Con The Endless River, appendice riesumata di The Division Bell, il popolare gruppo rock mette la parola fine a una lunga e gloriosa carriera. Sarà vero?
Un nuovo album dei Pink Floyd? Ebbene sì. In realtà The Endless River è in buona parte una tarda appendice di The Division Bell, durante la cui registrazione nel 1993 l’esplosione creativa della band portò ad una “sovrapproduzione” di brani, denominata ironicamente The Big Spliff da Nick Mason.
The Endless River è il risultato della rielaborazione di una “creatura” che fino ad adesso era rimasta soltanto un’idea inespressa (curioso che il tema di The Division Bell fosse proprio l’incomunicabilità).
Come accostarsi a questa creatura? Subito pensai all’ennesima banale trovata commerciale: ammetto di essermi sbagliato.
L’invito che rivolgo a chi si avvicini a The Endless River è di ascoltarlo senza preconcetti, ma con una precisa idea di chi sono i Pink Floyd. Il nuovo album, infatti, a me pare una finissima opera di riepilogo, una tessitura di richiami mai sguaiatamente espliciti. Troviamo ora le sonorità progressive e psichedeliche dei primi dischi, ora le atmosfere sognanti di The Dark Side Of The Moon e talvolta la sottile aggressività di The Wall.
Non ci sono brani che rimangano impressi come quelli leggendari del passato, perché non c’è alcuna pretesa di rinnovamento. Piuttosto c’è un’elegante dichiarazione d’identità: come se ci dicessero che loro sono i Pink Floyd, e “questo è ciò che fanno” (It’s what we do).
Di conservatore in The Endless River c’è solo che è la musica di un gruppo che ha fatto la Storia del rock. Inserirlo nel panorama della musica attuale, risulterebbe incongruo. C’è chi l’ha perfino definito un album ambient, quasi a volerne giustificare la lentezza. Il titolo, d’altronde, lascia presagire un fluire lento, in qualche modo lontano dalla realtà e dal suo ritmo necessariamente frenetico. Ma l’ambient è una musica di contorno, mentre The Endless River è un’ottima “pietanza”!
Da sottolineare la già citata It’s what we do, che ricorda Shine on your crazy diamond, Anisina, col sax di Gilad Atzmon, le due Allons-y, decisamente più vicine a The Wall, e Talkin’ Hawkin’, con le parole riprodotte dal computer di Stephen Hawking. L’ultima sezione si chiude con l’unico vero e proprio singolo del CD, ovvero Louder than words.
Come lascia intendere la copertina, con un uomo che si allontana remando su “l’infinito fiume” di nuvole, The Endless River è un saluto. Un saluto a Richard Wright, scomparso nel 2008, e un saluto a chi ha amato tutto ciò che sono stati i Pink Floyd, dalla scena d’inizio a questo elegante ultimo inchino.
The Endless River – Pink Floyd (Parlophone)