“Inviata speciale” di Jean Echenoz è una volutamente squinternata spy story piena di colpi di scena, di sesso, di intrighi
Questa volta Jean Echenoz ci racconta una storia irresistibile, quella di un’incantevole novella Mata Hari inviata da una sezione deviata dei servizi segreti francesi a fomentare un colpo di stato in Corea del Nord. Una spy-story piena di colpi di scena, di sesso, di intrighi, ma tutto – a partire dai protagonisti – è squinternato, non si sa mai dove andremo a parare. In una logica che potrebbe richiamare quella di Groucho Marx, anche le vicende apparentemente più assurde sono volute, premeditate, per depistare le indagini, perché un complotto deve restare segreto. Così l’astuta mente del generale Bourgeaud, sessantotto anni, ex-agente del Service Action – pianificazione e attuazione di operazioni clandestine – sceglie vie improbabili, apparentemente sentieri ciechi, fatti apposta per preservare la segretezza.
E anche noi non riusciamo a capire il perché e il percome, né a prevedere le prossime mosse. Ma il divertimento sta lì, è la magica penna di Jean Echenoz che se la ride, in continue intrusioni, digressioni, prese in giro, sfoggi enciclopedici.
Per dare un’idea del suo scoppiettante stile, la soluzione più efficace è citarne una pagina. Cominciamo con l’incipit:
‘Voglio una donna, ha dichiarato il generale. Mi serve una donna, chiaro?
Allora è in buona compagnia, gli ha sorriso Paul Objat. Mi risparmi rilievi del genere, Objat, si è inalberato il generale, non sto scherzando. Un po’ di ritegno, cristo santo. Il sorriso di Objat è svanito: la prego di scusarmi signor generale. Lasciamo perdere, ha detto l’ufficiale, riflettiamo.
Manca poco a mezzogiorno. I due uomini riflettono, seduti ai lati opposti di una scrivania in metallo verde, un vecchio modello regolamentare con cassettiere…’
Segue la descrizione minuziosa dell’arredo consunto del modesto ufficio, è come se una telecamera riprendesse in primo piano ogni singolo elemento, nella scena si insinuano i rumori del traffico, i rintocchi del vicino campanile di Notre -Dame-des-Otages. Ci siamo dimenticati del generale e delle sue foie. Quando questi prende un cigarillo e sussurra, parlando tra sé e sé:
‘Una donna, ha detto più forte, ma non solo. Di certo non una stagista qualsiasi. Una persona assolutamente estranea all’ambiente, capisce? Non del tutto, ha dovuto ammettere Objat. Be’ insomma, un’ingenua, ha sintetizzato il generale. Una che non capisce niente di niente, che fa quello che le si dice di fare e che non chiede spiegazioni. Carina, possibilmente’.
Objat lascia vagare la sua prodigiosa mente e, dopo un’infinità di divagazioni e false partenze, affiora l’immagine di una bella signora appena conosciuta a un cocktail.
‘Trentaquattro anni, camicetta azzurra attillata, pantaloni skinny antracite, corto caschetto alla Louise Brooks – in una parola incantevole. E’ così che ci appare Constance, poco attiva e poco qualificata, ma in compenso duttile, molto incline alle disavventure sentimentali e misteriosamente capace di scatenare, con la sua morbida svagatezza, l’imprevedibile’.
Unico picco significativo nella sua banale vita è stato quando una quindicina d’anni prima ha interpretato con la sua voce suadente un successo planetario, Excessif, una di quelle canzoni che hanno fatto ballare il mondo intero, ‘dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno’, ci verrebbe da ironizzare, tanto per stare al gioco.
Fatto sta che le royalties del disco assicurano una discreta rendita a lei e una favolosa all’ex-marito, Lou Tausk, autore della canzone. Excessif ormai non è più nelle hit-parade dell’occidente, ma è ancora popolarissima – e qui sta il busillis – tra gli apparatick della Corea del Nord.
A questo punto, Jean Echenoz, mette da parte, giusto per farci stare in sospeso nel plot, o forse perché il crescendo del climax non lo interessa più di tanto, dicevamo mette da parte le mirabolanti avventure di Constance, per raccontarci vita e avventure della sgangherata banda che Paul Objat mette insieme per rapire Constance e chiederne il riscatto al marito, tanto per depistare le indagini sulla sua scomparsa e sulla sua vera missione, quella di volare in Nord Corea per sedurre Gang Un-ok, uno dei consiglieri più influenti del Leader Supremo.
Il marito, tutto preso dalla sua crisi di creatività, chiede consiglio al fratellastro avvocato, che ha altro a cui pensare e gli consiglia di lasciar perdere: queste faccende si sgonfiano da sole.
Apparentemente dimentico delle regole del noir, Echenoz ci trascina nel mondo della canzone, in quello dei carcerati, degli avvocati, delle parrucchiere, di relazioni sessuali dal sado-maso al romantico, al mercenario; ogni personaggio, anche secondario, ha la sua storia, com’è giusto che sia.
Alla fine, forse in modo un po’ macchinoso e improbabile, assistiamo a una banale happy-end, ma è molto probabile che anche questo sia un raffinato espediente,