Luminosa come annuncia il suo nome ed energica tanto nella vita quanto sul palcoscenico. Cultweek ha intervistato l’attrice Lucia Mascino, in uno sturm und drang di curiosità e di riflessioni sul mondo dello spettacolo. Dagli occhi profondi e caparbi, dalla voce calda e sicura, dalla memoria elefantina e da uno spasmodico amore per la vita proviene una fluidità di esperienze belle e potenti…
Cara Lucia, partendo dalla sua ultima apparizione al Teatro Franco Parenti, con Il segreto della Vita diretto da Filippo Dini, è quasi un dovere domandarle come si è sentita nei panni della protagonista, Rosalind Franklin, e che cosa questa donna le ha potuto insegnare.
È stato un lungo percorso per entrare dentro questo racconto, dalle prove alle repliche, per addentrarmi nel personaggio, per avvicinarlo a me e trovare le sue ragioni. Queste ultime sono talmente grandi che mi creavano un po’ di soggezione. Quando si pensa a una scienziata di rilievo come Rosalind, in un ambiente maschilista negli anni ‘50, un’ebrea nel secondo Dopoguerra… Beh è una donna parecchio al di sopra della mia vita.
Sebbene io abbia un acceso senso della giustizia, una sensibilità che mi si riconosce spesso, non è stato comunque facile sintonizzarmi su un carattere come il suo, perché il fatto di essere così combattiva fino a diventare così vincente, mi creava la difficoltà di aderire a una vera eroina. Guardare da vicino Rosalind, mettere il microscopio su di lei, fa sì che il pubblico debba entrare in sintonia con quest’anima, alla quale è affidato molto, anche se questo spettacolo è corale. Siccome gli altri personaggi sono più “buffi”, avvolti da una simpatia strana da fare quasi più compassione, non ho saputo subito come plasmare il mio ruolo.
La mia preoccupazione era in primis cogliere la sfumatura delle sue emozioni e devo dire che lentamente, andando avanti nelle repliche, questa disposizione è aumentata e ora sono estremamente legata a questo spettacolo, che purtroppo sta già per concludersi. Rosalind è schiva e potente, ma anche la regia di Filippo Dini mi è sembrata molto comoda, quasi cinematografica, con andamenti e colori stupendi e con un gruppo di attori di grande sostanza.
Rosalind ha comunque un carattere deciso, come dire, marcato da una forte autonomia. Se poi la vediamo recitare in televisione nei panni del Commissario Vittoria Fusco, ne I delitti del BarLume su SKY, ecco che questo carattere forte e autorevole ricompare. Ma è davvero solo una solo una richiesta del copione o Lucia Mascino offre la sua impronta caratteristica?
In realtà mi affido molto al copione! Premesso che sono due personaggi difficilmente paragonabili, all’interno delle loro vicende, io penso che queste due donne abbiano in comune il fatto di non accettare alcun compromesso. Da una parte abbiamo il commissario Fusco, una bionda, ironica e sorridente in un ambiente vacanziero, contemporaneo e lasso. Dall’altra parte la vicenda è molto più seria; a Rosalind viene tolto continuamente il terreno sotto i piedi, è l’unica donna in un ambiente prevalentemente maschile, è sola, e in questo caso non posso per niente appoggiarmi alla comicità. È una notevole mancanza, e pertanto devo estrapolarlo dalla sincerità del sentimento. L’ironia è un’arma, ma in questo caso non posso adoperarla; molto probabilmente Rosalind era una donna ironica, ma in questo copione è molto celata, inglese, nascosta. Tuttavia entrambe sono dotate di un profondo senso di giustizia!
Lavorare in Teatro, al Cinema e in Tv. L’abbiamo vista in tutti questi ambienti. Dove si è sentita più a suo agio?
Io con il teatro ho più consuetudine perché l’ho fatto per più anni, ma erano tre anni che non ritornavo sulle scene e ci ho impiegato un po’ a riprenderlo. Amo vivere tutti questi tre ambienti, che sono comunque molto separati, ma che insegnano moltissimo. Il teatro mi ha offerto una struttura, una relazione connaturata col mondo, un senso di forza e di fisica differente, di mantenimento, quasi una maratona: l’unico guadagno che si ha in teatro! Non c’è fama, non ci sono soldi, ma la sacralità delle parole e il fascino che si crea con il pubblico vale tutto. Nella confusione, il teatro ti regala ogni giorno un pezzo di valore, anche se è una grande strage silenziosa e non ci sono sempre dei bei spettacoli da interpretare.
Anche stare dentro il mondo della televisione insegna molto. Se per il Commissario Fusco si fanno un sacco di ciak, con Una mamma imperfetta alla seconda era quasi sempre buona e si cambiava la scena. I tempi erano stretti e veloci e lì mi sono servita sempre del teatro perché venticinque monologhi di più di due minuti ciascuno io l’ho girati in un giorno e mezzo, e sarebbe stato impossibile se non fosse per la mia memoria allucinante, quell’allenamento che il teatro mi ha regalato.
Il cinema è sempre un ambiente difficile, sia per entrarci che per viverlo: io molto probabilmente ci sono entrata perché qualcuno mi ha dato fiducia, come Francesca Comencini che ringrazio. Il cinema insegna a starti vicino e a lasciarti guardare, a lasciarti vedere, a essere meno estroflesso. Io amo tutti e tre questi linguaggi!
Chi sono per lei, in pochissime parole, gli Amori che non sanno stare al mondo?
Sono quei grandi amori che non stanno bene nella realtà, che stanno su un altro piano, su un piano che non s’incontra col vero. Questa frase viene dalle origini napoletane di Francesca (Comencini). Gli amori che non sanno stare al mondo sono quelli che si consumano negli scontri. Lo struggimento amoroso è sempre qualcosa di forte e io da questo film ne sono rimasta trafitta, è diventata un’eterna ispirazione, ho sentito tutto in altro modo, come se avvertissi il confine tra il dentro il fuori, che non ci è sempre dato sempre trovare. Ma quando lo trovi, esisti! Ed è una fortuna.
Un ruolo che le piacerebbe interpretare almeno una volta nella sua carriera?
Che bella domanda!! A me piacerebbe fare al cinema un film western, un po’ alla Clint Eastwood. Io non sono un uomo, sono una donna, ma con quel romanticismo ed eroismo di gente cruda e secca sotto il sole, immersa nei propri valori, mi piacerebbe. Mentre a teatro mi risulta molto più difficile pensare a un ruolo. Ora come ora vorrei lavorare con la bravissima Lucia Calamaro.
Riti apotropaici prima di entrare in scena?
In verità il mio è più un rito psico-emotivo. Non faccio preparazioni vocali, ma vado diretta in quella zona dello struggimento di cui parlavo prima, in un momento dove sono sola con me stessa. In quel momento dove tu ti puoi permettere di stare al mondo, senza lasciare quasi niente, quello è uno stato di coscienza molto emozionale. In camerino io mi trucco, mi preparo i capelli e questo per me è già un rito quasi sacro. In seguito cerco di entrare dentro le prime battute del testo, perché dentro le prime due frasi c’è la fortuna di un buon inizio, almeno per me. Io parto sempre da qualcosa di specifico. “Apro le botole”!
Per concludere: tre aggettivi per descriverla come donna e tre come attrice.
Credo di essere una donna empatica, forse infantile perché spesso mi sento un po’ bisognosa di rassicurazioni e di essere contenuta, ma mi sento anche luminosa, sportiva e “compagnona”. Io sono la quarta di quattro figli e sono abituata a stare con gli altri. Amo la compagnia, amo il senso della libertà in compagnia.
A teatro mi sento una valanga di energia, cangiante, volubile e ossessiva, nel senso che se faccio una cosa la penso ventiquattr’ore al giorno, quasi maniacale. E forse anche contraddittoria…
Il suo è un carattere davvero unico, sarà forse per il segno zodiacale dell’Acquario? Lei è nata il 27 gennaio come Mozart!
Lo stesso giorno di Mozart e di Heather Parisi. Io lo racconto sempre perché è un incrocio pazzesco!