A chiudere le celebrazioni per i 40 anni dell’Out Off, in scena sul palco un testo di Jan Fabre, L’imperatore della Sconfitta: apologo all’inutilità? Protagonista, la camaleontica (e anche drammaturga) Elena Arvigo
A chiudere le celebrazioni per i 40 anni dell’Out Off in questi giorni vediamo in scena sul palco un testo di Jan Fabre, L’imperatore della Sconfitta.
Jan Fabre, artista eclettico, molto legato allo sviluppo di questo teatro già dalla sua nascita e poi ancora quando approda nel 2004 in via Mac Mahon, questa volta viene riletto e messo in scena da due donne, una genovese fortemente legata al panorama italiano, la brava Elena Arvigo, e l’altra, Sara Thaiz Bozano, legata invece molto a scenari internazionali.
Sul palco pochi elementi, due scale, di rami contorti, due cuori che battono forte, incontrollati; un tulle da proiezione che muta durante tutto lo spettacolo avvolgendo i due attori, la stessa Elena Arvigo e Marco Vergani. A dar loro manforte effetti ben curati di video di e luci orientati, va da sé, a generare immagini e proiezioni surreali.
Nell’epoca del successo come unica forma di vita, la sconfitta torna in questo testo ad avere una forma e una sostanza ben definita. Più o meno elemento centrale del lavoro, da ricercare e coltivare per tornare ad essere più umani. Da qui un’occasione di rivincita e prosecuzione verso un futuro migliore: la sconfitta diventa punto di partenza e non di arrivo, perché tramite lei si può continuare a sbagliare – e avere la consapevolezza di esistere nel mondo.
L’autore fa dire al suo clown, forse un “tipo” che più di tutti può incarnare un’umanità ai confini, padrone del suo microcosmo, che l’esercizio partorisce l’arte. L’arte, colei che risulta inutile, superficiale, un accessorio opzionale, non qualcosa di concreto, di utile alla crescita interiore delle umane sorti.
In una società in cui l’utile, il profitto, segna le esistenze di tutti, sembra che l’inutile – i saperi che non producono guadagno – è molto più utile dei soldi. L’unica occasione che abbiamo, come esseri umani, di diventare migliori ce la forniscono l’istruzione, la ricerca scientifica, i classici, i musei, le biblioteche, gli archivi, gli scavi archeologici: e non si commenta come governi e crisi si accaniscano proprio su questa presunta “vacuità”.
Nuccio Ordine ci dice questo nel suo libro, L’utilità dell’inutile, e qui lo stesso gesto, la stesso focus lo ritroviamo nello spettacolo. La ripetizione dei gesti, delle parole, dei moventi: tutto è estremamente curato e studiato, sul palco si sceglie un modus operandi – più che un’emozione da trasmettere al pubblico. Ma il testo è chiaro e forte e ci arriva dritto alle orecchie: invita a riflettere, sulla vittoria, sulla sconfitta, sul giusto e lo sbagliato, sull’utile e sull’inutile.
L’uomo moderno, indaffarato, prigioniero della necessità è, scrive Ionesco, un uomo che ha perduto il senso della vita.
(foto di Federico Pitto e Dorkin)
L’imperatore della sconfitta, di Jan Fabre, al Teatro Out Off fino al 27 maggio