Terzo appuntamento con la rubrica “Scoprendo Milano”: ogni mese, la storia di un luogo, della sua evoluzione architettonica, del suo ruolo nelle trasformazioni della città. Nei giorni in cui una mostra celebra, a quarant’anni dalla morte, Maria Callas e aspettando, come ogni anno, il 7 dicembre, oggi parliamo della Scala.
Il Teatro alla Scala, teatro d’opera conosciuto in tutto il mondo, è annoverato tra gli edifici più significativi di Milano; la storia di un’istituzione tanto emblematica è paragonabile a quella di un grande organismo, frutto di numerosi contributi che nel tempo hanno forgiato l’edificio così come noi lo conosciamo. Rimaneggiamenti, restauri e ampliamenti hanno contribuito a delineare il volto dell’odierna Scala, il cui nome incarna la sua stratificazione storica: il teatro venne infatti edificato nel 1776 sul terreno dove sorgeva la chiesa di Santa Maria alla Scala, demolita a causa delle compromesse condizioni statiche.
La decisione di realizzare un nuovo teatro per la città di Milano, allora parte dell’Impero Austro-Ungarico, fu presa in seguito alla distruzione del teatro Regio Ducale dovuta ad “un pauroso incendio causato dalle follie del Carnevale meneghino”. Successivamente i 90 palchettisti, già proprietari del vecchio teatro, proposero la costruzione a loro spese di un nuovo teatro in cambio della concessione del terreno e del rinnovo della proprietà dei palchi. L’imperatrice Maria Teresa d’Austria approvò tale progetto e incaricò della costruzione del nuovo teatro l’architetto Giuseppe Piermarini, allievo di Vanvitelli, autore della Reggia di Caserta.
Con il suo progetto Piermarini seppe affrontare le numerose esigenze tecniche e funzionali proprie di una struttura teatrale coniugandole in uno stile semplice e rigoroso, in grado di dare un’immagine rappresentativa alla nuova istituzione. Il primo interrogativo che il progettista dovette affrontare riguardò la scelta della forma adeguata per la grande sala, che condizionava in maniera decisiva la sua impostazione tecnica: dalla scelta di altezza, pianta, materiali e struttura muraria dipendeva infatti la riuscita di questo complesso progetto. Piermarini optò per una pianta a ferro di cavallo in quanto permetteva, insieme ad una buona visibilità del palcoscenico, anche un’ottima acustica.
L’efficace fusione tra visione teorica e realizzazione pratica si evince soprattutto dalle scelte costruttive: Piermarini concepì una struttura muraria a spessori scalari a sostegno delle grandi capriate del tetto e delle scale di accesso ai palchi e alla platea, alla quale collegò una struttura interna lignea composta da fasce e pilastrini. Per la volta di copertura della sala Piermarini previse una membrana separata dalle capriate del tetto tramite una camera d’aria, in grado di reagire al suono come una sorta di gigantesca cassa di risonanza. Per quanto riguarda l’immagine esterna l’architetto progettò una facciata nobile ed equilibrata, in linea con i canoni estetici dello stile Neoclassico; l’aggiunta di un porticato ad archi in corrispondenza degli ingressi per separare il passaggio delle carrozze da quello dei pedoni conferì maggior respiro all’entrata del teatro: all’epoca infatti l’edificio si affacciava direttamente sulla contrada del Giardino, oggi via Manzoni, allora molto più stretta e trafficata.
Grazie a queste e ad altre scelte progettuali il Teatro alla Scala risultò essere uno dei migliori dell’epoca, divenendo un modello in Italia e in Europa. L’edificio, inaugurato il 3 agosto 1778, impressionò fortemente i contemporanei: Stendhal rimase a bocca aperta per essersi trovato di fronte, scrisse, «al più bel teatro del mondo, quello che dà il massimo godimento musicale. È impossibile immaginare nulla di più grande, più solenne e nuovo».
Tuttavia già pochi anni dopo il completamento del teatro vennero effettuati i primi cambiamenti, volti ad adattare il teatro alle mutevoli esigenze della frenetica cultura meneghina: nel 1807 vennero realizzate nuove decorazioni per la volta e per i palchi, mentre nel 1814 venne aggiunto un proscenio, in modo tale da rendere gli artisti più visibili agli spettatori e da perfezionare l’acustica della sala. Negli anni successivi proseguirono i lavori di progressivo ampliamento, ma il vero e proprio cambiamento avvenne nel 1858 quando, con la demolizione della quinta muraria su via Manzoni, si configurò l’attuale piazza della Scala. Tale profondità definì una condizione urbana nuova, non prevista dal progetto di Piermarini, il quale concepì una facciata adeguata ad un edificio fruibile da una stretta strada; la creazione della piazza permise pertanto la visione d’insieme dell’intero complesso teatrale. Piccoli lavori di mantenimento, estensioni e rimaneggiamenti continueranno a susseguirsi nel corso degli anni: nel 1907 venne abbassato il piano dell’orchestra, come già avvenuto in altri teatri, con buoni risultati per l’acustica e per una maggior visuale per gli spettatori.
Nonostante le innovazioni che nel volgere di circa un secolo e mezzo furono via via apportate alle strutture e agli impianti del palcoscenico, il Teatro alla Scala all’inizio del ‘900 non era stato in grado di attuare completamente i progressi necessari per le nuove tecniche scenografiche e l’organizzazione dei servizi annessi, come era avvenuto per altri teatri europei; oltre alle ristrettezze economiche anche la mancanza di spazio a disposizione del palcoscenico penalizzava le necessarie migliorie.
Tutto ciò contribuì a creare difficoltà nel pianificare l’avvicendamento di diversi spettacoli; pertanto l’ingegnere Cesare Albertini, chiamato nel 1921 a intervenire sulla struttura scenica, pensò di aumentare l’agibilità degli spazi laterali del palcoscenico dimezzando il numero dei massicci pilastri che sorreggevano, oltre al ballatoio, le grandi capriate del tetto, riducendole da sei a tre per lato; si provvide anche a innalzare il tetto del palcoscenico di sette metri, in modo da agevolare il cambio delle scene. Parallelamente le tecniche scenografiche stavano mutando profondamente, passando dall’utilizzo di fondali dipinti alla costruzione di vere e proprie scene; perciò il vecchio palcoscenico in legno a due palchi fissi sovrapposti veniva manipolato sempre più di frequente, rendendo la messa in scena macchinosa e costosa.
Pertanto a partire dal 1937 vennero effettuati importanti lavori di trasformazione dei vecchi impianti ad opera dell’architetto Luigi Lorenzo Secchi, che progettò un sistema a ponti e pannelli e dotò il fondo del palcoscenico di un piano mobile. Gli sforzi di rinnovamento che si erano avvicendati fino ad allora vennero vanificati dal tragico bombardamento a tappeto che si abbatté su Milano il 16 agosto 1943, durante il quale la volta, il proscenio, l’arco scenico e gran parte dei magazzini vennero distrutti. Lo stesso Secchi venne incaricato del delicato compito di ricostruire una Scala martoriata da questo tragico evento; i lavori di ricostruzione, terminati nel 1946, vennero celebrati con un partecipato concerto inaugurale, la Gazza Ladra di Rossini, diretto da Arturo Toscanini. Tale esibizione sancì la rinascita del Teatro e, con esso, della città sopravvissuta alla guerra: migliaia di persone, all’interno e anche all’esterno dell’edificio, grazie agli altoparlanti installati nelle vie adiacenti, presero parte al grande evento che inaugurò una stagione di nuovi splendori.
A partire dagli Anni ’50 proseguirono i lavori di miglioria e di ampliamento di alcune strutture del teatro, sempre per mano di Secchi, tra cui il ridotto di platea, il nuovo atrio e il ridotto delle gallerie. La manutenzione del teatro continuò, al fine di sostituire tutto ciò che si degradava e di adeguare progressivamente gli spazi alle nuove esigenze tecniche e di sicurezza. Tuttavia alla fine del 2001 si constatò l’urgenza di decisive migliorie, soprattutto per gli impianti tecnici e gli spazi di servizio. Pertanto a partire dal 2002 vennero intrapresi degli imponenti lavori di ristrutturazione dell’intero teatro ad opera degli architetti Elisabetta Fabbri, responsabile del restauro conservativo degli interni, e Mario Botta, autore dell’estensione degli spazi tecnici e di servizio.
Se l’obbiettivo del restauro degli spazi interni era la conservazione della connotazione originaria, al fine di fare emergere la materia e lo spirito con cui il teatro era stato progettato, la riorganizzazione degli spazi tecnici e di servizio, frutto della crescita disordinata delle esigenze funzionali del teatro, richiedeva un più energico approccio. L’intervento di Botta ha profondamente cambiato la conformazione degli edifici adiacenti al teatro, che sono stati in gran parte abbattuti per far posto a due nuovi volumi rivestiti in marmo botticino. Il parallelepipedo immediatamente retrostante la grande sala del teatro ospita, insieme ad una nuova e imponente macchina scenica, le sale prove per l’orchestra, il balletto e il coro, un centinaio di camerini, una mensa e uffici amministrativi e tecnici. Nel secondo volume a pianta ellittica, disposto parallelamente all’asse del teatro storico, sono stati riordinati ulteriori spazi funzionali e di servizio, quali gli spogliatoi e i camerini di tecnici, ballo, orchestra, collegati verticalmente con lo spazio scenico attraverso gruppi di scale e ascensori.
Al termine dei lavori la composizione esterna del complesso teatrale, così come appare dopo l’intervento di Botta, fu oggetto di polemiche che divisero l’opinione pubblica meneghina: se da un lato non mancarono i giudizi positivi, dall’altro molti giudicarono l’intervento dell’architetto ticinese troppo invasivo per un’istituzione storica come il Teatro alla Scala. Ma se ad un primo sguardo i due volumi possono sembrare imponenti, ad una seconda e più attenta osservazione non sfuggirà il ruolo che quest’aggiunta riveste nell’immagine dell’intero complesso: i nuovi corpi, arretrati rispetto alla costruzione originale, esaltano il rapporto figurativo tra il tessuto urbano storico e il linguaggio astratto delle nuove costruzioni, e appaiono tanto più fruibili grazie alla profondità di campo di Piazza della Scala. Tale insieme esalta l’intervento del Piermarini come parte di un complesso architettonico ampio e composito, i cui linguaggi spaziano dal ‘700 a oggi.
La stratificazione che si riscontra nel teatro alla Scala rispecchia emblematicamente la complessità che caratterizza Milano e, più in generale, la grande ricchezza storica che costituisce le città odierne. La compresenza di diversi linguaggi è indice del vissuto forte e intenso che si è succeduto nel corso dei secoli; alla cultura contemporanea si richiede pertanto un approccio intelligente e attento alla complessità, indice di un impegno sociale e civile prima ancora che estetico. Esiti di tale approccio devono essere interventi che sappiano ricucire e ridefinire il costruito nella sua complessità spaziale e storica: “Mi auguro che questo intervento sulla Scala, necessario e coraggioso, possa essere di stimolo per la città affinché si assuma una nuova consapevolezza rispetto alla sue enormi potenzialità”..