In libreria due piccoli e densi libri – ‘Ritratti di donne da vecchie’ di Luisa Ricaldone e ‘Variazioni sulle sorelle’ di Marina Giovannelli – che rispondono, attraverso letteratura e poesia, al bisogno di guardare a una vecchiaia che non è più quella di una volta e a una relazione intensa e contraddittoria come quella tra sorelle
Ho (quasi) sessanta anni e dunque mi trovo su quella soglia dalla quale si guarda con un misto di curiosità e timore alla vecchiaia che arriva e al contempo ci si chiede quanto (non se, quanto) i modi del suo manifestarsi dipendano dalla propria attitudine e capacità di accogliere e gestirne l’esperienza.
Secondo elemento biografico: ho due sorelle (neanche la nonnità ha impedito a mia madre di chiamarci talvolta le ‘bambine’ ma, per fortuna, è diventata bisnonna ) e la relazione di sorellanza è per me di grande importanza.
Questi due fatti e altre coincidenze (un volume collettivo in preparazione con la Fondazione Badaracco sulle ragazze nel ’68, l’essermi occupata nel mio Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza anche del terzo tempo, come definisce la vecchiaia Lidia Ravera) hanno orientato la mia lettura di due volumetti che hanno in comune diverse cose. Sono piccoli e densi, sono pubblicati dallo stesso editore – Iacobelli – dietro entrambi c’è la mano sapiente della direttora editoriale e direttora di Leggendaria Anna Maria Crispino. In entrambi poi si ritrova un simile procedere – forse nel secondo un più esplicito partire da sè che comunque aleggia anche nel primo – attraverso le tante e possibili declinazioni letterarie del proprio focus, senza pretesa di essere esaustive, ma al contrario nel tentativo di mostrare quanta varietà e quanti spunti di riflessione possano contenere le traiettorie narrative che da quei focus partono.
Eccoli dunque: Ritratti di donne da vecchie di Luisa Ricaldone, che è stata docente all’Università di Torino e che con il tema della vecchiaia ha lunga consuetudine, e Variazioni sulle sorelle della poeta Marina Giovannelli.
Non mi addentrerò più di tanto nella trama fitta tessuta da questi due libri, ma a lettura finita sono d’accordo con ciò che proprio su Cultweek ha scritto Marina Piazza, sociologa che di vecchiaia si è occupata sia in forma di scrittura che di gruppi di discussione. C’è particolare sete, tra le donne, di pensieri e parole sulla vecchiaia come ce n’è, aggiungo, di quella particolare, intensa e talvolta conflittuale, relazione tra donne che è la sorellanza: sorelle di sangue, d’elezione, di militanza, di carta… A questa sete, che non per caso arriva dalla generazione del femminismo e dell’autocoscienza e che oggi sperimenta una ‘nuova’ vecchiaia e che ha ragionato con ostinazione sul tema delle relazioni, ben rispondono questi due libri che regalano pure il desiderio di scoprire altre scritture. Sono grata per la lettura di Da qualche parte verso la fine di Diana Athill, editor inglese che a ottanta anni suonati sperimenta ‘la scrittura per sé’ e lo fa con maestria, mi riprometto di andare a conoscere anche per capire se è presuntuosa Rosa Montero, scrittrice spagnola che sa concepire dediche come questa: ‘Per Martina (sua sorella, ndr) che è e non è. E che, non essendo, mi ha insegnato molto’.
C’è uno strascico di domande che soprattutto il tema della vecchiaia porta con sé: se la vecchiaia non è più quella di una volta ed è ora un terreno mobile sul quale addentrarsi per scoprirne le possibilità, il libro di Ricaldone offre una guida sapiente retta dalla consapevolezza che dire questa vecchiaia si può iscrivere oggi nel territorio del guadagno e della libertà femminile, che questo terzo tempo può emanciparsi, attraverso la scrittura ma non solo, dall’invisibilità di un destino già scritto. Insieme al guadagno c’è però da fare i conti con la quantità di sedimenti (e di imperativi culturali) legati al genere e al corpo femminile che la nozione di ‘donna vecchia’ si porta appresso: il rapporto con la seduzione, l’appetibilità sul mercato sessuale, la fine della fertilità fino al reinventarsi madre, per chi ha fatto questa esperienza, di figli definitivamente adulti. Sempre così tanti compiti per le donne (da condividere tra sorelle) si potrebbe dire: e forse oggi allora non si tratta solo di vedersela con lo stereotipo mercantile dell’eterna giovinezza che Ricaldone richiama ma c’è anche, nella descrizione dei guadagni di questa nuova vecchiaia, il rischio, contrario, di stabilire una nuova normatività, di non potere essere liberamente vecchie, anche nel senso della tristezza che arriva da diminuite capacità o dallo svanire dei desideri.
C’è però nel libro di Ricaldone il capitolo più toccante che affaccia in questa narrazione la durezza della malattia con tutto lo smarrimento, la fatica, il senso di colpa che si porta dietro: è il capitolo dedicato ai racconti di Alzheimer, questo curare, da parte delle figlie, madri che non sanno più riconoscere chi hanno generato e nominare il mondo, questo angoscioso sgomitare di vecchiaie che cercano luogo e cura perché anche le figlie nel frattempo più giovani non sono. E qui la realtà schiaccia senza pietà un possibile, più ottimista e aperto racconto: ‘Ogni giorno partorivo la mamma/aggiustavo sul guanciale le forme/ di quel suo stare rovinato’ scrive Mariangela Gualtieri. Anche tra sorelle, segnala Giovannelli, la condizione di dolore e malattia, fino alla morte, è rivelatrice della qualità e delle contraddizioni che questa relazione porta con se’ e conduce, senza infingimenti fino ‘alla sua lontana origine’.
Infine e in positivo. Opinione comune vuole che le donne nell’età anziana abbiano più risorse degli uomini, più spersi quando finisce l’età attiva del lavoro e il ruolo sociale va in crisi, che le vedove se la passino meglio dei vedovi e di solito ciò è attribuito al nostro maggiore daffare e all’antica consuetudine a farlo, comprendendo in questo la cura della casa, i nipoti o i parenti, la cura degli affetti e degli acciacchi insomma. Se c’è una parte di concretissima verità in questo, l’inesausto, nutrito di vita e, per chi li frequenta dei linguaggi dell’arte e dell’immaginazione, parlarsi tra donne, sorelle, amiche, alla fine sembra essere il piccolo tesoro di cui disponiamo e di cui abbiamo sapienza, se abbiamo allenato la relazione, se non ci sono mancate le ‘parole per dirlo’ e se coltiviamo il desiderio di trovarne – come fanno questi due libri, chiedendo soccorso e ispirazioni alla letteratura e alla poesia – sempre di nuove, nell’ampio ventaglio che va dal sorprendente al doloroso e conturbante.
Immagine di copertina di eberhard grossgasteiger