Un libro, una guida, la prima esecuzione tra il Famedio e il viale centrale dell’opera di Yuval Avital Requiem Monumentale: molte buone ragioni per raccontare del cimitero dei milanesi, vero museo a cielo aperto, e dell’associazione che ne rende viva la memoria e l’anima
Il Monumentale per i milanesi, probabilmente più per la borghesia milanese, era un luogo famigliare, non solo un cimitero.
Le mamme, quando ogni tanto tenevano i figli, invece di accompagnarli al parco come faceva la bambinaia tutti i giorni, li portavano al Monumentale a trovare i nonni, a vedere gli angioletti, i castelli fatati, a innaffiare le aiuole davanti alla tomba, a portare nuovi fiori e intanto, con l’idea ‘di andare a trovare i morti’, si davano appuntamento con la zia, la sorella, la cugina, che ai giardinetti non sarebbero mai venute, si sarebbero troppo annoiate.
Così si univa l’utile, cioè portare i bambini all’aria aperta, col dilettevole, ricordarsi cioè dei cari estinti.
Per noi bambini era un rito, una gita che aspettavamo, intanto perché si stava con la mamma e poi quel parco chiuso da alte mura con cuspidi e pinnacoli, con un labirinto di grandi viali dagli alberi giganteschi, costellato da fiabesche cappelle, con angeli svolazzanti, donne piangenti, terrificanti sculture della morte con la falce, era pieno di mistero.
La vecchia zia si fermava davanti alle tombe di quelli che aveva conosciuto, ci raccontava la loro storia, scoprivamo di avere parenti lontani, che carattere avevano, cosa avevano combinato nella vita, la zia raccontava storie di guerra, di liti famigliari, di amori e tradimenti, di successi e sventure.
Si fermava anche davanti alle cappelle più belle, o a quelle che sceglievamo noi piccoli, leggevamo le epigrafi, scoprivamo che certi erano personaggi famosi, e lei, la zia ci raccontava qualcosa di speciale, un pettegolezzo, una storia tragica e segreta, spesso se le inventava, ma noi la ascoltavamo ipnotizzati.
Quella che ricordo meglio, anche perché era il monumento su cui più fantasticavo, era l’Edicola Körner, in cui un uomo e una donna tristissimi, scheletrici, di bronzo ossidato, verdastro, scrostato, si scambiano la fede nuziale. Le due tragiche figure stanno in piedi davanti alla porta chiusa di un tempio di marmo, in precario bilico su una piattaforma ovale, obliqua; mi sembrava stessero per precipitare.
La zia raccontava che erano due giovani sposi, annegati insieme. Credevo che il velo intorno alla testa della donna fosse la cuffia che usava per nuotare e il nastro che cinge le due figure fosse una cintura da sub.
Molti anni dopo ho imparato che la cappella era opera di Adolfo Wildt, magnifico scultore milanese, diverso da tutti gli altri. Secondo Sironi, cronista d’eccezione delle opere del monumentale alla fine degli anni ’20, i suoi marmi, i suoi bronzi creano un lirismo funerario, una misticità scolpita. Il simbolismo che sta dietro l’Edicola Körner è la connessione tra amore e morte, la corrispondenza d’amorosi sensi, quella dei danteschi Paolo e Francesca, che continua anche oltre la vita, ET ULTRA, recita infatti l’iscrizione sulla tomba.
La misteriosa piattaforma obliqua su cui si reggono i due amanti, che mi sembrava una nave spaziale in miniatura, dà un sottile slancio dinamico alla composizione.
Il secondo monumento davanti al quale mi fermavo sempre è L’Ultima Cena, un po’ perché era veramente enorme; un po’ perché indicava la svolta nel percorso per raggiungere la tomba dello zio Pio, fratello della nonna, che s’era giocato la villa di famiglia al casinò e s’era pure sposato con una donna di dubbia fama; terza ragione perché l’Ultima Cena era una storia che conoscevo già; last but not least , mi piaceva soprattutto perché era la tomba di Davide Campari, quello del bar Camparino, proprio all’angolo della Galleria Vittorio Emanuele. È un bar piccolino, bellissimo, con tutte le pareti rivestite da mosaici liberty iridescenti pieni di cascate di glicini meravigliosi; ci andavamo ogni tanto, magari all’uscita del cinema, per l’aperitivo, gli adulti naturalmente ordinavano il bitter Campari, noi piccoli ci bevevamo una bibita gassata con le patatine e le olive e ci sentivamo grandi e importanti. Insomma anche Davide Campari nel mio immaginario infantile era uno di famiglia.
L’edicola è dello scultore Giannino Castiglioni, un altro grande del Monumentale, ed è stata inaugurata il giorno dei morti del 1939, e diventerà subito simbolo del cimitero e del prestigio dell’arte funeraria che raccoglie. L’opera in bronzo è di proporzioni grandiose, le figure, studiate dal vero, sono di grandezza doppia rispetto al naturale. E’ poi geniale l’idea di celebrare i Campari, industriali degli aperitivi, seduti intorno a un tavolo.
Nel libro La piccola città Il monumentale di Milano di Carla De Bernardi e Lalla Fumagalli (Jaca Book, oltre al libro è appena uscita anche anche una guida al cimitero) si illustra anche il profondo legame tra l’Accademia di Brera e il Cimitero Monumentale.
Dal 1805 vennero istituite le Esposizioni annuali, divenute triennali dal 1891, dove gli studenti e gli altri artisti, italiani ed europei, potevano mettersi in mostra. In quella sede scultori e architetti esponevano bozzetti e modelli per le opere funerarie destinate alla nuova borghesia che si stava affermando nell’Italia post-unitaria, desiderosa di testimoniare la propria importanza, il proprio prestigio e ricchezza anche dopo la morte.
In vita frequentavano il Teatro alla Scala nei loro palchi neoclassici, pregavano in Duomo sulle loro panche scomode ma esclusive, si ritrovavano in Galleria Vittorio Emanuele a discutere e a bere un Camparino al baretto.
Anche gli artisti più ribelli, come gli Scapigliati, come lo stesso Medardo Rosso, tra una fuga a Parigi e l’altra, esponevano al concorso di Brera e riuscivano a ottenere importanti commesse per il monumentale, così potevano campare e continuare nelle loro sperimentazioni.
Fu Camillo Boito, presidente dell’Accademia, architetto e autore della novella Senso da cui Luchino Visconti trasse il magnifico film, a indire un bando internazionale per la progettazione del Cimitero nel 1863 e assegnò la vittoria a Carlo Maciachini.
In soli tre anni vennero completati i lavori e venne inaugurato il 2 novembre 1866.
Da allora, la Piccola Città dei Morti, circondata da alte mura, si è popolata di angeli, santi, soldati caduti e fanciulle esangui, morti e resurrezioni, cappelle gotiche e templi classici.
Cardinali e principi, accanto ad avvocati, medici, artisti, cantanti. La danza macabra li accomuna tutti.
Le amiche ( e gli amici) del Monumentale
La storia degli Amici del Monumentale di Milano ha avuto inizio, per caso, una domenica di sole in un bar di Legnano, davanti ad un bicchiere di vino bianco e a una ciotola di patatine fritte. Ecco come è andata. Nel 2009, Lalla ed io, oggi rispettivamente vicepresidente e presidente dell’associazione, appena tornate da un viaggio a piedi dai Pirenei all’Oceano, sul Cammino di Santiago, eravamo andate in visita al Monumentale ed eravamo rimaste folgorate da tutta quella bellezza. Incantate dal silenzio e dalla quiete che regna nei viali alberati, nelle piccole piazze silenziose, in mezzo a gentiluomini di bronzo e dame di candido marmo, tra Ultime Cene e Resurrezioni, tra minuscole piramidi e tempietti dorici, iniziammo da subito a cullare idee e progetti che però, in quel momento, erano solo una lontana e intrigante intuizione, tutta da mettere a fuoco.
Per mesi e mesi, con il sole e con la pioggia, con la nebbia e con la neve, iniziammo a fare quasi ogni giorno lunghe passeggiate tra i capolavori d’arte e di architettura, annotando e fotografando, commentando e ricercando. Poi consultammo i faldoni dell’archivio storico (ora purtroppo chiuso senza un vero perché) spulciando uno ad uno documenti, disegni, immagini d’epoca, planimetrie e assonometrie alla ricerca delle tracce dei protagonisti del Monumentale. Non solo dunque artisti e architetti, ma anche di tutti coloro che hanno reso grande Milano e che sono lì sepolti: musicisti, scrittori, poeti, sportivi, esploratori, pionieri del volo, economisti, attori e giullari, fondatori di imperi e di università, baritoni, soprani e tenori, medici e avvocati…
Poi, chiacchierando e assaporando il Pinot Grigio quella famosa domenica, la soluzione arrivò all’improvviso dalla fervida mente del marito di Lalla, Aurelio, scomparso poche settimane fa, che buttò lì, di getto: “Ma perché non create un’associazione e coordinate tutto il lavoro fatto e, soprattutto, quello che avete in mente di fare?”
Detto fatto. Il 23 marzo del 2013, gli Amici del Monumentale nascevano ufficialmente: la prima presidente onoraria fu Almerina Buzzati che aveva conosciuto Dino proprio tra quelle mura antiche, mentre oggi quel ruolo è del professor Marco Vitale, bresciano di nascita, milanese di residenza, internazionale per cultura e attività ma soprattutto appassionato alpinista, come ama descriversi.
Il primo progetto è stato la realizzazione del Laboratorio di restauro all’interno del cimitero per la conservazione e la tutela di opere lapidee e di bronzo, che è stato possibile realizzare con Fonderia Artistica Battaglia e con i docenti dei Corsi di restauro dell’Accademia di Brera e che ha restituito splendore a molti capolavori in stato di abbandono. Il 4 giugno 2015 nel piazzale davanti al Cimitero Acattolico è stata posizionata l’opera MU-141- La Vita Infinita, donata alla città dal Maestro meneghino-nipponico Kengiro Azuma, da Fonderia Artistica Battaglia e dagli Amici del Monumentale.
Questi quattro anni sono stati anche tempo di scrittura: dopo il mio Non ti scordar di me – Guida per curiosi e ficcanaso al Monumentale di Milano (Mursia 2015) entrambe abbiamo lavorato al libro La piccola città .Il monumentale di Milano e alla Guida al Monumentale, appena usciti da Jaca Book.
I volontari dell’associazione, da noi coordinati) realizzano da sempre passeggiate tematiche dentro il Monumentale: dai simboli alla maternità, dai lavoratori agli innamorati, dal liberty al razionalismo, dagli scapigliati ai razionalisti, tutti gli argomenti storici, sociali e artistici sono stati trasformati in incontri sul campo per soci e simpatizzanti.
Poteva poi mancare la volontà di organizzare un restauro? Assolutamente no e così, dopo aver scelto l’opera che per prima è stata posizionata al Monumentale nel 1867, un Angelo custode del sepolcro di Luigi Buzzi Giberto, dedicata al garibaldino Nicostrato Castellini, il 18 febbraio 2017, c’è stato lo svelamento del monumento risanato.
E’ stato inoltre appena completato il restauro conservativo della tomba di Medardo Rosso, un magnifico Ecce Puer, posizionata nel Cimitero degli Acattolici, e si sta pensando al restauro dell’edicola dell’architetto Carlo Maciachini, artefice di tutta la bellezza del Monumentale. Gli Amici, sempre alla ricerca di nuove idee per promuovere il loro Museo a cielo aperto, si sono attivati nel tempo anche a livello internazionale diventando research partners di ASCE-Association of Significant Cemeteries in Europe, una rete culturale e storica che collega più di centotrenta cimiteri da Venezia a Praga, da Parigi a Lisbona, da Atene Milano.
Ma non basta perché é in corso, fin dall’inizio dell’attività il censimento di migliaia di opere che entreranno in un programma di archiviazione che verrà messo a disposizione dell’amministrazione, dei cittadini, degli studiosi. L’associazione ha poi avviato da due anni un itinerario didattico rivolto ai bambini delle scuole del primo e del secondo ciclo e collabora con importanti licei nell’ambito delle attività di alternanza scuola-lavoro.
Veniamo infine all’appuntamento, un vero e proprio evento internazionale, di domenica 14 maggio. Per i 150 anni del cimitero, inaugurato il 2 novembre 1866, gli Amici hanno commissionato un’opera musicale a Yuval Avital. Compositore, chitarrista e artista multimediale, è considerato uno tra i maggiori talenti italiani della scena musicale contemporanea e sperimentale. Avital ha dunque composto il Requiem Monumentale, su testi di Salvatore Quasimodo e Alessandro Manzoni che verrà eseguito nel salone del Famedio e nel Viale Centrale.
L’opera, realizzata con il patrocinio del Comune di Milano e del Consiglio di Regione Lombardia e con il Contributo di Fondazione Cariplo, conduce gli spettatori in un viaggio emozionale straordinario, tra vita e morte, fugacità e eternità, antico e moderno. All’interno del Famedio, in un ambiente intimo e protetto, il coro Incanto Contemporaneo eseguirà un’opera scritta per 14 parti vocali sotto la direzione di Francesco Grigolo. Le parti renderanno omaggio a Quasimodo con “Ed è Subito Sera”. Allo stesso tempo nel viale Centrale del Monumentale una banda di cento ottoni, guidata dal Maestro del Conservatorio di Milano Gianmario Bonino, compirà un tragitto itinerante eseguendo “Foresta Manzoni”, un omaggio alla ricchezza del linguaggio e del pensiero manzoniano, con rimandi sonori e testuali all’estetica ottocentesca.