Ennesima conferma dell’eclettismo eccellente del regista di Cincinnati, che dopo l’impegnato “Il Post” sforna un godibilissimo fantasy, “Ready Player One” vero e proprio catalogo di citazioni di classici, da “King Kong” a “La febbre del sabato sera”, con irresistibile mini-rifacimento di dieci minuti di “Shining”. Se la confezione garantisce il piacere della visione, anche plot e attori (da Ben Mendelsohn a Mark Rylance, a più di un giovane in rampa di lancio) fanno la loro parte nel proporre una storia all fantasy che funziona. Riuscirà a convincere giovani nerd e spettatori di lungo corso dai gusti più difficili?
Diavolo di uno Steven Spielberg, ci avevi proprio fregato con la storia della nostalgia degli anni ’80 e tutto il resto. Sono bastati i primi trailer, montati ad arte, del nuovo Ready Player One, per scatenare orde di nerd da mezzo mondo alla ricerca spasmodica dell’easter egg, come in un videogioco (coincidenze? Ovvio che no) da spulciare al microscopio fotogramma per fotogramma. Il gigante di ferro qua, la Delorean di là, e tutti a esaltare la nuova favolona a marchio Spielberg come un festival del citazionismo del bel tempo (cinematograficamente parlando) che fu.
Invece, colpo di scena: i riferimenti sono tanti, tantissimi, ma sono il come, non il cosa. E il cosa, ed è il miglior complimento che si possa fare a Ready Player One viste le premesse, è una storia interessante, ben raccontata e con un cast più che valido. Ci sono vecchie volpi come il premio Oscar Mark Rylance (per Il ponte delle spie), perfetto come al solito nella sua recitazione malinconica di sguardi e sfumature, o Ben Mendelsohn, ormai abbonato al ruolo di cattivo sempre più cattivo. Ma c’è anche, assortito ad arte come nei migliori cartoni giapponesi d’annata, uno scatenato team di giovani in rampa di lancio, primo tra tutti il protagonista Tye Sheridan, già Ciclope in X-men: Apocalisse dopo un esordio nientemeno che con Terrence Malick in The Tree of Life. E soprattutto dietro la macchina da presa c’è lui, il re Mida di Hollywood in barba e berretto, maestro dei generi narrativi applicati alla sala buia, capace di passare in contemporanea dal racconto di cronaca (in tutti i sensi) con The Post a pupazzetti, raggi laser e astronavi, con la stessa facilità di chi gira un interruttore.
Poi, è chiaro, c’è anche il gioco, eccome, e parte da lontano: per la precisione dal 2010, anno in cui lo scrittore e sceneggiatore Ernest Cline pubblica per la prima volta il romanzo Ready Player One, con l’intento quasi esplicito di trarne un giorno una pellicola di successo. Vera e propria bibbia per geek trentenni più o meno nostalgici, allo scritto manca però proprio quello che Spielberg tramuta nel punto di forza della versione su grande schermo: se nel libro il mondo e le avventure del protagonista Wade/Parzival (a sua volta alter ego, anzi “avatar”, dello stesso Cline) ruotavano essenzialmente attorno al mondo dei più classici videogames e giochi di ruolo alla Dungeons & Dragons, il film è invece un omaggio spudorato a quel cinema che ha fatto di un’intera classe di registi delle vere e proprie icone del ventesimo secolo.
Dal canto suo, l’eterno Steven dimostra ancora una volta di poter dare lezioni a un’industria che, non a caso, guarda sempre più al remake del già visto, al recupero dei generi e dei classici, serbatoi di trame e idee. E i classici, in Ready Player One, ci sono tutti, da King Kong a Jurassic Park, da Saturday Night Fever a The Shining (in assoluto la sequenza più riuscita del film). Fantascienza per cinefili over trenta in sindrome da Peter Pan, dunque? Ancora una volta, nossignore: gli eterni adolescenti di nuova generazione forse avranno bisogno di un paio di dritte da papà e mamma, ma apprezzeranno di sicuro, e a prescindere, le spettacolari sequenze d’azione e inseguimento in CGI (praticamente due terzi di proiezione), o l’ottima caratterizzazione di personaggi già pronti per un potenziale sequel.
Già, la computergrafica: colorata, scoppiettante, spesso esasperata, è paradossalmente lei l’unico anello debole del film. Perché se da un lato è vero che di videogioco si tratta, seppur in realtà virtuale, fa un certo effetto scoprire che la tecnica di (ri)creazione di personaggi interamente digitali rispetto a quell’Avatar di James Cameron, che nel 2009 era parso a tutti un prodigio della tecnica, non è che abbia fatto quei grandi passi avanti. Freddine, plasticose e impersonali, le animazioni a computer funzionano a meraviglia nel riprodurre ambienti e arditi movimenti di camera, ma hanno (ancora) l’umanità di una marionetta in alta definizione.
Per fortuna, allora, che sotto i pixel ci sia di più, e tanto basta. Ready Player One è un cocktail godibile di ingredienti di prima scelta, non un capolavoro destinato a lasciare di per sé un segno indelebile nella storia del cinema. Ma proprio a tale storia rende giustizia, onore e dignità, riuscendo (si spera) a stimolare anche nelle nuove leve di spettatori quella curiosità per il fantastico che nessuno, a qualunque età, dovrebbe mai dimenticare.
Ready Player One di Steven Spielberg, con Tye Sheridan, Ben Mendelsohn, Mark Rylance, Olivia Cooke, Simon Pegg, Hannah John-Kamen.