Terza versione per lo schermo in pochi anni, stavolta firmata dall’israeliano Oren Moverman, del best-seller di Herman Koch “The Dinner”. Riuniti intorno a un tavolo per discutere se mettere sotto accusa i figli adolescenti, colpevoli, ma non ancora riconosciuti, di aver maltrattato e ucciso un senzatetto, due fratelli che non si amano (con rispettive consorti) mettono in scena, tra una portata e l’altra, un gioco al massacro in cui cadranno tutte le loro maschere e le loro certezze
Si potrebbe molto ragionare sulle ragioni che in pochi anni hanno spinto tre registi di paesi diversi a portare sul grande schermo e in maniera così diversa Het Diner, best-seller di Herman Koch. Dopo l’omonimo, primo contributo in lingua tedesca del regista e sceneggiatore Menno Meyjes (ll colore ciola) nel 2013, l’anno seguente è stata la volta di Ivano De Matteo, che con I nostri ragazzi ha per certi versi anticipato l’atmosfera di Perfetti sconosciuti, altra cena all’italiana durante la quale i partecipanti si trovano faccia a faccia con scomode verità. A prendere il testimone ora è l’israeliano Oren Moverman, che in The Dinner sceglie di dare alla vicenda un taglio Made in U.S.A.
Ma le affinità fra il romanzo di Koch e Il dio del massacro di Yasmine Reza non rimandano ad alcuna vicinanza fra la splendida trasposizione che Roman Polanski ne fece in Carnage nel 2011 e le soluzioni adottate dal regista di Oltre le Regole, che rispetto all’impianto teatrale e all’unità spazio-tempo preferisce una struttura su tre piani, forse per analizzare la vicenda con maggiore consapevolezza temporale e causale.
Due fratelli siedono al tavolo di un lussuoso ristorante con le rispettive mogli. “Questa sera dobbiamo parlare”, ammonisce Stan (un Richard Gere che torna a lavorare con Overman dopo Gli Invisibili) al fratello minore Paul (Steve Coogan). Il primo, tanto affascinante quanto ingombrante, è un membro del Congresso in corsa per la carica di governatore, il secondo un ex professore di storia che ha deciso di chiudere coi farmaci che lo salvarono dalla schizofrenia. Li accompagnano le rispettive consorti, la giovane Katelyn (Rebecca Hall), moglie trofeo devota ai figli del marito, e la carismatica Claira (Laura Linney), timone di una famiglia altrimenti al naufragio.
Tra gli uomini c’è molta ruggine, frutto visibile di anni di astio e ataviche incomprensioni, come l’indigesta gelosia di Paul per le preferenze sempre accordate dalla madre al fratello minore. Nessuno dei quattro avrebbero voluto andare a quella cena, ma volenti o nolenti sanno che devono. L’accordo tacitamente preso è quello di decidere come comportarsi coi figli teenager, rei d’aver maltrattato e ucciso una senzatetto che stazionava in un bancomat. Convocare una conferenza stampa e spiattellare le verità, compromettendo il proprio futuro e quello dei figli, o chiudere un occhio nella speranza di un’improvvisa presa di coscienza da parte loro? A complicare la decisione sta il fatto che la bravata orribile dei ragazzi è stata ripresa dalle telecamere di sorveglianza: il video è già su Youtube, potrebbero essere riconosciuti o farla franca.
Le premesse vanno al discorso sul dilemma etico del male minore che stringe l’occhiolino al celebre problema del carrello: un convoglio ferroviario si muove su un binario a cui sono legate cinque persone, che saranno uccise sotto i nostri occhi a meno che noi azioniamo una leva che devierà il carrello su un altro binario a cui è legato un solo uomo. In seguito fu proposta una variante, la persona singola era sostituita da un uomo molto grasso posto di fianco a noi su un ponte: se l’avessimo buttato giù, si sarebbe potuto fermare il carrello. A questa versione si avvicinano le angosce dei genitori, e il loro chiedersi se sia giusto evitare il dilagare del male agendo essi stessi in prima persona sui figli.
Ma mentre le colpe dei figli paiono sempre più ricadere sui padri, in questo apologo suddiviso in capitoli che vanno al ritmo di piatti e portate ciascuno dei commensali si toglierà la maschera che indossa da anni, mettendo a nudo secche e anfratti di rapporti che parevano fluidi. E la pellicola di Overman si lascia sedurre dal barocco e dalla voglia di strafare, cadendo spesso in excursus fotografici e stilistici che distraggono lo spettatore dalla reale, semplice, crudeltà della scelta che dovrebbe, da sola, giustificare due ore di visione. Il discorso è sulla morale, campo di battaglia per sua natura senza vinti o vincitori, e affollato da combattenti che dovranno riuscire ogni mattina a guardarsi allo specchio. Ma, forse spaventato da una materia così ingombrante, poco maneggevole, il film si dà all’abbellimento: e non sempre perdersi è meraviglioso.
The Dinner, di Oren Moverman con Adepero Oduye, Chloe Sevigny, Laura Linney, Rebecca Hall, Richard Gere, Steve Coogan, T. Rae Almonte