Io, Beethoven

In Teatro

Corrado D’Elia racconta la vita di Beethoven tra dolori e sofferenze con un risvolto da favola

La scena è chiara, semplice, pulita. Pare una vetrina, tanto è silenziosa. Mentre il pubblico prende posto essa rimane statica, indisturbata. Poi, ad inizio spettacolo, subentra la musica; e allora la luce, in una stanza bianca, si sposta ritmicamente su pannelli quadrati, spazi metafisici che propongono impulsi sonori, segnali elettrici, quasi il generarsi di un’idea, prima ancora del pensiero.

“L’interno-mente” di uno dei più intensi, appassionati compositori del mondo; abitato da una sedia bianca, rilucente, come nuova. E come ad ogni mente brillante si addice, ecco il profilarsi, negli sconvolgimenti luminosi che preparano al trucco magico dell’apparizione, il suo Grillo Parlante – la sua Coscienza.

Vestito di un classico completo nero, con scarpe laccate nere, un papillon slacciato… quasi un cameriere a fine servizio di uno di quei grandi Hotel del passato, oramai prossimo all’abbandono, che si intrattiene nel retro bottega con una storia capace di dargli animo: la drammatica vicenda umana di Ludwig Van Beethoven (1770-1827), e la sua musica, ascoltata per ricordo, nell’incespicare di una memoria arrugginita, che si fa strada a melodie, a movimenti pianistici un po’ re-immaginati, ma lucidi e puntuali.

Corrado D’Elia offre a tutti il pianista che avremmo potuto essere.

Ci racconta di Beethoven, delle condizioni in cui si è trovato, della sordità che ha cominciato ad affliggerlo prima dei trent’anni, accompagnandolo poi per il resto della sua vita.

La massima prigione, quella del silenzio, per un Musicista; o forse, la massima liberazione? La più grande costrizione interiore, per la più grande e ampia e universale Musica… di questo conflitto ci sono le urla, le disperazioni e i silenzi… inverosimili, grandi, belli! – A teatro si poteva ascoltare una nuvola di ronzii elettrici ed il passaggio, attutito dalle profondità, della metro sotto di noi – Poi, nel dolore, la totale immedesimazione della coscienza con il suo cosciente: “Io, Ludwig Van Beethoven sono sordo! Maledettamente Sordo!”

È mai possibile il rapporto con un “Genio”, se poi il “Genio” non può sentirci? Certo la voce del Grillo (Corrado D’Elia) supera le barriere del sonoro, perché è voce interiore. Così anche la musica, la sostanza più aerea di tutte, può essere avvertita fisicamente dall’interno, può essere contenuta tutta, interamente, nel corpo…in una mano?

Il Grillo si interroga, si raccapezza, dice: “È assurdo! Assurdo! Non capisco!” si agita, sbraita, poi si ricompone, addirittura si rilassa, accavalla le gambe, come sedotto dal fascino della narrazione; sempre con occhi accesi, vispi! Pronti alla commozione, a schiudersi in pianto, a vedere il pubblico applaudire, come lo vide Beethoven una sera del 7 maggio 1824…

Una musica “vecchia”, inattuale, quella del celebre compositore tedesco? Una musica forse sovrastata da “immondizie musicali”. Così il Grillo, in un impeto da musicologo, illustra alcune delle più importanti frasi musicali della storia e ne riafferma le attualità ritmiche e la lungimiranza poetica. Tempo, virtuosismo, leggerezza ma non parole, la musica è muta (come la sentiva Beethoven), va oltre, si serve della forza evocativa delle immagini, diventa Poesia senza però mutare in linguaggio.

Rimane l’Inno alla Gioia, come momento massimo di congiunzione tra il Genio e l’uomo comune, tra l’Artista e lo spettatore, tra l’Attore ed il suo pubblico, intrattenuto con coscienza ed equilibrio, sostenuto nel corso del monologo da una voce calda e sincera. La nona Sinfonia di Beethoven continua, mentre il pubblico che riempiva la sala, recuperati gli effetti personali, si avvia verso l’uscita.

Io, Ludwig van Beethoven, al teatro Litta fino al 14 gennaio 

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