Tragicommedie islandesi: la casa del vicino va rasa al suolo

In Cinema

Dall’Islanda, che vive un buon momento di notorietà cinematografica internazionale, un film che nasce con toni ironici ma vira sempre più verso il dramma. E in cui i sanguinosi conflitti individuali e parentali, tra persone “civili” che abitano in case limitrofe, diventano la trasparente metafora di un mondo che alza muri per segnare e difendere, quasi un po’ animalescamente, il proprio territorio

“Tragica lite condominale: muore accoltellato”; “Protesta per i rumori, il vicino lo uccide”; “Lite tra vicini di casa. Anziana uccisa, grave la figlia”; “Tragica lite: uccide il vicino a fucilate per i troppi rumori”; “Lite di quartiere: per ripicca uccide e impaglia il cane del vicino”. Sono questi solo alcuni dei titoli che si leggono digitando su un motore di ricerca “vicini di casa” e “lite”, mentre uno, ridotto all’osso è la trama di L’albero del vicino, dramma più che commedia nera di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, passato all’ultima Mostra di Venezia nella sezione Orizzonti e candidato all’Oscar al miglior film straniero dall’Islanda.

Da nord a sud, in Italia e nel mondo, le dinamiche della convivenza fra condomini sono causa di non pochi problemi. In un contesto in cui vince chi costruisce il muro più alto e delimita i confini della proprietà obbedendo a un animalesco bisogno di marcare il territorio, è inevitabile che chiusure e intolleranze si riflettano anche in quel microcosmo, paradigma di qualsiasi altra dinamica, che è la vita del quartiere e del vicinato. E dalla silenziosa Islanda, recentemente tornata alla ribalta del cinema internazionale con Rams, presentato a Cannes nel 2015 nella sezione Un Certain Régard, e con Virgin Mountain nel 2017, abbiamo la conferma che l’erba del vicino non è affatto sempre più verde.

Agnes (Lára Jóhanna Jónsdóttir) nel bel mezzo di una notte d’estate coglie il marito, Atli (Steinþór Hróar Steinþórsson) intento a masturbarsi mentre guarda un video girato anni prima con l’ex fidanzata. Buttato fuori di casa senza molti giri di parole, il fedifrago batte in ritirata nella casa parentale, mentre lei per vendetta gli nega l’accesso alla figlioletta. Le cose non vanno però granché meglio per i genitori di lui: la madre Inga (Edda Björgvinsdóttir), barricata in casa dopo la scomparsa del secondo figlio, passa le giornate a trovare motivi più o meno pretestuosi per litigare con la nuova compagna del vicino di casa (Þorsteinn Bachmann), una quarantenne (Selma Björnsdóttir) che riserva alla sua forma fisica le cure che vorrebbe dare ad un bambino che tarda ad arrivare.

Alla richiesta di spuntare i rami dell’albero che vanificano i suoi tentativi di abbronzatura, la madre di Atli risponde usando la malcapitata vicina come capro espiratorio di una sofferenza da cui non riesce a uscire con alcunché di positivo. Mentre Atli e la moglie si lanciano a distanza piatti ed insulti in una guerra dei Roses fatta di avvocati e denunce, nella periferia di Reykjavik i due vicini di casa diventano marionette nelle mani delle mogli che, come sadiche burattinaie, spiano, inventano e soprattutto si distruggono, in un’escalation di follia che inizia con scaramucce e insulti e finisce per portare a radere al suolo ogni cosa, persona o animale che si trovi nella traiettoria delle due.

A prepararci all’ultimo, conclusivo, funny game di pura follia, c’è la fissità con cui la cinepresa riprende i protagonisti, ridotti all’osso, a pura aggressività, muoversi in continuazione come particelle impazzite, pur senza andare veramente da nessuna parte. Salvo poi schiantarsi in un’apocalisse finale.

L’albero del vicino, di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, con Steinþór Hróar Steinþórsson, Edda Björgvinsdóttir, Porsteinn Bachmann, Dóra Jóhannsdóttir, Sigurður Sigurjónsson, Selma Björnsdóttir, Lára Jóhanna Jónsdóttir

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