Fabri Fibra e Nada, Montellanico e Maldestro, Lo Stato Sociale e Paola Turci sono solo alcuni dei nomi che sfilano in questa rassegna dedicata ai CD di musica italiana in uscita
Fabri Fibra – Red carpet/ Fenomeno/ Skit-Considerazioni/ Ringrazio
Si chiede se a quarant’anni sia ancora giusto martellare il pubblico di rime ma intanto Fabri Fibra rivendica la primogenitura: lui rappa da prima dei social, dei twitter e di YouTube, dice, e sono tutti rapper con le rime degli altri (Red carpet). Nel nuovo album Fenomeno (***1/2), schizzato subito al primo posto in classifica, il marchigiano ha una buona parola per tutti. Per il divismo (la title-track Fenomeno, otto milioni di visualizzazioni mentre scrivo), per i nuovi rapper che hanno in testa soltanto griffe, soldi e successo, per l’Italia che è una festa impazzita (Pamplona, con The Giornalisti). Per chi proibisce la marijuana, invitando Roberto Saviane a rappare (oddìo, per la verità a salmodiare un discorsetto sensato sul perché bisogna legalizzarla) in Skit-Considerazioni. Per la mamma infine, che gli ha rovinato la vita e lo picchiava a sangue, e per il fratello invidioso che scrive canzoni insulse (il fratello è Nesli: il recente Kill karma, **1/2 è in effetti assai poco memorabile), nella canzone conclusiva Ringrazio. Il proprio ombelico come metro di misura del mondo, in letteratura si chiamerebbe autofiction.
Nada Trio – Senza un perché/ Guardami negli occhi/La posa/ Dentro la tasca di un qualunque mattino
È un bel pezzo di vita, questo intenso La posa (****) che vede una delle nostre artiste più stimate, Nada, per la seconda e purtroppo ultima volta in trio con il grande chitarrista Fausto Mesolella (scomparso a fine marzo per un infarto) e con Ferruccio Spinetti al basso. Nada e i due Avion Travel si erano incontrati nel 1994: ne erano nati un tour e, nel 1997, un bel disco. Adesso il bis, che rivisita il repertorio “fuori dai riflettori” della cantante toscana: istantanee scabre e ruvide ma di limpida messa a fuoco, “momenti di essere”. Nel frattempo Senza un perché, che era del 2004, dopo essere stata scelta da Paolo Sorrentino per la colonna sonora di The young pope, è finita in classifica fuori tempo massimo. Oltre alle sue canzoni (c’è anche l’inedita La posa), l’album ospita tre bellissime cover: Dentro la tasca di un qualunque mattino di Gianmaria Testa, Falling in love again cavallo di battaglia di Marlene Dietrich, Sul porto di Livorno di Piero Ciampi. E una torch song salentina, Malachianta. Applausi.
Levante – Non me ne frega niente/ Gesù Cristo sono io/ Pezzo di me/ Santa Rosalia
Anno ambizioso questo 2017 per Claudia Lagona in arte Levante, trent’anni da compiere, siciliana di Caltanissetta cresciuta a Torino, cantautrice al terzo album, al primo romanzo (Se non ti vedo non esisti, pubblicato nei mesi scorsi da Rizzoli) e al primo featuring importante (in Assenzio di J/Ax e Fedez). Con Nel caos di stanze stupefacenti (****) la svolta pop rispetto al precedente Abbi cura di te è netta: elettronica, voci raddoppiate, una batteria marziale in bella evidenza e una voce che osa, senza temere le inerpicate. Mischiati all’introversione e al diario di bordo esistenzial-sentimentale, temi importanti affrontati con piglio acuto ma naturale, senza programmatico impegno, ma per questo tanto più efficaci: l’indifferenza sostanziale che il falso impegno di tanti post sui social nasconde (Non me ne frega niente), la violenza maschile (Gesù Cristo sono io), l’omosessualità spiegata ai bambini (“Rosa o blu, dai un bacio a chi vuoi tu” nella pigra filastrocca Santa Rosalia: dice la leggenda che la santa di Palermo amasse una donna). Nel disco anche il divertissement Pezzo di me, doppio senso con Max Gazzè. Pronostico facile, per me è destinato a diventare un tormentone estivo. Pop, è vero, ma avercene pop di questa forza.
Maldestro – Abbi cura di te/ Tutto quello che ci resta/ Io non ne posso più/ Sporco clandestino
Si fa chiamare Maldestro perché dice di essere goffo, di inciampare dappertutto. All’anagrafe fa Antonio Prestieri ed è nato a Scampia nel 1985. Figlio di un capoclan della camorra, Tommaso, che oggi sta in galera ed è collaboratore di giustizia. Al padre non riesce a perdonare, ringrazia la madre che ha salvato lui e la sorella separandosi e andando a pulire scale e a fare la centralinista. Ha esordito due anni fa con un album bene accolto e premiato, Non trovo le parole. Oggi replica con I muri di Berlino (***1/2), storie d’amore agrodolci (Abbi cura di te, colonna sonora di Beata ignoranza di Massimiliano Bruno, con Alessandro Gassman e Marco Giallini; ma c’è anche Canzone per Federica, seconda alle Nuove Proposte di Sanremo e premio Mia Martini della critica), sguardi solidali per gli ultimi (Sporco clandestino) e sbuffi di insofferenza (Io non ne posso più). Sincero, nel solco di un cantautorato classico.
Lo Stato Sociale – Amarsi male/ Buona sfortuna/ Mai stati meglio/ Nasci rockstar, muori giudice ad un talent show
Simpatici, resta il sospetto che un po’ ci facciano, che siano più paraculi che ingenui. Ma simpatici, tanto. E spavaldi, nella loro assoluta normalità (non grandi musicisti, non grandi cantanti, non grandi autori: ma i testi hanno impennate ironiche – e tenere – notevoli) e nel loro electropop un po’ impegnato e un po’ no. Rewind: loro sono Lo Stato Sociale, un quintetto bolognese in pista dal 2009, con due album alle spalle (Turisti della democrazia e L’Italia peggiore). Amore, lavoro e altri miti da sfatare (***1/2) è il terzo, e cominciano a riempire i palasport (il 22 aprile sono al Forum di Assago). Divertono con i loro post-it di precarietà sentimentale (Amarsi male, Buona sfortuna, ma andate a cercarvi anche Vorrei essere una canzone) ed esistenziale (Mai stati meglio), artigliano fino a un certo punto con descrizioni sullo stato delle cose (Sessanta milioni di partiti, Nasci rockstar, muori giudice ad un talent show) che sono meglio nel titolo che nello svolgimento.
Paola Turci – Fatti bella per te/ La prima volta al mondo/ Un’emozione da poco/ Ma dimme te
Energia, chitarre squillanti batteria e un po’ di elettronica, una voce spiegata che incede senza paura, una sensazione di forza positiva. Il secondo cuore (***1/2), dodicesimo album di Paola Turci, comunica la pace fatta con se stessi. Ci sono i Navigli di Milano (Ci siamo fatti tanti sogni), le collaborazioni con Enzo Avitabile (Nel mio secondo cuore) e con Fink (Sublime), una rilettura asciutta e convincente di Un’emozione da poco, il brano di Ivano Fossati e Guido Guglielminetti che nel 1978 fruttò il secondo posto a Sanremo ad Anna Oxa. Fatti bella per te, che apre il disco, è invece Sanremo 2017 (Paola Turci è arrivata quinta), mentre la sorprendente Ma dimme te, che chiude il disco ed è stata la prima delle nuove canzoni ad essere scritta, è un duetto in romanesco con Marco Giallini, ispirato da Anna Magnani. Paola Turci canta a Milano il 22 maggio, all’Auditorium La Verdi della Fondazione Cariplo.
Paolo Benvegnù & Angela Baraldi – Olovisione in parte terza/ Boxes/ Tornano sempre/ Hollywood Babilonia
Ultraterreno lui, umana troppo umana lei. Lui e lei sono, con percorsi artistici e scelte assai diverse, tra i migliori esponenti della musica d’autore non conformista in Italia. Lui è Paolo Benvegnù, milanese, ex frontman degli Scisma e, da solista, al suo quinto album. H3 + (****), il titolo è la formula chimica dello ione triatomico d’idrogeno, l’elemento più presente nello spazio, è un viaggio di fantascienza intima alla scoperta di se stessi, con echi di David Bowie. Lei è Angela Baraldi, bolognese, tra le mie preferite di sempre, da quando faceva la corista di Lucio Dalla e duettava con Francesco De Gregori, da quando incantava i critici a Sanremo, da quando recitava per Gabriele Salvatores in Quo vadis, baby?, da quando rileggeva il repertorio dei CCCP Fedeli alla Linea con Massimo Zamboni. Questo per dire che Tornano sempre (****1/2), il suo nuovo album, il suo ottavo, è tra le più belle e intense cose italiane che ho ascoltato da molto tempo, e che in particolare una canzone dell’album, Hollywood Babilonia, è un colpo al cuore. Paolo Benvegnù e Angela Baraldi sono il 21 aprile, in un doppio concerto, al Serraglio. Da non perdere.
Chiara Civello – Come vanno le cose/ Eclisse twist/ New York City boy/ Quello che conta
Eleganza. È la dote principale dell’eclettica e nomade Chiara Civello, romana di casa a New York e in Brasile. E adesso anche a Parigi, dove Eclipse (****), suo sesto album, è stato registrato e prodotto da Marc Collin dei Nouvelle Vague con tessiture vintage (tastiere seventies, batteria elettronica, addirittura il moog). Nella scaletta di questa interprete jazz che ha studiato al Berklee College of Music di Boston, ha esordito nel 2005 entrando subito nella classifica di Billboard (l’album era Last quarter moon) e ha collaborato con un numero impressionante di grandi, canzoni scritte da nomi prestigiosi della nostra canzone d’autore: Diego Mancino (Come vanno le cose), Dimartino (Cuore in tasca), Francesco Bianconi dei Baustelle (New York City boy) e Cristina Donà (To be wild). Non mancano gli omaggi al Brasile: Sambarilove con Rubinho Jacobina e Um dia scritta con il chitarrista di Caetano Veloso, Pedro Sa. Belle le riletture: due Morricone due (Eclisse twist e Quello che conta, cantata da Luigi Tenco in La cuccagna), Amore amore amore di Piero Piccioni e Alberto Sordi (la cantava Lara Saint Paul) e Parole parole, che la Civello rende avendo in mente il duetto fra Dalida e Alain Delon, più che quello tra Mina e Alberto Lupo. Chiara Civello è in concerto a Milano il 12 maggio, all’Unicredit Pavillon.
Silvia Chiesa e Maurizio Baglini – Vocalise op. 34 n. 14/ Romance in fa minore: Andantino con sordino/ Sonata in sol minore op. 19 di Sergej Rachmaninov
Milanese lei e pisano lui, violoncellista lei e pianista lui, partner sulla scena e nella vita, Silvia Chiesa e Maurizio Baglini, dopo avere affrontato Saint Saens e Brahms, Schubert e Busoni, Debussy e Britten, Corghi e Chopin, rileggono l’integrale per piano e cello di Sergej Rachmaninov (****). La celebre Sonata op. 19, innanzitutto, ma anche pezzi brevi e brani meno conosciuti (io amo in particolare il Vocalise op. 34), un tardoromanticismo che nell’interpretazione dei due non diventa mai svenevolezza sentimentale. Violoncellista di timbro scuro e grande eloquenza lei, pianista audace lui, che ha all’attivo maratone esecutive dal vivo come la Nona di Beethoven trascritta da Liszt, Chiesa e Baglini si accostano a Rachmaninov con rigore e penetrazione, dando conto delle introversioni del grande russo, ma anche dei suoi umori più acri e notturni. Il disco è dedicato a due amici francesi degli esecutori, morti negli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi.
Ada Montellanico – First song / Long as you’re living/ Don’t explain/ Mi sono innamorato di te
Romana, Ada Montellanico è arrivata al jazz dopo gli studi universitari di etnomusicologia e la frequentazione della Scuola Popolare di Musica del Jazz del Testaccio. Qui nel 1985 la scopre Enrico Pieranunzi, uno dei nostri maggiori e forse il più lirico dei nostri pianisti, che la fa debuttare. Da allora, con la sua vocalità calda e agilissima, Ada Montellanico ha collaborato con molti grandi (Rava, Konitz, Rea, Bosso tra gli altri), esplorato l’universo delle donne in jazz, reso omaggio a Billie Holiday e Luigi Tenco in album preziosi. Oggi, con Abbey’s road (****), rilegge il repertorio della grandissima Abbey Lincoln (1930-2010), la più “africana” delle interpreti jazz e tra le figure centrali nella battaglia per i diritti civili. Assecondata da un quartetto privo di pianoforte (Giovanni Falzone alla tromba, Filippo Vignato al trombone, Matteo Bortone al contrabbasso ed Ermanno Baron alla batteria), Montellanico trasforma la sua voce in strumento. Aspro e dolce, avvolgente e incantatorio, purtroppo di Abbey’s road non esiste traccia su YouTube. Ho rimediato con un brano di Billie Holiday e uno di Tenco.
IL RECUPERO
Milly – Ma l’amore no/ Canzone dei cannoni/ Lontano lontano/ Nostalgia de Milan
Si chiamava Carla Mignone, era nata ad Alessandria nel 1905. Cresciuta assieme a una sorella e a un fratello dalla madre, il padre li aveva abbandonati quand’era bambina, esordì a vent’anni come Milly nel varietà torinese. In quel periodo da soubrettina ebbe anche una storia d’amore, di cui molto si disse e ancor più si mormorò, con il giovane Umberto di Savoia. Poi passò al cinema, diretta dal cognato Mario Mattoli, che sarebbe diventato in seguito il regista preferito di Totò assieme a Camillo Mastrocinque, trovando un posto fra le dive dei telefoni bianchi. Nel dopoguerra, nel 1956 per l’esattezza, la rilanciò Giorgio Strehler, facendone la straordinaria protagonista dell’Opera da tre soldi. Milly intanto era cambiata e la sua voce, con “quel buio che aveva nella gola” (la definizione è del grande critico teatrale Roberto De Monticelli), si era scurita. Dagli anni ’60 sino alla morte, nel 1980, fu interprete carismatica, ironica e autoironica, delle canzoni fra le due guerre (celebri le sue esibizioni a Studio Uno), mentre metteva in repertorio la canzone d’autore che allora cominciava a emergere: Paoli, Tenco, De André, fino a Ivan Della Mea. Di recente, Filippo Crivelli che la diresse in un leggendario spettacolo al Gerolamo, Milanin Milanon, ha curato assieme a Vanna Bartoli una ricchissima antologia, Milly special 2 (****1/2), con 70 delle sue migliori prove. La sua voce intrisa di disincanto, di drammatica limpidezza, di solidarietà con le donne in amore in un tempo bigotto in cui l’adulterio, ma solo quello femminile, era reato, è tutta da riscoprire.