranti sgomberata qualche mese fa), di Pauline, infermiera a domicilio interpretata con grande naturalezza da Emilie Duquenne, l’indimenticata Rosetta dei Fratelli Dardenne. Madre di due bambini e figlia di un minatore comunista, amata e apprezzata dai pacifici concittadini che ogni giorno la vedono trafelata passare da un anziano bisognoso di cure all’altro, finisce per cedere alle lusinghe dell’amico medico Philippe (un sontuoso André Dussolier) che la convince ad accettare la candidatura a sindaco nelle file della destra populista del “Bloc Patriotique”: da sempre famoso per le sue posizioni xenofobe e razziste, il partito si vuole dare una nuova veste per le competizioni istituzionali, che gli consenta prima o poi di aspirare alla guida del paese, e cerca nuovi volti per svecchiare la sua immagine e allontanarla dalla pericolosa fama di forza violenta ed estremista. E chi c’è a capo di questo raggruppamento se non Agnes Dorgelle (cui dà volto efficacemente Catherine Jacob), un vero e proprio alter ego di Marine Le Pen?
Fin qui tutto bene, anzi male, perché Pauline in fondo è un personaggio buono nel film, per tutta la vita si è fatta carico di pazienti, papà, figli, etc.: ma le vere complicazioni, personali e politiche arrivano quando lei si innamora di Stephane (Guillaume Gouix) all’apparenza tenero allenatore di calcio ma in realtà picchiatore mai pentito di una banda di “cacciatori di migranti”, ripudiata perfino dal Bloc perché incarnazione di quell’immagine che non vuol più trasmettere. Dal partito arriva l’out out, o lui o noi: e quando le nefaste imprese degli squadristi di Stephane finiscono per coinvolgere, casualmente, anche lei, in un agguato a una famiglia maghrebina che è nella lista dei pazienti di Pauline, la situazione politica e psicologia precipita. Positivamente: lei lascia disgustata il Bloc e il possibile seggio, lui giura che è cambiato e non perseguita più nessuno. E vissero felici e contenti? Mah…
Film a tutti gli effetti schierato, in modo quasi militante, e come tale accolto dalle proteste del Front National già solo dall’apparizione del trailer, Chez Nous, è uscito in Francia il 22 febbraio, per avere un impatto sulla campagna elettorale presidenziale, ricordando che come Agnes Dorgelle anche Marine le Pen nasconde dietro il doppiopetto ufficiale, anzi il tailleur d’ordinanza elettorale, un’anima nera. E la forza del film sta proprio nel mostrare a tutti che anche una persona perbene, cresciuta con valori progressisti, può lasciarsi incantare da una retorica suadente, populista si usa dire ora abusando anche un po’ di questo termine, basta che rimuova le parole d’ordine più incendiarie. Tanto, il suo vero elettorato originario, che rivendica ad ogni più sospinto che siamo chez nous, “a casa nostra” (non degli stranieri, quindi), e che sulla base di questo principio si deve votare, “sa”, capisce comunque, al di là della moderazione.
Chez nous ha un’ottima capacità, che è stata quella dei migliori film impegnati di Costa Gavras, come Z – L’orgia del potere: innestare su un discorso politico esplicito fin quasi alla cronaca diretta, il groviglio di vicende personali, di rapporti familiari e sentimentali, anche complessi, dei suoi protagonisti. E di qualche personaggio minore, come i due adolescenti, figli insospettabili di famiglie progressiste, che stanno tutto il giorno su internet per prepararsi alla guerra contro i musulmani. Costruendo un equilibrio che permette di non far prevalere un elemento a scapito dell’altro: insomma niente pedagogia civile, eccessi di analisi storiche e giornalistiche – un male che ha finito per distruggere l’analogo filone italiano anni ’60-’70, pur nato sotto le ottime stelle di Rosi, Petri, Montaldo e altri – ma uno spazio e un peso rilevanti a un discorso politico chiaro, e mai ridotto nell’economia della storia a puro sfondo di vicende individuali. Magari anche esemplari, eccezionali, quindi alla fine deboli come veicoli di significati più generali.