Fontana Technopop

In Arte

La mostra Ambienti/Environments all’Hangar Bicocca di Milano presenta al pubblico due interventi ambientali e nove Ambienti spaziali realizzati da Lucio Fontana tra il 1949 e il 1968. Le installazioni in mostra, spazi percorribili di forme e di luce, aprono concettualmente l’idea stessa di spazio, creando ambienti in cui lo spettatore è catturato da tubi al neon, luci di wood, vernici fluorescenti e altri materiali per l’epoca innovativi, in uno slancio che, dal teatro futurista, porta direttamente al Technopop dei Kraftwerk.

Lo spazio dell’arte, inteso come spazio dell’opera e non come semplice luogo espositivo, è certamente un’eredità che viene dal teatro e, dagli inizi del Novecento, la storia dello spazio scenico si fonde e si intreccia con quella delle arti visive. Dadaisti, Surrealisti, Bauhaus e avanguardie russe hanno trovato nel teatro il luogo ideale per applicare le loro utopiche teorizzazioni, ma è soprattutto nel Futurismo che troviamo le premesse alle evoluzioni estetiche e strutturali che ci interessano.

Giacomo Balla, nel 1917, proponeva una “astrazione scenografica” intesa come “evocazione luminosa” in sincronia con la musica per i Feux d’artifices di Stravinskij. Anton Giulio Bragaglia, nel 1919, parlava di “messinscena fotoelettrica” e di “luce psicologica”.Enrico Prampolini, nel suo “Scenografia futurista” del 1915, auspica una “architettura elettromeccanica incolore vivificata potentemente da emanazioni cromatiche di fonte luminosa” per “far sconfinare l’angolo visuale prospettico oltre la linea dell’orizzonte”, come aggiungerà nel Manifesto Futurista del 1924. È evidente come già in queste sintetiche citazioni sia contenuto un secolo di Storia, non solo dell’Arte, fatto di esplosioni di bombe, luci stroboscopiche, TV, aerei,  automobili, discoteche e, all’avvento del XXI secolo, di tecnologie digitali che, a detta di alcuni, andranno a sostituire con la loro immaterialità l’opera d’arte tradizionalmente intesa. Ma è, ancora e sempre, futurismo!

Lucio Fontana, Ambiente spaziale, 1967/2017, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana Foto: Agostino Osio

Quando, nel 1949, Lucio Fontana realizza la sua prima opera ambientale, Ambiente spaziale a luce nera, le vernici fluorescenti che ricoprono la scultura sospesa nello spazio vengono usate in Europa solo per gli abiti di scena delle ballerine delle Folie Berger, e la luce di Wood, che la accende facendola stagliare nello spazio dipinto di nero della Galleria del Naviglio, era in uso ai dermatologi per rivelare la presenza di invisibili ospiti epidermici. Così, come fu per i futuristi, anche per Fontana la ricerca di materiali legati al presente è centrale, sia per le potenzialità nuove che offrono alla ricerca che per la volontà orgogliosa di vivere il proprio tempo.

Trent’anni dopo Prampolini, quello che Fontana cerca è la possibilità di generare lo spazio con il vuoto e la luce attraverso l’alterazione percettiva e fisica dello spazio e dei colori, per far sì “che il quadro esca dalla sua cornice e la scultura dalla sua campana di vetro”. “Fontana ha toccato la Luna”, scrisse un giornale dopo la mostra, profetizzando così quel Concetto spaziale, il celeberrimo taglio sulla tela, che sarebbe arrivato solo dieci anni dopo.

Lucio Fontana, Struttura al neon per la IX Triennale di Milano, 1951/2017, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana Foto: Agostino Osio

Ogni ambiente di Fontana è la costruzione di un’esperienza sensoriale, fisica e metafisica assieme, che in alcuni casi conserva intatti lo stupore e l’emozione del tempo in cui furono realizzati, a cominciare dalla Struttura al neon per la IX Triennale di Milano del 1951 che apre la mostra e che i milanesi già ben conoscono grazie alla ricostruzione che, dalla vetrata del Museo del ‘900, aleggia e veglia su Piazza Duomo. Lo scarabocchio gigante al neon su un soffitto “blu Giotto” pervade lo spazio sottostante con i suoi riverberi, catturando come un’astronave aliena lo spettatore che, alla fine del percorso, sarà nuovamento imbrigliato nella ricostruzione di Fonti di energia, soffitto al neon del 1961, imponente monumento elettrico al progresso tecnico e agli sviluppi delle fonti energetiche dei cent’anni  precedenti. Ancora una volta, futurismo.

Non sempre però la potenza innovativa delle realizzazioni spaziali di Fontana arriva diretta e immediata. Rispetto ai futuristi e anche a Fontana – che, seppur per un solo anno, era un uomo dell’Ottocento – noi siamo cresciuti in un mondo affollato di traffico e insegne luminose, siamo stati posteggiati per intere infanzie davanti alla televisione, svezzati all’amore in sinestesici locali ingolfati di luci colorate e ondulati divanetti e oggi siamo abituati a vivere in immersione subacquea in smartphone e tablet, per non parlare dei più giovani tra i nativi digitali a cui, per uscire dall’incalzante confusione tra reale e virtuale, auguro almeno l’ondulato divanetto. Restare abbagliati e stupefatti di fronte a neon, file di lucine e pavimenti a dosso può essere difficile quando si è assuefatti a ogni tipo di attacco visivo e sonoro, se non si pensa che quello che adesso è in eccesso prima non c’era.

Lucio Fontana, Ambiente spaziale a luce nera, 1948-49/2017, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana Foto: Agostino Osio

Si può dibattere se l’arte possa semplicemente rappresentare e, al meglio, profetizzare la realtà oppure possa influenzarla direttamente. Senza entrare nel merito, possiamo dire che la questione è circolare: così come la fantascienza ha influenzato la reale conquista dello spazio, così la rappresentazione artistica del mondo si è nutrita e ha influenzato lo stesso mondo che rappresentava. Il futurismo ha rappresentato la macchina, la velocità, l’epoca nuova. Fontana ha raccontato la luce, lo spazio, l’altrove. Entrambi hanno usato materiali nuovi, si sono costruiti i loro strumenti e hanno influenzato chi è venuto dopo di loro con la loro visione del mondo. Esattamente come hanno fatto, dal 1970 in poi, i Kraftwerk. E anche questo è futurismo!

Seguaci pop del guru dell’elettronica colta Karl Heinz Stockhausen, le sonorità fredde dei Kraftwerk sono considerate vicine all’estetica futurista e si basano sull’idea dell’integrazione tra l’uomo e la macchina, il robot e il computer. Inventori del Technopop, come i futuristi hanno sovvertito il precedente approccio al suono e alla composizione, influenzando e precorrendo generi elettronici come la musica techno, house e hip hop, hanno ispirato giganti come David Bowie e Iggy Pop che li hanno omaggiati con brani a loro dedicati, Michael Jackson e i Daft Punk, arrivando a esibirsi al Moma di New York, tempio assoluto dell’arte visiva contemporanea. I Kraftwerk hanno unito suoni analogici, digitali e video creando delle unità altre, sempre proiettati verso un futuro a cui loro stessi hanno contribuito a dare una forma e un suono.

Kraftwerk – The Catalogue 1 2 3 4 5 6 7 8, Tate Modern. Credit Peter Boettcher

È stato il caso a suggerire l’analogia tra il più influente artista italiano del suo tempo, e non solo, e la storica formazione elettronica tedesca. Dopo aver visitato la mostra all’Hangar Bicocca di Milano ho assistito, la sera stessa, al concerto Catalogue 3D 1 2 3 4 5 6 7 8 dei Kraftwerk alle OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino, spettacolare spazio multiculturale appena inaugurato dove un tempo si riparavano i treni e dove i Kraftwerk si esibiranno questa sera negli ultimi due concerti previsti. È bastato entrare, indossare gli appositi occhialini 3D e aspettare l’attacco dello spettacolo per capire che stavo assistendo alla continuazione del discorso. Gli aerei di luce futuristi, divenuti cieli abbaglianti negli spazi di Fontana, sono diventati astronavi 3D, che atterrano sulle teste di un pubblico spettacolarmente uniformato proprio dagli occhialini che permettono di vivere quell’esperienza, di esserne parte, come in un teatro futurista o in un Ambiente spaziale di Fontana. E anche questo, senza dubbio, è futurismo!

 

Lucio Fontana, Ambienti/Environments, A cura di Marina Pugliese, Barbara Ferriani e Vicente Todolí, in collaborazione con Fondazione Lucio Fontana, Pirelli Hangar Bicocca, fino al 25 Febbraio 2018.

Kraftwerk, Catalogue 3D 1 2 3 4 5 6 7 8, OGR – Officine Grandi Riparazioni, Torino,  ultimi concerti martedì 7 novembre ore 19.30 e 22.30.

Immagine di copertina: Lucio Fontana, Fonti di energia, soffitto al neon per “Italia 61” a Torino, 1961/2017, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana Foto: Agostino Osio

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