“L’Insulto” di Ziad Doueiri, fuggito da Beirut durante la guerra civile negli anni 80 e diventato allievo di Quentin Tarantino, ripropone lo scontro tra due etnie e civiltà, quella cristiana e quella palestinese: qui impersonate dallo scontro banale, nato da un tubo idraulico, fra un tranquillo meccanico e un rifugiato palestinese cui dà volto Kamel El Basha, vincitore della Coppa Volpi al miglior attore a Venezia 2017
Da molti anni il Medio Oriente è al centro dell’attenzione per le guerre e le questioni politiche di cui è teatro. Tuttavia, ciò che pensiamo di sapere si basa spesso su ciò che vediamo nel presente, quando in realtà poco o nulla sappiamo della storia di quella regione e dei popoli che la abitano. Ce lo dimostra il film libanese L’Insulto, diretto da Ziad Doueiri e proposto come candidato all’Oscar per il miglior film straniero 2018. Toni Hanna (Adel Karam) è un cristiano di Beirut che conduce un’esistenza tranquilla tra l’officina dove lavora e la vita con la moglie incinta Shirine (Rita Hayek). Questo finché finisce in tribunale a causa di un violento litigio con il palestinese Yasser Salameh (Kamel El Basha). Tuttavia, il loro caso diventa ben presto noto a livello nazionale, rianimando rancori mai scomparsi tra i due popoli. In un contesto tornato più che mai di attualità in queste settimane con le vicende del premier Hariri, secondo alcuni “sequestrato” in Arabia Saudita.
Il pretesto del loro scontro è legato a una tubatura sotto un balcone, ma fin dall’inizio il vero motivo è un altro: infatti, Toni nasconde un terribile segreto sul suo passato, relativo a quella guerra civile che negli anni Ottanta portò alla morte di decine di migliaia di persone su più fronti; il problema è che, mentre la questione palestinese è nota a livello internazionale, i cristiani libanesi non possono parlare apertamente di ciò che hanno subito, poiché agli occhi degli altri arabi hanno la “colpa” di essersi alleati con Israele. A rendere gli animi ancora più agitati ci pensano il cinismo dell’avvocato di Toni, Wajdi (Camille Salamé) e il buonismo di quello di Yasser, Nadine (Diamand Bou Abboud).
A rendere il film ancora più personale è il fatto che il 54enne regista Doueiri, qui al suo quarto film in una ventina di anni, si è ispirato a un incidente che egli ebbe davvero con un idraulico a Beirut; inoltre, sia lui che il personaggio di Toni sono nati il 7 ottobre. Ma l’identificazione non si ferma solo a questo: Doueiri, infatti, durante la guerra dovette lasciare il Libano per andare negli Usa, dove iniziò la sua carriera nel cinema come operatore nei primi film di Quentin Tarantino. E stavolta dimostra di essere stato un buon allievo di tanto maestro, sia come regista che come sceneggiatore.
I due protagonisti interpretano perfettamente le rispettive parti, e la Coppa Volpi come Miglior Attore vinto da El Basha alla Mostra di Venezia 2017 è più che meritata. Un altro ruolo importante lo hanno la Hayek e Christine Choueiri, che interpreta la moglie di Yasser, poiché in questa storia le mogli cercano di calmare gli animi e bilanciare i mariti rancorosi. Molto bravo è anche Camille Salamé, il cui personaggio è il tipico avvocato spregiudicato disposto a tutto pur di vincere. L’unico problema sta nel fatto che il contesto storico-politico potrebbe non essere chiaro ad alcuni spettatori, soprattutto giovani, del film, i ricorrenti nomi di personaggi storici come Ariel Sharon e Bashir Gemayel potrebbero non dire molto.
Certamente Doueiri merita sostegno per il suo talento artistico, ma non soltanto per questo. A metà settembre, appena rientrato da Venezia nella sua Beirut, è stato arrestato e processato: il motivo? Nel 2013 si era recato in Israele per girare il suo precedente film, The Attack, il che gli è valso l’accusa di “collaborazionismo”. E questa discutibile accusa è un motivo in più per augurarci che il suo lavoro ottenga, almeno all’estero, il giusto riconoscimento.