Straordinaria Giulia Lazzarini nei panni della tata dell’argentino Tolcachir
“Sono più le cose che si ricordano di quelle che si vivono”, e ciò che ricordiamo può segnare indelebilmente ciò che siamo e saremo. Le figure che hanno popolato il tempo in cui ci siamo costruiti e formati possono assurgere a mito o persino diventare il cardine su cui costruiamo l’immagine di noi stessi e del mondo.
È questa Emilia, la vecchia tata che ha cresciuto Walter e che lui, accoglie, quarantenne, con quella che ha tutta l’aria di essere la tensione spasmodica del bambino che vuole mostrare ai grandi quanto è stato bravo a svolgere il suo compito. Una casa, nuova e grande, una giovane moglie affascinante e timida, un figlio pronto a sbocciare, da mostrare a una donna che gli tributa l’amore incondizionato di chi lo ha visto bambino, e ne rievoca i difetti e le memorie imbarazzanti con la tenerezza di cui li ammanta il passato. Questo è ciò che appare
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Perché è sufficiente un momento di attenzione per notare la garbata spietatezza dei giudizi di Emilia, a cogliere nei gesti d’amore enfatici e nei subitanei scoppi d’ira una crudeltà che striscia fra le parole, un equilibrio teso su un filo che stiamo osservando nell’istante che precede la rottura.
Ciò a cui si assiste è il progressivo sfilacciarsi, lo sfaldarsi dello strato di belletto che i ricordi hanno posato sulla vita vissuta. Quella di un uomo minato da un’infanzia priva di affetti, di una madre single che si è lasciata scegliere e affoga nella bulimia il proprio senso di incompiutezza, di un figlio solitario, diverso dai coetanei, solo suo malgrado e alla ricerca disperata di relazioni che non sarebbe in grado di vivere. E, infine, la vita di una donna che, senza più un bambino da accudire, non ha un posto dove andare.
Uno strappo che inizia con una vibrazione e scivola fino allo scoppio della rottura definitiva – quando il padre del giovane Leo riappare nella vita di chi gli era familiare – che porta Emilia in carcere. Il drammaturgo e regista argentino Claudio Tolcachir tratteggia una pièce che, se non ha un impianto inedito, è però scritta in punta di penna. È soprattutto costruita sulle relazioni, dove nulla è ciò che sembra e il flashback incrociato confonde i piani temporali e i sentimenti.
Chi osserva vede sfumare le proprie certezze e si scopre stranito dalla propria stessa compartecipazione emotiva. Josafat Vagni è estremamente convincente nel ruolo del figlio che sembrava solitario e non ha controllo su di sé, mentre la madre (una attenta Pia Lanciotti) si è piegata a un uomo che non ha mai amato, e il marito, un esplosivo ed efficace Sergio Romano, nel voler sembrare risolto cerca un’immagine di felicità posticcia, forzosa e fuori dal tempo, tratteggiando nei propri sogni una casa di bambola contemporanea.
Che avrebbe lo stesso finale, se non fosse per il fatto che Walter non è in grado di gestirlo. E se non fosse, soprattutto, per Emilia. Ovvero per Giulia Lazzarini, che dà corpo a un personaggio ambiguo e animato da un caleidoscopio di sfaccettature, che l’attrice milanese incarna dimostrando con straordinaria precisione i motivi che l’hanno resa uno dei monumenti – vitalissimi – del teatro italiano.
Lazzarini giganteggia perché fa vivere un personaggio complesso con una grazia senza pari ed è capace di incantare con un sussurro, un gesto minimo, un tono esatto. Dettagli per altri impercettibili, che lei governa dando l’impressione di non vedere soltanto una grande interprete giocare sapientemente con la propria età e gli strumenti scenici che essa le mette a disposizione, ma di vedere piuttosto una donna che è. Con tanta verità da portare il pubblico a pensare come lei, condurlo con delicatezza e una malìa irresistibile a comprendere, tollerare anche l’intollerabile. Ci si trova, con sottile terrore, ad amare di lei anche i lati più cupi, anche quando li rende manifesti. A scoprire labili anche i confini di ciò che si definisce amore, qui diventato per tutti un composto di “colpa, abitudine, paura”.
Benché sia ingiusto relegare gli altri personaggi al ruolo di comprimari, è su Emilia che poggiano le sfumature. È sulla grazia innata e il candore – tutt’altro che uniforme – dell’interprete Giulia Lazzarini che poggia la complessità del bisogno spasmodico e cannibalizzante della vecchia tata di dare amore a modo suo, al di sopra dei sentimenti umani e delle categorie, anche quelle di giusto e sbagliato. Perché è solo così che può mantenersi in vita, anche a prezzo di quella altrui.
FOTO DI ACHILLE LE PERA
Emilia, al Piccolo Teatro fino al 29 ottobre