“Downsizing” di Alexander Payne, ovvero come salvare la Terra sovraffollata riducendo gli umani a 12 cm di altezza. Vivranno in una nuova cittadina utopica (ma sembra la provincia americana d’oggi) più ricchi, in case di lusso, senza debiti e passando il tempo tra shopping e tennis. Solo il 3% dei cittadini opta però per rimpicciolirsi: e la famiglia di Matt, lui piccino la moglie no, si divide in 2 mondi diversi
In un futuro fin troppo vicino, quello in cui è ambientato Downsizing di Alexander Payne, due scienziati norvegesi inventano un siero miracoloso in grado di rimpicciolire gli esseri umani. La portentosa scoperta sembra in grado di risolvere una volta per tutte i problemi di sovrappopolazione mondiale, inquinamento e sfruttamento delle risorse. Insomma, un nuovo meraviglioso inizio per il genere umano e il pianeta che lo ospita. Ma dopo vent’anni solo il 3% della popolazione mondiale ha accettato di sottoporsi al trattamento. Fra i pochi che hanno fatto il grande passo c’è Paul (Matt Damon), fisioterapista di Omaha, Nebraska – la città dov’è nato il regista – convinto a intraprendere la cosa dalla moglie e dalla possibilità di risvegliarsi sì più piccoli – 12 centimetri, più o meno – ma parecchio più ricchi, o almeno benestanti, senza debiti, proprietari di una casa di lusso e senza più nulla da fare, da mattina a sera, se non giocare a tennis, fare shopping e passare il tempo nel modo più piacevole.
Ma le cose non vanno esattamente come Paul si aspetta, a partire dal fatto che all’ultimo momento si ritrova solo ad affrontare questa nuova grande avventura, perché sua moglie (Kristen Wiig) cambia idea. E in caso di divorzio, si sa, la disponibilità economica crolla, e ci si ritrova più poveri. Insomma, da giganti (che poi saremmo noi normali) come da minuscoli ci sono alcune cose che cambiano ma tantissime che rimangono identiche. E infatti quella magnifica città in miniatura dove splende sempre il sole, e non c’è altro da fare che essere felici, somiglia tantissimo alle tante piccole città perfette e sicure, quelle da cui è stata eliminata criminalità e paura. E povertà. Solo perché sono state spinte fuori, questo è ovvio. Ma anche nel mondo dei minuscoli è necessario preservare la presenza dei poveri. Altrimenti, chi si adatterebbe ai lavori più umili, di cui anche se sei alto dodici centimetri continui ad avere bisogno?
Insomma, sembra cambiare tutto e alla fine non cambia quasi nulla. Non è molto incoraggiante! Perché chi decide di farsi miniaturizzare non lo fa per salvare il mondo, in realtà, ma per salvare prima di tutto sé stesso. Per regalarsi un nuovo inizio, una seconda chance, l’accesso finalmente al meraviglioso mondo di Utopia. Già, sempre quello: il sogno, la speranza, il mondo nuovo, l’uomo nuovo. Dalla piccola utopia della fuga dalla vita quotidiana (quella che spinge tutti gli impiegati del mondo, il lunedì mattina, a pensare che sarebbero più felici ovunque, a fare qualunque altro lavoro) alla grande utopia di una società perfetta, proiettata in un futuro asettico dove non esistono malattie e morte, o immaginata risalendo all’indietro nel tempo, verso un’originaria età dell’oro rurale e primitiva.
Di quante utopie è costellata la storia del pensiero umano? Tante, e tutte magnifiche. E inevitabilmente pericolose. Soprattutto quando il desiderio di felicità e di assoluto, di apocalisse e di rinascita rischia di accecarci. E così dimentichiamo l’avvertimento contenuto nella parola stessa: u-topos, senza luogo, Appunto.
Di questo parla il nuovo film di Alexander Payne (regista e sceneggiatore, due oscar vinti per gli script di Sideways, 2005 e Paradiso amaro, 2011), e di molto altro. Come ha dichiarato il regista, l’idea della miniaturizzazione come soluzione al cambiamento climatico e alle tante apocalissi annunciate è «una fantastica lente attraverso cui osservare molte cose che ci interessano, divertono, disgustano del mondo contemporaneo». Un’idea semplice e al tempo stesso molto ambiziosa, che Payne porta avanti per 135 minuti, che scorrono rapidi ma anche un po’ ondivaghi. Tenendosi in bilico fra fantascienza e commedia, dramma e avventura fantastica, Downsizing, passato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, attraversa i generi solleticando la curiosità dello spettatore e regalando risate e commozione. E tanti spunti di riflessione. Forse persino troppi.
Il problema di questo film piacevole e ampiamente consigliabile è forse che mette troppa carne al fuoco. Parte in modo strepitoso e si conclude in modo altrettanto azzeccato, ma in mezzo ogni tanto si smarrisce, eccede con le strizzate d’occhio, divaga e perde mordente, lasciando lo spettatore un po’ spiazzato. C’è però da dire che le divagazioni affidate alla simpatia guascona di Christoph Waltz e Udo Kier, minuscoli contrabbandieri dall’incredibile energia, sono davvero irresistibili.
Downsizing, di Alexander Payne, con Matt Damon, Christoph Waltz, Udo Kier, Chau Hong, Kristen Wiig