È ispirandosi a William Shakespeare, ma molto di più allo scrittore russo Nikolaj Semënovič Leskov, che il debuttante regista/sceneggiatore inglese William Oldroyd costruisce un personaggio sensuale e feroce, cui dà volto la brava, bella, implacabile Florence Plugh: Katherine, nobildonna ottocentesca rinchiusa in uno sperduto maniero col marito vecchio e odioso, si rivolta a un trattamento da schiava da riproduzione diventando l’amante dello stalliere e facendo strage di uomini e di nobili costumi
Lady Macbeth, film d’esordio del regista/produttore inglese William Oldroyd, nasce subito come una commistione piuttosto vorticosa di origini diverse. Il film è di produzione inglese, ma prende spunto da un romanzo di uno scrittore russo, Nikolaj Semënovič Leskov, che a sua volta si è ispirato, per il senso sottotestuale e naturalmente per il titolo, alla celebre opera shakespeariana. La giovane Katherine (Florence Pugh) vive in un palazzo isolato nella campagna, sposata con Alexander (Paul Hilton), un marito di convenienza, molto più vecchio e disinteressato a lei, che secondo i desideri del suocero (Christopher Fairbank) dovrebbe usarla solo per procreare. La noia, prima, e la legittima rabbia, poi, spingono la ragazza ad avviare una relazione appassionata con uno stalliere (Cosmo Jarvis). Decisa a non separarsi mai da lui, folle d’amore e non solo, Katherine è pronta a ribellarsi contro chiunque si frapponga tra lei e la sua libertà.
Con l’antieroina di Shakespeare, la protagonista di questo film condivide senza dubbio parte del suo percorso, che più che formativo potremmo definire “deformativo”. La frustrazione più lancinante, non solo nel non vedersi affermata, ma proprio nel non venire trattata come persona, innesca in Katherine un progressivo meccanismo di disumanizzazione, che la porterà a compiere atti spesso orribili pur di arrivare alla riconquista di ciò che in un sistema più equo le sarebbe più del tutto dovuto.
Parliamo quindi dell’universale questione femminile, che attraversa i secoli e le nazioni, ma anche del senso di rivolta più estremo e senza compromessi, della lotta più cieca e irrimediabile. Il personaggio della protagonista ricorda per certi versi quell’isolano selvaggio di Porcile, film in cui PierPaolo Pasolini aveva proprio messo in scena la deprivazione più radicale, il rifiuto delle sovrastrutture etiche come gesto amoralizzante e anarchico. Anche nell’opera di Oldroyd assistiamo allo stagliarsi di questa figura, impersonata qui da una nobildonna inglese di fine Ottocento. Se quindi della Macbeth originaria questa pellicola (e il romanzo ispiratore) prendono le cause ma soprattutto gli effetti, andando oltre nell’analisi scopriamo che il film mette all’angolo il tema dell’emancipazione della donna e lo rende spunto per un gioco al massacro contro ogni tipo di etica.
E grazie a questi espedienti contenutistici il regista e sceneggiatore riesce nell’intento di svecchiare completamente il film in costume, creando un contrasto vivido tra l’immobilismo dei tempi narrati e la violenza incontrollabile dei protagonisti che li abitano. Potremmo inserire Lady Macbeth in un trittico ideale di film usciti recentemente, prodotti di cinematografie differenti, che vanno oltre l’opera di ambientazione storica ottocentesca per provare a parlare di temi universali: succede in Amore e Inganni dell’americano Whit Stillman, nel francese Una Vita di Stèphane Brizè, e, appunto nella messa in scena di questo interessante Lady Macbeth di Oldroyd.
Lady Macbeth, di William Oldroyd, con Florence Pugh, Cosmo Jarvis, Paul Hilton, Naomi Ackie, Christopher Fairbank