Natale cartoon con Manuel, cantante “loco” e il mite toro Ferdinando

In Cinema

La sfida è tra la coloratissima storia di un simpatico e un poco pazzo ragazzino messicano che ha il pallino della musica (“Coco”, produzione Pixar-Disney) e le tenere, edificanti avventure di un grosso mammifero che non incorna nessuno e ha una gran passione per il profumo dei fiori (Blue Sky-Fox).

Nell’arena natalizia la sfida a colpi di cartoon quest’anno si gioca fra la Pixar (distribuita dalla Walt Disney) e la Blue Sky (distribuzione 20th Century Fox). La prima schiera Coco e vince facile, mentre la seconda opta per la storia edificante del toro Ferdinando, dalla fiaba di Munro Leaf illustrata da Robert Lawson e pubblicata per la prima volta negli anni Trenta. È comunque notizia di questi giorni l’acquisto della Fox da parte della Disney, quindi non c’è da preoccuparsi: rimane tutto in famiglia!

Protagonista di Coco è Miguel, un ragazzino messicano tanto piccolo e magro da sembrare fragile: ma il sogno che coltiva ha la forza di un uragano, sfuggirà al destino che la sua famiglia ha scelto per lui e diventerà un musicista di successo. Percorso tutt’altro che facile, visto che nella sua sterminata “tribù” la musica è bandita da diverse generazioni, da quando cioè la trisavola Imelda era stata abbandonata dal marito chitarrista insieme alla figlioletta Coco, e aveva dovuto mettersi a cucire scarpe per sbarcare il lunario. Tanta acqua è passata sotto i ponti e mama Coco, diventata la bisnonna di Miguel, è ormai una signora molto anziana, parecchio malata e un po’ smemorata, ma che ancora pensa a quel padre di cui per tanto tempo ha aspettato il ritorno. Il resto della famiglia non ha mai smesso di odiare la musica in tutte le sue forme, dedicandosi invece con grande impegno alla creazione di calzature di ogni possibile foggia.

Ma viene il giorno dei morti, festa importantissima nella cittadina di Santa Cecilia (e in tutto il Messico), e Miguel si convince che proprio questo sia il momento giusto per tentar di cambiare il proprio destino. L’idea è quella di rubare una chitarra dalla tomba del celebre cantante Ernesto de la Cruz e partecipare al concorso per mariachi nella piazza principale della cittadina. Sembra facile, ma il protagonista si troverà magicamente catapultato dall’altra parte, nel mondo delle anime, e scoprirà quanto possa essere difficile tornare indietro, lungo un ponte fatto di fiori dorati ma soprattutto di memoria.

Sì, perché il tema vero dell’ultimo film della Pixar è proprio la memoria, quella che lega i vivi e i morti, ma anche quella che ci costituisce come individui, tutti, in qualunque momento dell’esistenza, da giovanissimi come da anziani. Perché di cosa è fatta la mia identità, se non della memoria di ciò che sono stato? Un tema non nuovo nell’universo Pixar, da Up a Inside Out, ma che in Coco viene declinato in modo inedito, esplorando l’universo dark e al tempo stesso coloratissimo del dia de los muertos, il giorno dei morti, attingendo a piene mani dal folklore messicano ma senza mai ridurlo a indistinta paccottiglia intercambiabile.

A questo proposito da segnalare il mirabile inserimento nel film della tradizione degli Alebrijes, animali fantastici dai colori sgargianti e dalle forme innaturali, nati dalla combinazione di sogno e realtà, creature surrealiste che gli artigiani di Oaxaca fabbricano dal 1936, ormai ricercate dai collezionisti di tutto il mondo. Ma in Coco non c’è solo questo: troviamo anche Frida Khalo e le canzoni dei mariachi, i colori del carnevale e il mistero insondabile della morte. Il risultato è un film magnificamente rutilante e incredibilmente commovente, serissimo nel ricordarci la centralità della memoria, sorridente e lieve nell’affastellare immagini e canzoni godibilissime dai nove ai novant’anni.

Lo stesso non si può dire di Ferdinando, affidato alle abili mani del brasiliano Carlos Saldanha (che ha all’attivo fra l’altro i tre film della serie dell’Era glaciale) confezionato con cura ma incapace di decollare veramente trasformandosi in un film in grado di conquistare anche il pubblico adulto. Certo i bambini si divertiranno a seguire la storia del toro Ferdinando, fin da piccolo più portato ad annusare i fiori che a prendere a cornate il prossimo, rideranno delle sue disavventure più buffe – fra capre petulanti e cavalli vanesi – e palpiteranno per il suo destino quando i soliti cattivi esseri umani tenteranno di costringerlo a combattere nell’arena. E fra una risata e un brivido impareranno tante cose buone e giuste sulla pace e sulla guerra, scopriranno che non bisogna giudicare dalle apparenze e forse si convinceranno che un altro mondo è possibile. Per il pubblico più giovane Ferdinando non solo è adattissimo ma proprio consigliato in chiave educativa. E in fondo, anche per i grandi un piccolo ripasso di qualche principio base di tolleranza e rispetto reciproco non può certo far male.

Dispiace però ritrovarsi con una grafica piatta, dall’impatto estetico decisamente modesto, nonostante qualche interessante trovata stilistica, come l’uso dell’acquarello per le scene oniriche dei giovani tori assetati di gloria. Il toro Ferdinando è simpatico, sì, e come ambasciatore della non-violenza va benissimo, ma l’animazione della Pixar è proprio un’altra cosa. E si vede.

 

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