Una mostra. La prima di tante che seguiranno l’anno prossimo, su quella fase di cambiamento radicale comunemente (e sbrigativamente) definita “il 68”. Ricca di documenti d’epoca molti legati (e non potrebbe essere diversamente) alla musica, soprattutto provenienti dalla swining London. “REVOLUTION. Records and Rebels 1966-1970, dai Beatles a Woodstock” è alla Fabbrica del vapore fino ad aprile 2018
Bella una mostra che parla di una rivoluzione.
E che rivoluzione! Quella culturale che ha prodotto uno dei cambiamenti più importanti della nostra epoca e ha visto una generazione giovane produrre idee, visioni, musica e cinema, moda, arte e in sintesi una nuova possibile visione del mondo.
La lotta era contro ciò che la mostra definisce l’“establishment”, ovvero la classe dirigente dell’epoca, politica ed economica. Non va dimenticato che prima che quel cambiamento avvenisse gli usi e i costumi erano molto più ipocriti e conservatori di quello che ci possiamo immaginare oggi.
I matrimoni misti fra bianchi e neri negli Usa erano vietati per legge, in Italia solo i figli dei ricchi potevano davvero credere di poter avere una vita migliore dei padri e ai giovani non era concesso di esistere come categoria sociale, soprattutto in Inghilterra e negli States.
REVOLUTION. Records and Rebels 1966-1970, dai Beatles a Woodstock, la mostra in pieno svolgimento alla Fabbrica del Vapore, racconta lo scatto, la voglia di quella generazione di cambiare il mondo. Come? Attraverso modi diversi di vivere e interpretare la realtà che passavano principalmente dalla musica, vera protagonista della mostra.
Bob Dylan, Frank Zappa, i Beatles, gli Stones, Woody Guthrie, The Doors, Jimi Hendrix e tanti altri sono presenti con suoni e iconografie varie, compresa la meravigliosa collezione di copertine di vinili di John Peel – mitico deejay inglese – che fa da filo rosso a tutto il percorso. Dentro quegli anni c’è il meglio della musica della seconda metà secolo scorso: la nascita del rock, della canzone d’autore, della psichedelia più creativa e di quel suono capace di raccontare meglio di ogni altra arte quel “male di vivere” che ha attraversato i testi e la musiche di Jim Morrison, Lou Reed, The Who, Animals e tanti altri. Un malessere che con la musica si trasforma in energia pura, ovvero la chiave di volta per capire le voglie e i desideri di quelle generazioni di giovani che provarono a cambiare il mondo.
Ma non c’è solo musica: il Victoria and Albert Museum di Londra (da cui proviene l’allestimento) ha costruito un percorso partendo dai libri che hanno formato e raccontato quella generazione. Ci sono le prime edizioni dei testi di Marshall McLuhan dedicati ai mass media e quelli di Aldous Huxley lo scrittore britannico che, citando William Blake in The Doors of Perception, diede a Jim Morrison l’idea per chiamare la band The Doors. Oppure il fondamentale On the road di Jack Kerouac, testo sacro per intere generazioni di rockers e cantautori a partire da Bob Dylan.
E il cinema, che diede corpo e immagine alle voglie di cambiamento attraverso le facce di grandi attori e soprattutto di grandi registi come Michelangelo Antonioni con il suo Blow up musicato dai giovani e già siderali Pink Floyd.
Poi c’è la moda, le allegre follie di Carnaby Street, protagoniste la giovane stilista Mary Quant e la mitica (e giovanissima) modella Twiggy, la dolce follia hippie (compresi caftani e tuniche hari krishna style) oppure il design e la pubblicità, all’epoca anche loro rivoluzionarie nel proporre idee e linguaggi nuovi.
Tante sezioni diverse che raccontano con cimeli e testimonianze (anche video) una vera e propria rivoluzione. E poi c’è il racconto costante dedicato alla droga, dalla cannabis all’uso di LSD, che fino al 1966 in California era legale e dava ai ragazzi dell’epoca – fra i quali c’era un certo Steve Jobs – una visione del mondo decisamente piu’ “aperta” ( e ovviamente molto pericolosa per le cellule cerebrali che si bruciavano).
Importante poi la parte dedicata all’esperienza delle comuni, ovvero a quei generosi e innocenti tentativi di cercare una vita diversa di scambi a contatto con la natura (e, naturalmente, della musica pop/rock), esperimenti destinati a finire nel secchio del riflusso degli anni ottanta guidati dal mitico edonismo reganiano.
Insomma, bella la mostra e bello l’allestimento, compresa la colonna sonora d’epoca che potrete sentire in cuffia e che trova la sua degna conclusione nella proiezione di estratti del film del leggendario concerto di Woodstock: “3 days of peace & music”.
Un paio di riserve: i pochissimi riferimenti all’Italia – giusto due cose sul Piper di Roma e su Re Nudo – e il prezzo (16 euro), decisamente eccessivo per il portafoglio medio degli italiani, soprattutto se giovani (per loro, sconto di ben due euro!). Avevo molti ragazzi a cui consigliarla….. ma per un ventenne costa troppo.