Stephen Chbosky firma il riuscito adattamento di un libro di grande successo, protagonista un ragazzino di dieci anni che affronta la prima media: lo accompagnano le incertezze classiche dell’adolescenza, alle quali si aggiunge l’impatto sui coetanei della sua malformazione al cranio, che lo rende un “diverso”. Owen Wilson e soprattutto una bravissima, materna Julia Roberts nel cast
Stephen Chbosky (regista di Noi siamo infinito, 2012 e co-sceneggiatore di La bella e la bestia, 2017) torna al grande schermo dirigendoWonder, adattamento cinematografico del romanzo omonimo di R. J. Palacio che dal 2012 ha conquistato il cuore di milioni di lettori, non solo negli Stati Uniti. La storia parte da una premessa drammatica e si rivela poi coinvolgente, ironica e toccante, senza scadere mai nel cinismo, forse peccando di eccessiva positività.
August Pullman (Jacob Tremblay), detto Auggie, è un bambino di dieci anni che deve iniziare la prima media. Ma il solo pensiero lo terrorizza, perché lui non è proprio come gli altri: affetto dalla nascita da una malformazione cranio facciale per la quale ha dovuto subire ben 27 operazioni, ha sempre studiato a casa con la madre Isabel come insegnante (una materna e memorabile Julia Roberts). Ce la farà ad affrontare, e superare l’anno scolastico? E gli altri coetanei come reagiranno quando lo vedranno? Sono queste alcune delle semplici, essenziali domande con cui il piccolo protagonista inizia Wonder, un viaggio lungo nove mesi in cui il mondo esterno dovrà fare i conti con un inaspettato, come dice il titolo della pellicola, prodigio.
Chbosky punta tutto su una storia ben narrata nel romanzo originale che, pur trattando un tema dalla lacrima facile e dal possibile disagio dello spettatore/lettore, si presenta con la spontaneità e la freschezza tipiche dell’infanzia, riuscendo a capovolgere il punto di vista e a coinvolgere ogni tipo di sguardo. Sì, perché se non si può cambiare l’oggetto del nostro interesse, si può di certo cambiare il modo di guardarlo. Wonder parte dalla prospettiva del particolare protagonista, ma non impedisce le visioni soggettive degli altri personaggi, che di volta in volta vengono presentate, svelando i retroscena di ogni esistenza (adolescenziale).
Auggie ha un problema fisico che lo condiziona, ma anche gli altri protagonisti (partendo da sua sorella Via, sempre eclissata dalla presenza bisognosa del fratellino, passando per la sua migliore amica Miranda, con genitori separati e una madre con il debole per la bottiglia, fino ai compagni di scuola di August, Jack, Summer e Julian) soffrono anche loro per situazioni o problemi con cui devono confrontarsi per imparare a crescere. Da questo punto di vista la pellicola di Chbosky, come la storia di Palacio, spiccano per intelligenza: in un mondo in cui bullismo e apparenza sono legati da un pericoloso e sottile filo consanguineo, ogni ragazzo dovrà imparare la lezione più importante della vita: accettarsi.
Se la massima di Wonder per gli adolescenti è scegliere di essere gentili piuttosto che essere giusti, ed usare la forza in equa misura, gli adulti devono sicuramente dare l’esempio: a parte i genitori di Auggie, mamma Isabel e papà Nate (l’immancabile Owen Wilson), che incarnano la famiglia tipo, anche il preside della scuola Mr. Tushman e insegnanti come Mr. Browne appaiono esempi di rettitudine e saggezza; non certo una rarità nei reali ambienti scolastici, ma sicuramente una possibilità non sempre realizzata. In questo il film pecca sicuramente (a parte per la caratterizzazione dei genitori del cattivo della scuola, Julian, caparbiamente indifferenti al prossimo) non lasciando mai spazio completo al dolore né al cinismo, due aspetti fondamentali per la maturità e la consapevolezza di ogni adolescente.
La regia chiara, la fotografia pulita e un cast di tutto rispetto aiutano ad offrire al pubblico uno spaccato interessante su uno dei momenti più difficili della crescita di un ragazzo, senza tralasciare una conclusione degna dell’happy ending americano: un film da vedere in famiglia muniti di fazzolettini, ma da non dimenticare una volta tornati a casa.