Charlotte Rampling, eroina malinconica e sola che Venezia ha incoronato

In Cinema

“Hannah”, opera seconda del talentoso regista trentino Andrea Pallaoro, ha regalato all’intensa attrice britannica la Coppa Volpi per la miglior interprete della Mostra 2017. Moglie, madre, lavoratrice, è una donna non più giovane che vive un declino costellato di sconfitte: il marito finisce in prigione, il figlio la respinge impedendole di vedere l’amato nipotino, la vita le scivola tra le mani in un eterno presente

Premiato con la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile a Charlotte Rampling alla Mostra di Venezia 2017, Hannah è un film che turba e strazia, attraverso la sola forza della sua meravigliosa protagonista. Il regista trentino Andrea Pallaoro torna dopo il suo film d’esordio Medeas, passato sempre a Venezia con plausi nella sezione Orizzonti del 2013, con una sceneggiatura pensata e scritta appositamente per l’attrice britannica, che concentra su di sé tutta l’attenzione della macchina da presa .- e del pubblico- lasciando soltanto uno spiraglio sul resto del mondo.

Il film vuole essere l’intimo ritratto di una donna non più giovane, Hannah (Charlotte Rampling) e del suo lento declino: moglie, madre, lavoratrice, ama prendersi cura del suo cane, scegliere con gusto le piante che adornano la sua casa e cucinare torte di compleanno per il nipote Charlie. Ma questa vita fatta di piccole consuetudini si sfalda all’arresto del marito (André Wilms), per un motivo che resta in sospeso durante tutto il racconto (si può al massimo intuirlo da qualche indizio disseminato nella trama), portando così lo spettatore a interrogarsi soprattutto sulle ragioni e le dinamiche della crisi della protagonista. Hannah rimane infatti sola, legata alla piccola routine di ogni giorno: mantiene il suo lavoro di governante presso una ricca famiglia, tiene in ordine la casa in cui vive e continua il corso di recitazione che sembra essere l’unico spiraglio di vitalità e passione in un’esistenza priva di emozioni.

La storia dunque riguarda le sue azioni, le sue espressioni e il movimento di un corpo, ormai algido e senza vita, che si aggira come un fantasma in metropolitana, tra le mura del ricco appartamento in cui lavora, per le vie della città. Lo spettatore assiste al progressivo sgretolamento di questa triste vita, scoprendo che lei non ha più nessun rapporto col figlio, il quale la detesta e le impedisce di vedere persino il nipote, e che suo marito, nonostante si sia probabilmente macchiato di fatti terribili, appare fragile e incapace di sopravvivere alla prigione. Dietro il volto freddo, quasi apatico di Hannah, si nasconde una drammatica sofferenza, senza via d’uscita. E come in un cerchio l’inizio del film si lega alla fine, in un continuum in cui lo spazio e il tempo di perdono e si fondono, lasciando libera l’interpretazione del pubblico, che se è capace di accettare la frustrazione di un’attesa senza alcuna risposta o spiegazione certa, potrà fare le sue riflessioni in assoluta autonomia.

Fotogramma dopo fotogramma, il regista si concentra totalmente sulla fragilità di Hannah, sulle sue azioni e sui suoi automatismi, in qualche modo gestiti da un corpo emotivamente sempre più inerte, quasi morto, un fantasma privo di un’umanità che si può solo scrutare con la coda dell’occhio. Come attraverso una porta semiaperta, lo spettatore cerca di captare il dolore della donna senza riuscire a vedere chiaramente cosa l’agita nel profondo: perché tutto è lasciato in sospeso, nel dubbio, compreso il sospetto che Hannah abbia giocato un ruolo fondamentale nei crimini compiuti dal marito. Complice o vittima, questo il quesito indecifrabile che spinge lo spettatore a osservare ogni dettaglio in cerca di una risposta, purtroppo irraggiungibile con sicurezza.

Il secondo lungometraggio di Pallaoro incorona di nuovo una protagonista femminile molto forte, che assorbe la vicenda tramutandola in una lunga e penosa riflessione sulla solitudine, sull’incapacità di comunicare e sulle pressioni sociali di oggi. Charlotte Rampling (Il portiere di notte, 45 anni, L’altra metà della storia) incarna perfettamente questo ruolo di donna imperscrutabile, una figura malinconica che si trascina, gesto dopo gesto, in una vita che non le appartiene più. In questo anti-racconto il regista propone un intervento minimal, con dialoghi relegati in terzo piano e ancora oltre lo spazio riservato agli altri personaggi. Un film certo non facile da seguire, un azzardo per un giovare regista coraggioso che disegna una figura femminile eterea e glaciale mentre si sgretola inesorabilmente, scena dopo scena: fino a una conclusione che non mette però alcun vero punto fermo.

Hannah
di Andrea Pallaoro, con Charlotte Rampling, André Wilms, Simon Bisschop, Jean-Michel Balthazar, Stéphanie VanVyve, Fatou Traore, Luca Avallone

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