“Benvenuti a casa mia” di Philippe De Chauveron, che fa rimpiangere il suo precedente “Non sposate le mie figlie”, racconta le tragicomiche vicende di una coppia di parigini progressisti “costretti” ad ospitare una pittoresca comunità di stranieri bisognosi. Contro i quali si indirizza l’ironia del film
Benvenuti a casa mia racconta i difficili rapporti tra i Fougerole (Christian Clavier e Elsa Zylberstein), una coppia di intellettuali borghesi di sinistra e la famiglia di Babik (Ary Abittan). Durante una trasmissione televisiva, Jean-Etienne Fougerole viene sfidato da un politico di destra: messo alle strette, è costretto a dichiarare di essere pronto ad accogliere una famiglia Rom “bisognosa” a casa sua. La sera stessa Babik arriva alla porta della sontuosa proprietà dell’intellettuale, con roulotte e famiglia al seguito. E di fronte all’indignazione di sua moglie, Fougerole/Clavier risponde semplicemente che sono diversi, per poi sottolineare: «noi non ridiamo della sofferenza degli altri».
Peccato che il regista non abbia ascoltato il suo personaggio. Benvenuti a casa mia è infatti una commedia certamente non straordinaria, che disegna un ritratto ironico di coloro che dicono di essere generosi e aperti di spirito finché non si devono confrontare in prima persona con le loro affermazioni. La commedia, di regola, è uno specchio distorto della nostra stessa natura, in cui i tratti personali sono spinti all’estremo, mettendoci così in contrapposizione diretta coi nostri vizi, le nostre contraddizioni. Peccato che il film in sé non riesca a essere né divertente né morale: in più la storia non presenta interessanti colpi di scena, e non porta a una riflessione sul rapporto tra due diverse culture, il cui confronto risulta fine a se stesso.
Di fronte a Benvenuti a casa mia quasi si rimpiange Non sposate le mie figlie, il precedente film del 52enne parigino Philippe De Chauveron, costruito su battute che rimbalzano da una comunità all’altra, anch’esso gravato dal suo insistere, appoggiare gli stereotipi. In quel caso, però, la scusante era una scrittura che distribuiva i suoi strali equamente su tutti, mentre quest’ultimo film, dove troviamo un solo “nemico” designato, fa “ridere di” anziché “ridere con”. La visione dei rom che traspare è purtroppo un esagerato pot-pourri di cliché: sono persone sporche, violente, profittatrici, amanti di talpe per cena, arretrate fino all’ultimo grado e che chiedono l’elemosina perché non sono capaci d’altro. Niente nella sceneggiatura ripristinerà mai l’immagine di questi protagonisti, o darà loro un po’ di umanità, fatta eccezione per una vaga sequenza di canti e balli dove hanno per tre minuti un bellissimo ruolo. Per il resto del tempo, i personaggi sono rozzi e arrabbiati, e più procede il racconto, più i rom diventano odiosi. La raffigurazione di De Chauveron, priva di tenerezza ed empatia nei confronti di Babik e della sua famiglia, si basa sui più grossolani e mortificanti stereotipi.
In verità Christian Clavier ed Elsa Zylberstein, che ricordano gli analoghi coniugi fintamente progressisti Valérie Bonneton e Michel Vuillermoz in Benvenuti.. ma non troppo di Alexandra Leclère, in cui per ordine del governo chi aveva stanze libere doveva ospitare senzatetto minacciati dal gelo invernale parigino, sono quasi impeccabili nei loro ruoli di falsi gentili, ovviamente molto meno aperti di quanto vorrebbero credere e far credere. Il regista crea abilmente una sorta di sistema che contraddice le affermazioni dei due personaggi, sistematicamente, nell’immagine successiva. Fougerole, ad esempio, cerca di convincere il sindaco della città che i rom sono vittime di vergognosi cliché, ma nell’inquadratura seguente si vede la madre di Babik portare a fare un passeggiata un enorme maiale al guinzaglio. Il protagonista finisce così in qualche modo per esser punito dal montaggio: a malapena è riuscito a biasimare il razzismo del suo interlocutore e il film gli dà già torto.
Ma il vero problema è che in nessun momento della pellicola la proposta di commedia, e di cinema, risulta solida. La messa in scena – meglio, la sua assenza – si accontenta di riciclare gag banali e piatte, e finisce per rendere Benvenuti a casa mia una semplice successione di scene brevi, interrotte e appena delineate, senza un preciso punto di vista e con ellissi che a volte sfidano la logica. In una parola: un’occasione mancata.
Benvenuti a casa mia di Philippe De Chauveron, con Christian Clavier, Elsa Zylberstein, Ary Abittan, Cyril Lecomte, Nanou Garcia, Oscar Berthe, Mirela Nicolau, Ioana Visalon, Sofiia Manousha, Nikita Dragomir