Una mostra alla Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia esplora gli intrecci tra musica e arti figurative, tra Otto e Novecento. Un percorso che parte da Wagner e arriva a John Cage
È in corso un’indagine sulla spiritualità nell’arte. A marzo Torino ospitò una grande mostra sul Colore nell’arte. Dall’11 novembre (e fino al 25 febbraio) a palazzo Magnani di Reggio Emilia è in corso una mostra che analizza i rapporti tra arte e musica, Kandinsky Cage.
Le premesse sono analoghe: si parte dalle riflessioni di Goethe sulla percezione, sul coinvolgimento dell’emozione umana nell’apparente universo delle percezioni fisiche. Dal pensatore tedesco si sviluppa nel secolo seguente tutta una elaborazione che sfocia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento nelle ricerche di Rudolf Steiner che daranno vita al movimento antroposofico. Ma – e la mostra da lui parte – un anello fondamentale è costituito dalla ricerca musicale di Richard Wagner. L’opera d’arte come esperienza totale che solleva lo spirito superiore dalla materialità: l’arte come espressione più alta del genere umano.
E quindi anche in questa mostra si presta particolare attenzione alla sinestesia, la capacità di interscambiare i sensi nelle esperienze più elevate: ascoltare attraverso la vista, apprezzare un’opera figurativa anche attraverso l’udito, o con la percezione tattile.
La mostra si concentra quindi sull’autore che più di tutti ha consapevolmente rivoluzionato l’arte del Novecento: Wassily Kandinsky. E sullo scritto teorico in cui la rottura astrattista trova compiuta espressione teorica: Lo spirituale nell’arte. Questo libro, apparso nel 1912 ma già elaborato nel 1910, congeda definitivamente l’arte figurativa come elemento obbligato nella ricerca artistica e introduce il concetto – spirituale davvero – di necessità interiore, come elemento basilare dell’espressione creativa. Nel fare questo il richiamo alla libertà della composizione musicale diventa consapevole punto di riferimento. E i suoi dipinti prendono da allora il titolo di Impressione, Improvvisazione, Composizione.
In questo elaborato processo, che si svolge massimamente nella città di Monaco, è importante l’atmosfera cosmopolita di quella città. È qui che Theodor Lipp – il primo professore che distingue la cattedra di Psicologia da quella di Filosofia, elabora la teoria dell’Einfühlung, che si potrebbe tradurre come empatia, riflesso della percezione nell’ambito psichico (una specie di teoria dei neuroni a specchio applicata all’arte). L’artista russo la conosce e la apprezza.
Da queste premesse la mostra si sviluppa in due momenti abbastanza distinti.
Il primo, che definirei “obbligatorio”, prende in esame gli artisti che di questo processo furono protagonisti fondamentali. Si parte con alcuni bozzetti delle opere di Wagner, Tannhäuser e Lohengrin.
Vi è poi un doveroso omaggio a quell’arte popolare fondamentale per capire il percorso di Kandinsky: i Lubok, incisioni, spesso di tema musicale, che le donne russe coloravano senza alcun obbligo realistico, con colori che si dipanano “astrattamente” sui fogli.
Seguono le tavole dell’album Il canto del destino di Max Klinger, in cui l’artista interpreta – in un cortocircuito sinestetico (arte figurativa, musica, poesia) – le musiche di Brahms ispirate dai canti di Hölderlin.
Ampio spazio poi è dato a due artisti poco noti in Italia ma che di questa ricerca sono protagonisti fondamentali: il musicista, fotografo, pittore lituano Çiurlionis e l’artista russa Marianne Werefkin. Il primo, musicista stimato da Stravinsij e Kandinsky, dipinge delle stupende tempere che sembrano sognanti partiture. La seconda si può definire la protagonista femminile di questa vicenda. Appartenente all’alta nobiltà russa, la Werefkin fu amica di Kandinsky di cui appoggiò con entusiasmo il processo creativo. L’artista, a lungo compagna di Jawlensky, amica di Klee, era sensibile e dotata e, sebbene sia rimasta volutamente in un ambito rigorosamente figurativo, capì forse meglio di tutti l’atmosfera dirompente del movimento che si sviluppava a Monaco. Fu poi tra i fondatori del movimento artistico e filosofico che si riunì a Monte Verità ad Ascona.
Vi sono poi le sale con i dipinti, i disegni, le grafiche di Kandinsky, in cui si segue con rigore l’evoluzione dal premonitore Gli spettatori, del 1904, alle Composizioni degli anni Dieci, al fondamentale Risonanza multicolore del 1928.
Seguono alcune opere pittoriche dell’alter ego – in musica – di quanto Kandinsky fece in pittura, Schönberg. E a chiudere questo primo momento della mostra c’è, giustamente, Paul Klee, che forse ancor più di Kandinsky seppe esprimere nelle sue opere il senso sinestetico della fruizione artistica.
A cavallo dei due, continuiamoli a chiamare così, momenti della mostra è un artista davvero singolare: Oskar Fishinger. Regista, pittore, grafico e musicista, accetta nel 1936 l’invito di Ernst Lubitsch a trasferirsi a Hollywood (l’aria in Germania per artisti come lui si era intanto fatta pesante) dove collaborerà con le major cinematografiche e sarà uno degli ispiratori di Fantasia di Walt Disney. In mostra sono presenti alcuni gustosissimi collage in cui Topolino ammira le opere di Kandinsky e due dipinti, del ’44 e ’46, di chiara ispirazione kandinskiana.
Il secondo momento della mostra è invece una “personal choice” della curatrice. Melotti, De Stael, Turcato hanno radicati contatti con la musica. Ma ci potevano stare anche Scriabin, Rothko, Dylan, Battiato. O David Lynch. È una scelta personale per l’appunto che però, inevitabilmente condurrà a John Cage.
Allievo di Schönberg, Cage è stato davvero un artista totale. La mostra gli rende merito esponendo i suoi libri, gli interventi sulle partiture, gli schizzi, le serigrafie, gli acquerelli e la testimonianza della più grande performance del Novecento: la sua partecipazione al Lascia o Raddoppia di Mike Buongiorno del 1959, dove vinse 5 milioni di lire di allora (la cifra – notevole all’epoca – più alta che si potesse vincere al gioco), presentandosi sulla micologia.
La mostra si chiude su due momenti di grande emozione: la stanza del silenzio (anecoica) con il dipinto bianco di Robert Rauschenberg Untitled (Tablet Series) del 1974 (“È bianco il colore del silenzio” scriveva Kandinsky nello Spirituale nell’arte) e il video del balletto di Merce Cunningham Ocean nella replica del Teatro Romolo Valli, tenuta a Reggio Emilia nel 1994.
Nel percorso della mostra si ascoltano alcune musiche: tra cui il Lohengrin, Brahms per Klinger, In the Forest di Çiurlionis, Webern per Kandinsky, Stravinsky per Werefkin, Mozart per Klee.
La curatrice, Martina Mazzotta, costruisce un percorso solido, coerente. Molto convincente. E non disdegna un velato omaggio al padre Gabriele, ideatore di mostre che la hanno certamente influenzata, inserendo alla fine del “momento” Cage e in riferimento al suo interesse per la cultura buddista, il Monaco tibetano di Alfred Kubin, amico e sodale di Kandinsky e Klee, proveniente dalla collezione Mazzotta. Elegante.
Kandinsky –> Cage. Musica e spiritualità nell’arte, a cura di Martina Mazzotta, Reggio Emilia, Fondazione Palazzo Magnani, fino al 25 febbraio 2018
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