Il regista guru del Nuovo Cinema Tedesco ne ripercorre i primi cinque anni di pontificato: dalle prese di posizione in difesa degli omosessuali a quelle sull’ambiente, dalle visite nelle periferie del mondo al dialogo con leader di altre fedi. Nel film, passato a Cannes 2018, si alternano poi sequenze in cui Bergoglio parla alla cinepresa diffondendo il suo messaggio di pace e uguaglianza. Un ritratto così affettuoso da sembrare quasi unilaterale, perfino acritico, ma certo di buon effetto cinematografico
Sono passati cinque anni da quando un cardinale argentino, di nome Mario Bergoglio, è diventato il primo papa ad assumere il nome di San Francesco d’Assisi. Nel tempo che è trascorso da allora, egli ha fatto discutere il mondo intero per le sue affermazioni in ambito politico e sociale, ottenendo sia ammiratori che oppositori; tra i primi si può sicuramente annoverare il regista tedesco Wim Wenders, che proprio a Bergoglio ha dedicato il documentario Papa Francesco – Un uomo di parola, presentato all’ultimo Festival di Cannes. Sarà dal 4 ottobre, ma solo per pochi giorni, nelle sale italiane.
Il viaggio parte, non a caso, dalla Basilica di San Francesco, ad Assisi: da lì Wenders ripercorre molti degli eventi più discussi accaduti da quando Bergoglio è stato eletto Papa: le sue prese di posizione in difesa degli omosessuali a quelle sull’ambiente, le visite nelle periferie e nei luoghi dimenticati del mondo, il dialogo con i rappresentanti di altre fedi. A ciò si alternano scene in qui il Santo Padre parla verso la macchina da presa per diffondere il suo messaggio di pace e uguaglianza, e altre, simili a un film muto degli anni ’20, in cui un attore interpreta San Francesco. E fin dall’inizio del film, quando un narratore fuori campo (lo stesso Wenders) ci guida all’interno della Basilica, ci accorgiamo che il regista sposa completamente l’idea che il Papa incarni alla perfezione le idee sulla povertà del fondatore dei francescani, tanto da associare le lodi alla natura nel Cantico delle Creature al messaggio “ecologista” di Papa Francesco.
Ma proprio qui che sta il maggiore difetto del documentario: Wenders, guru del Nuovo Cinema Tedesco, realizza un ritratto totalmente acritico, per nulla obiettivo del Papa, narrando i cinque anni di questo pontificato unicamente dal suo punto di vista. Una faziosità che ricorda un po’ quella mostrata da Oliver Stone quando andò a intervistare Vladimir Putin: in entrambi i casi, si evita sia di fare domande scomode sia di ascoltare voci critiche. Per esempio non vengono neanche menzionati i silenzi del Papa sulle persecuzioni dei cristiani d’Oriente o sulle azioni del presidente Nicolas Maduro in Venezuela. In verità una simile abitudine di narrare la vita di un uomo solo dal punto di vista di questi, era già emersa quattro anni fa con Il sale della terra: con la differenza, però, che il soggetto di allora, il fotografo brasiliano Sebastiao Salgado, è un personaggio meno famoso e discusso di Bergoglio.
Da un punto di vista tecnico, il documentario è comunque ben girato, soprattutto riguardo alla fotografia e al montaggio: le immagini di quando il Papa va in giro per il mondo, a incontrare sia importanti capi di stato che i poveri delle periferie, sono molto curate, e riescono a suscitare un forte impatto emotivo nello spettatore.
Del resto, da quando, la sera del 13 marzo 2013, il “cardinale che viene dal Sud” si è affacciato per la prima volta alla loggia del Vaticano di fronte ai fedeli dopo essere stato eletto, ha portato molti cambiamenti nella Chiesa Cattolica, e il cinema in qualche modo lo conferma, perché questo è già il terzo film dedicato alla sua figura, dopo Francesco da Buenos Aires dell’argentino Miguel Rodriguez Arias (2014) e Chiamatemi Francesco di Daniele Luchetti (2015) , entrambi di produzione italiana. Wenders qui non ha voluto, o non è riuscito a trattare l’argomento con distacco, offrendoci un film di parte che probabilmente dividerà il pubblico.
Papa Francesco – Un uomo di parola, film-documento di Wim Wenders