Che cosa passa questa settimana al convento delle sette note? Brunori Sas e Louis Lortie, la perturbante Fever ray e un mazzetto di jazzisti da non perdere assolutamente
CINQUE JAZZISTI ECCELLENTI AL CONSERVATORIO
Non capita tutti i giorni di ascoltare riuniti in concerto tanti bei nomi del jazz nostrano – ma sono attivi anche in altri campi, dalla musica colta contemporanea a quella popolare – e per di più a ingresso gratuito. Accade domenica 18 febbraio alle ore 18 al Conservatorio, nell’ambito della rassegna “Musica maestri”. Loro sono Attilio Zanchi al contrabbasso, Tino Tracanna al sax, Riccardo Luppi al sax tenore e al flauto, Oscar Del Barba al pianoforte e Francesco D’Auria alla batteria. In programma musiche di Wayne Shorter (gigante del sax, anche Weather Report, do you remember?) e dello stesso Zanchi. Per darvi un’idea della loro bravura, ascoltate Zanchi assieme a Luppi nella suprema eleganza di They cannot know del mio amico Dino Betti Vandernoot; Tino Tracanna in Igor sneezes con Mauro Ottolini, Paolino Della Porta e altri; Oscar del Barba assieme a Mauro Negri e Markus Stockhausen in Rapsodia balcanica no. 1; e Francesco D’Auria in duo con Beppe Caruso in Terre lontane. Su YouTube altri ottimi esempi della loro sapienza, tutta da scoprire e assaporare.
LOUIS LORTIE, IL SUO CHOPIN (E UN CRITICO MILANESE)
È bello che le strade della musica, come le strade di tutte le nostre passioni, siano sentieri che si biforcano e che ci portano, a volte, a scoperte inattese, ad arricchimenti di senso. Cercando appuntamenti degni per la prossima settimana mi sono imbattuto in Louis Lortie, pianista nato a Montreal 59 anni fa, che risiede a Berlino e insegna a Imola, all’Accademia Pianistica Internazionale. Eseguirà Chopin, immagino le Mazurche e le Polonaises del suo ultimo album (****), il quinto dedicato al grande Frederic e uscito in ottobre, al Conservatorio lunedì 19 febbraio, ore 20.30. Così ho cercato notizie su di lui: il premio Busoni vinto nel 1984, l’incisione acclamata delle Sonate di Beethoven («La migliore dai tempi di Wihelm Kempff», Die Welt), le altrettanto acclamate esecuzioni di Ravel e Chopin, l’alto elogio tessuto da The Times («Una combinazione di spontaneità e maturità che solo i grandi pianisti hanno»), e la scelta era fatta: da segnalare. Poi mi sono imbattuto nel resoconto di un suo concerto milanese scritto da Luca Ciammarughi, classe 1981, e ne sono rimasto folgorato (lo trovate qui: http://www.classicaviva.com/blog/2016/10/18/louis-lortie-messaggero/). Lortie, mi è sembrato di capire, si prende delle libertà interpretative che in sede d’incisione non si permetterebbe. Fedele a un’esortazione deliziosa che Alfred Cortot fece ad Aldo Ciccolini: «Bisogna suonare come se sul pianoforte ci fosse sempre un bicchiere di whisky, anche in pubblico». Per farla breve, ho cercato notizie anche su Luca Ciammarughi. Scoprendo un pianista e didatta milanese appassionato (il suo Schubert è una meraviglia), un blogger che si legge con piacere, l’autore di un libro uscito da pochi mesi che mi sono affrettato a procurarmi e che ho trovato bellissimo (Da Benedetti Michelangeli alla Argerich. Trent’anni coni grandi pianisti, Zecchini). Insomma, andrò a sentire Lortie, oltre a consigliarlo. Per concludere, dirò soltanto che in questi primi due mesi del 2018 sono già sei gli album dedicati a Chopin: li hanno incisi Oliver Korter, Yurika Mihara, Samson François (sublime, a mio parere), Nikolai Lugansky, Edoardo Torbianelli ed Elisabeth Leonskaja. Su Spotify li trovate tutti, su YouTube anche, con l’eccezione di Korner.
DARIO BRUNORI, CANZONE D’AUTORE AGLI ARCIMBOLDI
Di Dario Brunori in arte Brunori Sas, dottore in economia e commercio e cantautore dal 2009, una Targa Tenco come miglior esordio nel 2010, starò stringato. Avevo già detto tutto il bene possibile,in questa rubrica, di A casa tutti bene (****), l’ultimo suo album dello scorso anno. Con una manciata di canzoni agrodolci «che hanno a che fare con la necessità di affrontare le piccole e le grandi paure quotidiane e con la naturale tendenza a cercare un riparo, un rifugio, un luogo in cui sentirsi al sicuro», Brunori ha fatto il pieno di consensi critici e di vendite, e il sold out nel tour che lunedì 19 febbraio tocca Milano (al Teatro degli Arcimboldi, ore 21). Chi preferisce la canzone d’autore alla classica vada a sentirlo, non è un ripiego. Io spero soltanto che in concerto ripeschi, oltre ai brani dell’ultimo album, le splendide Kurt Cobain e Lui, lei, Firenze. Firenze, insegnava Ivan Graziani, è sempre una canzone triste.
LA PERTURBANTE FEVER RAY DALLA SVEZIA
Non è il genere di musica che sono abituato a frequentare: ho rimpianti e rabbie, tristezze e gioie, più in sintonia con la mia età che non è verde. Però sono curioso, non smetto di ascoltare e spesso di sorprendermi. Åvviene anche con la frenesia liberatoria e radicaleggiante, con il femminismo anarcoide veicolato dalla musica sintetica e sfaccettata, a volte electropop, a volte post-etnica e spesso cupa e quasi metal, di Karin Dreijerin arte Fever Ray, svedese di Goteborg, più nota per il duo The Knife con il fratello Olof. In Plunge (****), voce in primo piano come mai prima, sono di scena lussuria e repressione, dolore e piacere, desiderio e norma. Dal vivo Fever Ray, da sola o in duo, ha fama di essere imprevedibile: chi vuole lo può verificare martedì 20 febbraio, ore 21, al Fabrique.
SIMON REYNOLDS E IL GLAM ROCK
Sto leggendo Polvere di stelle di Simon Reynolds (Minumum Fax, pagg. 704, 28 euro, traduzione egregia di Michele Piumini), dono di compleanno di una donna a me molto cara. Non sapete chi è Simon Reynolds? È, in poche parole, il critico musicale (e lo storico del rock) più acuto, colto e spiazzante degli ultimi vent’anni, assieme all’americano Greil Marcus. Io l’ho scoperto nel 2011 con il sorprendente Retromania. Musica, cultura pop e la nostra ossessione per il passato, e non ho smesso di frequentarlo. In Polvere di stelle Reynolds traccia la storia del glam, la prima grande apologia della finzione nel rock, e dei suoi protagonisti: Marc Bolan con i suoi T. Rex e Lou Reed, le New York Dolls e i Queen, Gary Glitter e i Roxy Music, gli Ultravox e i Kraftwerk. E sopratutto il grande, unico David Bowie. Una delle solite storie rock? Mica tanto. Ci sono le invasioni di campo (il cinema per esempio: Rock Horror Picture Show, L’uomo che cadde sulla terra) e gli artisti in qualche modo ispirati dal glam(da Kate Bush a Prince, da Madonna a Lady GaGa), ma soprattutto vertiginose incursione nell’altrove della “cultura alta”. Accade così che Oscar Wilde diventi un profeta del glam, che l’Oswald Spengler del Tramonto dell’Occidente preconizzi il rock manierista e parodistico degli anni ’70. Leggere per credere, ed è un gran bel leggere. Non potendo redigere un’antologia del genere – gli spazi più ridotti che mi sono imposto non lo consentono – mi limiterò a ricordare che l’industria discografica ha festeggiato in dicembre, con un’edizione deluxe, i 45 anni di Roxy Music, il meraviglioso album che vide esordire la band di Bryan Ferry, Phil Manzanera e Brian Eno. Vi regalo i tre brani che più mi sono rimasti in mente.