In pochi conoscono la storia di Pinot Gallizio, farmacista, partigiano, artista, inventore della pittura industriale, situazionista, re degli zingari di Alba.
Ci sono molti motivi per vedere la bellissima mostra in corso alla Triennale, curata da Massimiliano Gioni, Terra Inquieta, (fino al 20 agosto) dedicata al tema dei temi della contemporaneità, le migrazioni. Uno, certamente non il primo, ma sorprendente e laterale, è riscoprire un tipo originale, la cui vicenda incrocia la provincia profonda piemontese con il suo accento dolce e strascicato, il nomadismo zingaro e la rapida epopea del situazionismo, il movimento radicale politico-artistico fondato 60 anni fa (28 luglio 1957) che tanto piacque al maggio francese e ai sessantottini.
Questa specie di sovversivo mite ha il volto segnato e buono, per nulla maledetto, di Pinot Giuseppe Gallizio, vita intensissima e breve per colpa di un infarto (1902-1964), nato e vissuto ad Alba, farmacista per dieci anni, poi produttore di caramelle, archeologo, erborista, partigiano, consigliere comunale, democristiano, comunista, attivista, che superati i 50 anni si scopre artista e pittore e inventa tra le altre cose la pittura industriale, ossia rotoli di tela dipinta che lui vende a metro per smontare l’idea commerciale e elitaria dell’arte. Molto apprezzato dalla critica Carla Lonzi, è stato un protagonista fulminante di una stagione artistica di cui si è persa per strada la memoria.
La cantina di casa sua ad Alba, battezzata Laboratorio Sperimentale, diventò per qualche anno catalizzatore di personaggi che incrociavano il movimento lettrista, il gruppo CO.BR.A, il Bauhaus immaginista, poi confluiti nell’internazionale situazionista (IS), come Guy Debord, l’autore del libro manifesto La società dello spettacolo, il danese Asger Jorn, Enrico Baj, Constant, Piero Simondo, Pegeen Guggenheim, figlia di Peggy. Tutti nettamente più giovani di lui, alcuni poco più che ragazzi, ai quali il farmacista Gallizio si avvicinò con entusiasmo infantile.
Alla Triennale non è tanto il pittore autodidatta e ribelle in mostra, ma la sua passione per il nomadismo e quindi, con la coerenza e il candore del personaggio, per i nomadi in carne ed ossa che attraversavano il corridoio tra Francia e Italia. Un luogo di sosta era appunto Alba dove le carovane si accampavano vicino al mercato. Quando il sindaco conservatore li cacciò a metà degli anni Cinquanta, Gallizio semplicemente regalò ai sinti un suo terreno lungo il Tanaro perché costruissero il loro campo, che poi si chiamò campo Pinot Gallizio.
Della sua battaglia vicino alle “tribù” in consiglio comunale e fuori restano diverse fotografie e una sorta di tazebao che Pinot esponeva sulla vetrina della farmacia intitolato: “L’uomo è sempre l’uomo. É iniziata la grande battaglia per la sosta degli zingari” e in cui si ipotizza per lui la possibilità di diventare “il gran capo di più di 1.200.000 zingari”. In mostra anche una foto famosa che lo ritrae con due enormi orecchini da zingara indossati orgogliosamente e che gli guadagnarono l’appellativo tra gli albesi perplessi di re degli zingari.
Non è tutto, naturalmente, perché Gallizio, da bravo situazionista, l’intreccio tra arte e politica per creare “situazioni” lo prendeva sul serio: alla Triennale c’è anche il modellino ideato da Constant Nieuwenhuys, artista e architetto olandese, che ispirò la sua ricerca su New Babylon, l’anti-città paradossale pensata per la nuova umanità nomade, l’homo ludens liberato da ogni schiavitù, compresa quella della sedentarietà. Quale terreno di sperimentazione migliore di un’idea così radicale e folle della progettazione di un campo nomadi?
Immaginiamoci quindi Constant che, nel 1956, invitato da Gallizio, visita il campo sinti di Alba realizzato sul terreno del farmacista-pittore. Racconta: «Di quello spazio tra le roulotte, che avevano chiuso con tavole e bidoni di benzina, avevano fatto un recinto, una “Città dei Gitani”. Quel giorno ho concepito il progetto di un accampamento permanente per i Gitani di Alba e questo progetto è all’origine della serie di maquettes di New Babylon. Di una New Babylon dove si costruisce sotto una tettoia, con l’aiuto di elementi mobili, una dimora comune; un’abitazione temporanea, rimodellata costantemente; un campo nomade su scala planetaria». Il modello rimase tale e il campo nomadi fu poi spostato, anche a causa delle ricorrenti piene del Tanaro.
Intanto ad Alba, in casa di Gallizio, e poi in un minuscolo paese sulle Alpi Marittine, a Cosio di Arroscia, si svolge l’avventurosa vicenda dell’internazionale situazionista che tra scissioni, espulsioni e suicidi si protrasse per una quindicina d’anni. Proprio in questi giorni è uscito per il Melangolo Un’imprevedibile situazione. Arte, vino, ribellione: nasce il situazionismo di Donatella Alfonso, che racconta con leggerezza questa storia inseguendo i protagonisti, le loro esistenze scombinate, i litigi, gli amori e il prodigio per cui un gruppo cosmopolita di artisti e intellettuali giovani (a parte Gallizio), un po’ bohémien, grandi bevitori, squattrinati e anarchici si ritrovò in un posto sconosciuto, salvo al pittore Piero Simondo che ci era nato, per fondare un movimento che ha avuto una fascinazione così grande su varie generazioni da diventare un modo di dire, anche se ormai pochi sanno di cosa parlano quando usano la parola “situazionista”. Alfonso ricostruisce il prima e il dopo di quel congresso di fondazione del 28 luglio 1957, svoltosi nel retro di un bar, bevendo quantità considerevoli di “cosiate”, il vino locale come pare lo avesse battezzato Debord.
Per i curiosi e gli irriducibili, in occasione del sessantesimo, Cosio ospita la sera del 28 luglio musica, bevute e cibo, mentre sabato 29 verranno presentati alcuni libri sul tema tra cui quello di Alfonso. Ma il clou sarà la mattina di sabato con il “Non-convegno Situazionista. Punto della Situazione n° 4”. Non c’è scaletta naturalmente e chiunque può parlare. Come spiega Roberto Massari, uno degli organizzatori, una ventina di studiosi e post-situazionisti ancora in circolazione, «all’ultimo non-convegno c’è chi ha fatto una lunga e dotta relazione filosofica e chi ha soffiato in una trombetta».